A seguito dell’affermazione del Segretario di Stato americano, Antony Blinken, secondo il quale gli insediamenti in Cisgiordania violerebbero il diritto internazionale, affermazione basata su una lunga consuetudine e ribaltata per la prima volta dall’Amministrazione Trump nel 2019, ripubblichiamo l’articolo sul tema di David Elber, pubblicato nel gennaio del 2020, che ricostruisce la genesi dell’affermazione fatta da Blinken, evidenziandone l’inconsistenza giuridica.
(N.d.R)
Tra i mantra ricorrenti che intorno a Israele, uno dei più persistenti è quello secondo il quale lo Stato degli ebrei violerebbe il diritto internazionale. Su cosa si fonda questo mantra? Su due accuse.
Israele non rispetta le numerosi risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU e alcune risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nè la IV Convenzione di Ginevra del 1949.
Queste hanno preso il via dal 1979 con l’approvazione da parte dell’Amministrazione Carter di varie risoluzioni – al Consiglio di Sicurezza – di condanna di Israele e hanno trovato l’apice con la Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza approvata il 16 dicembre 2016 per espressa volontà di Barak Obama.
Fonti del diritto internazionale
Le fonti primarie del diritto internazionale sono due: i trattati e il diritto consuetudinario che, come recita l’art. 38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, “Diviene prova di una pratica generale accettata come diritto secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili”. Per cui si evince, chiaramente, che sono gli Stati stessi – tramite gli accordi tra di loro (trattati) e tramite dei principi generali – che creano il diritto internazionale.
I vari organismi internazionali, siano essi facenti parte dell’ONU o meno, non hanno il potere di legiferare in materia di diritto internazionale. L’unica eccezione a questa norma è il potere che è stato conferito al Consiglio di Sicurezza dell’ONU tramite il trattato di San Francisco (1945) con il quale è stato ratificato lo Statuto dell’ONU.
Il potere – da parte del Consiglio di Sicurezza – di fare norme di diritto internazionale può avvenire solo in determinate circostanze: 1) in caso di aggressione di uno Stato nei confronti di un altro Stato, 2) in caso di “minaccia o violazione della pace”.
Ne consegue che le varie agenzie dell’ONU, compresa l’Assemblea Generale, non hanno nessuna titolarità a produrre norme del diritto internazionale, mentre il Consiglio di Sicurezza, può eventualmente farlo solamente quando si verificano casi di aggressione militare tra Stati o di “minaccia o violazione della pace” tra gli Stati.
Ad ulteriore riprova che la discriminante “pace” è determinante per capire se una risoluzione del Consiglio di Sicurezza sia vincolante è il fatto che quando uno Stato viene ammesso all’ONU ciò avviene nel momento in cui esso è riconosciuto dal Consiglio di Sicurezza come Stato “pacifico” cioè “peace-loving State” nella formula di accettazione.
La prima considerazione da fare è che tutte le risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU che riguardano Israele o un qualsiasi altro Stato non fanno parte del diritto internazionale. Queste risoluzioni sono semplicemente delle “raccomandazioni” squisitamente politiche che vengono emesse da un’assemblea con funzioni solamente politiche. Così ad esempio, si capisce in modo chiaro che la Risoluzione 181 del 1947 con cui veniva “suggerita” la spartizione del Mandato britannico per la Palestina, non ha nessuna valenza giuridica. Essa va intesa come un suggerimento dell’Assemblea Generale alla potenza mandataria (la Gran Bretagna) e al Consiglio di Sicurezza che avrebbe dovuto prendere gli opportuni provvedimenti per rendere vincolante e quindi legale la raccomandazione dell’Assemblea (cosa che non fece). Lo stesso discorso vale per l’altrettanto “famosa” Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale inerente ai profughi palestinesi. Anche in questo caso priva di qualsiasi valore legale.
Vi è però un’eccezione, a quanto detto sopra, in merito alla possibilità dell’Assemblea Generale, di approvare risoluzioni vincolanti. E anche in questo caso si tratta esclusivamente di situazioni in cui la pace è minacciata o si è in presenza di atti di aggressione di uno Stato verso uno o più Stati.
