Un certo numero di ostaggi sono ancora nelle mani di Hamas mentre i suoi leader di Gaza, Yahya Sinwar e Mohammed Deif, sono ancora al loro posto, così come Ismail Haniyeh e Khaled Meshaal a Doha, poiché il Qatar non è disposto a espellerli. Nessuna sorpresa, considerando che il Qatar non è un “mediatore”, come purtroppo molti in Occidente sostengono che sia, ma è piuttosto il braccio diplomatico di Hamas, che lavora fianco a fianco con il regime khomeinista in Iran.
Nel nord di Israele, migliaia di cittadini sono ancora sfollati a causa degli attacchi sistematici di Hezbollah contro le aree civili. Nel frattempo, lo scorso fine settimana, oltre 300 droni e missili sono stati lanciati direttamente dal suolo iraniano verso Israele.
Questa situazione è devastante per l’economia, il turismo, gli investimenti, la vita quotidiana di Israele ed è in corso dal massacro del 7 ottobre.
Israele avrebbe tutte le ragioni di questo mondo, i mezzi e le capacità non solo per reagire, ma per finire il lavoro cominciato, per sradicare Hamas da Gaza, per infliggere gravi perdite a Hezbollah a condizione di non fare più alcun danno. Come ha spiegato in numerose occasioni John Bolton, questo è anche il momento giusto per colpire i siti nucleari iraniani, perché la prossima volta che il regime lancerà missili contro Israele, questi porteranno testate nucleari.
Ma Israele fa esattamente il contrario, rinviando continuamente l’offensiva militare a Rafah che potrebbe porre fine ad Hamas e riportare indietro gli ostaggi ancora vivi. La pressione militare su Hamas, che avrebbe dovuto essere fondamentale per la liberazione degli ostaggi, si è allentata e da Gaza sono stati nuovamente lanciati razzi verso il suolo israeliano.
I continui proclami sull’imminente attacco a Rafah, non seguiti da fatti concreti, non fanno altro che mostrare la debolezza del governo israeliano che ora appare molto più preoccupato di ciò che dice l’Amministrazione Biden, piuttosto che della propria sicurezza.
Purtroppo la risposta vista contro l’Iran è la fotocopia di quanto sta accadendo a Rafah. Netanyahu non vuole scontentare Biden e quindi, pur facendo affermazioni forti del tipo “facciamo ciò che riteniamo sia meglio per Israele”, in pratica sta facendo esattamente il contrario, mostrando una debolezza che mette a serio rischio la sopravvivenza dello Stato ebraico in un’area, il Medio Oriente, dove la legge della forza è fondamentale per riuscire a sopravvivere.
Persino Donald Trump ha detto a Netanyahu di finire rapidamente il lavoro a Rafah, perché era diventato evidente che le cose venivano trascinate avanti da troppo tempo, andando contro ogni concetto base di antiterrorismo e di risposta militare.
Il direttore dell’Istituto internazionale per l’antiterrorismo di Herzliya, Boaz Ganor, ha spiegato molto chiaramente come l’equazione pratica del terrorismo sia “motivazione X capacità operativa”. Per avere efficacia a breve termine, la campagna antiterrorismo deve essere efficace nell’impedire all’organizzazione terroristica di perpetrare ulteriori attacchi mentre, a lungo termine, è essenziale ridurre la motivazione terroristica.
Una campagna militare che non disabiliti le capacità operative dell’organizzazione non farà altro che aumentare la motivazione terroristica ed esporre lo Stato a ulteriori attacchi.
Questo è esattamente ciò che sta accadendo a Gaza poiché Hamas non è stato sradicato, è ancora in grado di nuocere e, finché non sarà stato sradicato, non sarà possibile iniziare a lavorare sulla contromotivazione.
Su scala più ampia, questo è anche ciò che sta accadendo con Hezbollah. L’Iran sta usando Hezbollah per rendere impossibile la vita nel nord e la risposta limitata da parte dell’IDF non fa altro che aumentare la fiducia degli sciiti. Sfortunatamente, questo modo di gestire la situazione ha anche aumentato la fiducia di Teheran.
L’Iran ha risposto come ha fatto lo scorso fine settimana contro Israele quando gli Stati Uniti hanno eliminato il generale Qassem Soleimani? Ovviamente no.
Tuttavia, l’Iran ha lanciato oltre 300 droni e missili contro Israele in risposta al raid di Damasco contro i comandanti dell’IRGC. È la prima volta che un nemico di Israele lancia un attacco così intenso direttamente dal proprio territorio e questo è un precedente molto pericoloso.
La questione non è più nemmeno quella di chiedersi perché l’amministrazione Biden stia cercando in tutti i modi di rallentare Israele, viste le simpatie di molti membri dell’amministrazione verso l’islamismo e l’apertura verso Teheran. Dobbiamo invece chiederci perché Netanyahu continui ad ascoltarli, mettendo a rischio la sua credibilità ma anche la stabilità e l’esistenza stessa di Israele.
Traduzione di Niram Ferretti