Il 3 novembre 1950, il Segretario di Stato USA Dean G. Achenson, fece approvare all’Assemblea Generale dell’ONU la Risoluzione 377, meglio nota come “Uniting for Peace”, che permetteva all’Assemblea Generale, convocata in Sessione Speciale d’Emergenza, di prendere decisioni vincolanti, in caso di “minacce alla pace” o di “aggressione” da parte di uno Stato, solo in caso di un prolungato stallo del Consiglio di Sicurezza. Va sottolineato che all’epoca si era in piena guerra fredda e l’URSS poneva ripetutamente il veto ad ogni risoluzione del Consiglio di Sicurezza riguardo la guerra di Corea che era scoppiata alcuni mesi prima. All’epoca di questi fatti gli USA e l’Occidente controllavano l’Assemblea Generale in quanto la maggior parte degli Stati riconosciuti erano alleati con l’Occidente (difatti l’URSS e gli Stati satelliti votarono contro l’approvazione di tale risoluzione). L’influenza occidentale sull’Assemblea Generale iniziò, però, ad affievolirsi negli anni Sessanta con l’ingresso all’ONU dei paesi che erano nati dal processo di decolonizzazione. Questi nuovi Stati indipendenti che formarono, principalmente, il blocco dei paesi “non allineati” erano di fatto alleati politicamente all’URSS. Questa forzatura politica del diritto internazionale voluta da Achenson poteva rivolgersi così contro l’Occidente o i suoi alleati. Israele ne fu inevitabilmente lambito. Infatti, è da ricordare che subito dopo la fine della guerra dei Sei giorni, l’Unione Sovietica per potere imporre la sua visione del conflitto che individuava in Israele l’aggressore e non l’aggredito, nonostante fosse palese il contrario, e così scavalcare il veto angolo-americano, si rivolse all’Assemblea Generale.
Il 19 giugno 1967, su richiesta sovietica, fu convocata l’Assemblea Generale in Sessione Speciale d’Emergenza, per portare al voto la condanna di Israele. Dopo due mesi di dibattimenti l’Assemblea Generale bocciò la tesi sovietica e dichiarò che Israele era l’aggredito e non l’aggressore. La questione ritornava di competenza del Consiglio di Sicurezza. A novembre fu approvata la Risoluzione 242 dal Consiglio di Sicurezza. Questa risoluzione è la base di tutti i successivi accordi tra arabi e israeliani. Però l’uso politico dei maggiori organi onusiani era ormai compiuto.
Un altro organismo internazionale, erroneamente, creduto dotato di ampi poteri legali è la Corte Internazionale di Giustizia. Questo organismo, nato contestualmente all’ONU con il trattato di San Francisco del 1945, ha il potere di emettere sentenze e quindi norme di diritto internazionale solamente in casi molto ristretti: quando è chiamata in causa durante un contenzioso tra due Stati riconosciuti. Cioè le sue sentenze sono emesse esclusivamente su richiesta degli Stati che ne richiedono il giudizio. In nessun altro caso l’opinione della Corte di Giustizia concorre a formulare norme di diritto internazionale. Un esempio è il caso del suo parere consultivo in merito alla costruzione della barriera protettiva di Israele. Questo parere espresso nel 2004 su richiesta dell’Assemblea Generale non ha, quindi, nessun potere vincolante ma è semplicemente un giudizio politico (come si evince dal testo stesso del parere).
Come accennato in precedenza, il Consiglio di Sicurezza può emanare risoluzioni vincolanti solamente in caso di aggressione di uno Stato nei confronti di un altro Stato o in caso di “minaccia o violazione della pace” quindi in base al Capitolo VII dello Statuto dell’ONU. In tutti gli altri casi, che sono la stragrande maggioranza dei casi, il Consiglio di Sicurezza emette risoluzioni, in base al Capitolo VI che è quello relativo alle “dispute territoriali” o alla “controversie”, che non sono vincolanti e perciò non sono norme di diritto internazionale. Come si capisce quando una risoluzione è emanata in base al Capitolo VI o al Capitolo VII? Si capisce quando nel preambolo della risoluzione e soprattutto nella sua parte operativa (in tutte le risoluzioni la parte operativa possiede il maggior valore legale mentre il preambolo ha un carattere generale) si trovano le seguenti espressioni: “under Chapter VII” (“in base al Capitolo VII”), “existence of a breach of peace” (“esiste una violazione della pace”), “act of aggression” (“atto di aggressione”) o “under article 39 of the Charter” (in base all’articolo 39 dello Statuto”). In tutti questi casi si tratta di risoluzioni in base al Capitolo VII e quindi vincolanti. In tutti gli altri casi si tratta di risoluzioni in base al Capitolo VI e quindi non vincolanti. E’ da sottolineare che tutte le risoluzioni adottate in base al Capitolo VII e quindi vincolanti devono contenere un principio di universalità (es. in base al Capitolo VII o in base all’articolo 39) che deve essere applicabile a tutti gli Stati e non ad uno solo.
Il Memorandum Hansell
Le risoluzioni del Consiglio di sicurezza che “condannano” Israele sono tutte state emesse secondo i criteri del Capitolo VI e quindi non sono vincolanti, il loro contenuto è esclusivamente politico e non legale. Lo si può affermare leggendole e vedendo quando sono state emanate: tutte sotto la presidenza Carter e specificatamente la 446 del 1979 (che riprendeva i concetti del memorandum Hansell di cui si accennerà più avanti in merito alla presunta violazione della IV Convenzione di Ginevra) la 452 del 1979, la 465 del 1980, la 476 del 1980 e la 478 del 1980.
La vera e propria ossessione di Jimmy Carter nei confronti di Israele non finì con la sua presidenza ma continuò e continua in tutti i suoi interventi e pubblicazioni. L’altra risoluzione, di condanna di Israele, è la Risoluzione 2334 del 2016 voluta da Barak Obama e anch’essa non vincolante ma diventata uno strumento politico formidabile.
Anche le Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza sono state emanate in base al Capitolo VI e non in base al VII quindi non sono vincolanti “per sè”. Perché allora sono di fondamentale importanza? Perché i principi in esse contenuti sono diventati i principi costituenti i trattati di pace con l’Egitto (1978) con la Giordania (1994) e degli Accordi di Oslo (1993-95) sottocritti con l’ANP. E tutti questi trattati sono vincolanti per le parti, perché dalle parti accettati, sottoscritti e firmati. Di conseguenza, i principi della 242 sono diventati vincolanti per i firmatari.
La Risoluzione 2334 del 2016, per come è stata formula, viola e annulla tutti gli accordi sottoscritti tra Israele e l’ANP e non può avere dunque valore giuridico, a meno che non si dimostri che gli Accordi stessi contengano principi illegali o che Israele non ottemperi a tutte le clausole degli Accordi di Oslo del 1993-1995 e la sua condotta metta in pericolo la pace.
Dimostrato questo, il Consiglio di Sicurezza sarebbe obbligato ad agire in base al Capitolo VII e specificare chiaramente la violazione della pace o l’aggressione (cosa che si potrebbe dire dell’ANP ma non è uno Stato quando fa comodo che non lo sia).
Come nel caso dell’Assemblea Generale, anche per il Consiglio di Sicurezza esiste un’eccezione. Non tutti i giuristi sono concordi su questo punto. Il riferimento è all’articolo 25 dello Statuto dell’ONU. Secondo vari giuristi una decisione del Consiglio di Sicurezza presa in base a questo articolo – quindi in base al Capitolo VI – diviene vincolante. Per la precisione si tratta della sola parte operativa della risoluzione stessa dove compare l’espressione “dichiara” o “decide” riferito al Consiglio di Sicurezza. Storicamente risulta essere accettata come vincolante la sola Risoluzione 276 del 1970 del Consiglio di Sicurezza adottata nell’ambito del Capitolo VI. Tale risoluzione fu promulgata contro l’occupazione della Namibia, da parte del Sud Africa, quando da Mandato britannico divenne indipendente. La decisone del Consiglio di Sicurezza fu ribadita dalla Corte di Giustizia Internazionale l’anno successivo con la sua opinione nota come “Namibia exception”.
Dopo avere evidenzito l’infondatezza delle accuse rivolte a Israele di non rispettare le risoluzioni vincolanti, si prenderà in esame l’altrettanto infondata accusa di violare la IV Convenzione di Ginevra.
Questa accusa è stata costruita a partire dal memorandum Hansell redatto nel 1978.
Il breve memorandum fu scritto da Herbert Hansell giurista e consulente dell’amministrazione Carter. Nel suo memorandum, Hansell sostenne che Israele violasse il diritto internazionale e più precisamente l’art. 49 comma VI della IV convenzione di Ginevra del 1949, permettendo l’insediamento di civili in Giudea, Samaria e Gerusalemme. Il testo dell’articolo della Convenzione è il seguente:
Art. 49 Comma VI:
“La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato.”
Sull’interpretazione data da Hansell a questo comma dell’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra si è costruita tutta la tesi della presunta illegalità della presenza ebraica in Giudea, Samaria e Gerusalemme, che è stata ripresa in tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale in merito ai “territori”.
Questa tesi non ha fondamento per due fondamentali ragioni:
- Non si può parlare di “territori occupati” perché questi territori furono assegnati al popolo ebraico con il Mandato britannico di Palestina del 1922. Il Mandato britannico è a tutti gli effetti una disposizione vincolante del diritto internazionale (è un trattato). Questa trattato è stato fatto proprio dall’ONU con l’art. 80 del suo Statuto e quindi non è mai stato abrogato. Inoltre con gli accordi di Oslo del 1993-1995 le aree dove sorgono i così detti “insediamenti” sono state riconosciute, dai palestinesi stessi, come di pertinenza esclusiva israeliana (area C) e di amministrazione mista area B. Quindi pienamente legali.
- Considerare la presenza di civili ebrei in Giudea, Samaria e Gerusalemme come conseguenza di “deportazione o trasferimento” coatto non ha basi giuridiche (e di buon senso). Infatti, nel commentario della Croce Rossa Internazionale del 1958 sul terzo Titolo della IV Convenzione di Ginevra (utilizzato in tutto il mondo giuridico sul tema del trattamento dei civili nei territori occupati) si ribadisce in modo inequivocabile che per “ deportazione o trasferimento” si intende un’azione coatta sotto la minaccia delle armi, e si riferisce all’opera di deportazione e colonizzazione che fece la Germania nazista durante la Seconda Guerra mondiale quando invase i paesi dell’Est Europa. Cosa evidentemente non applicabile ad Israele e ai “territori”, in quanto, in questo caso, la popolazione civile è tornata, in determinate circostanze, dopo essere stata cacciata dai giordani, in altre acquistando un terreno ed edificando, in altre ancora, andando a vivere in zone diverse e sparse sul territorio e mai in un luogo unico e concentrato, cioè in modo indipendente e senza imposizioni governative. Tanto è vero che in molti casi sono state demolite abitazioni costruite abusivamente e senza autorizzazioni con sentenza della stessa Corte Suprema israeliana.
La tesi contenuta nel Memorandum Hansell, venne disconosciuta già dall’amministrazione Reagan ma è rimasta in voga in ambito internazionale. La pretestuosità di tale tesi è ulteriormente dimostrata dal fatto che, in nessun caso al mondo – di reale occupazione – il comma 6 dell’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra è mai stato applicato. Non fu mai applicato neanche ai territori stessi di Giudea e Samaria durante l’occupazione illegale giordana durata del 1948 al 1967. Si è iniziato ad applicarlo politicamente, esclusivamente a Israele a partire dal 1978.
Il memorandum Hansell prevedeva inoltre la fine dell’”illegalità”, della presenza ebraica nei territori, nel momento in cui si fosse trovato un accordo con la Giordania. Cosa che è avvenuta nel 1994 con il trattato di pace tra i due paesi in base al quale, la Giordania ha rinunciato, definitivamente, ad ogni rivendicazione ai territori ad ovest del fiume Giordano.
Tra i giuristi, di fama internazionale, che hanno sempre negato la validità delle conclusioni di Hansell, vi sono: Julius Stone, Eugene Rostow, Stephen Schewel, Eugene Kontorovich e E. Lauterpacht.
Israele non ha mai violato nessun trattato internazionale che ha sottoscritto ed è stato tenuto a rispettare. Allo stesso modo, si può constatare che nessuna risoluzione vincolante è mai stata promulgata nei suoi confronti.