Tra gli innumerevoli danni provocati dal falso mito della Risoluzione 181, bisogna annoverare anche quello relativo alla sua iniziale accettazione da parte del Consiglio provvisorio del neo nato Stato di Israele. Questo fatto, per molti detrattori di Israele, costituirebbe un obbligo legale “mai venuto meno”.
Cercheremo qui di fornire tutti gli elementi per fare comprendere come tale tesi sia, al pari di molte altre relative alla 181, un mito privo della benché minima valenza legale.
Innanzitutto è opportuno descrivere come si presentava la situazione nell’imminenza della dichiarazione di indipendenza di Israele e quali fossero le priorità della dirigenza ebraica.
La prima cosa da sottolineare è la completa ostilità del mondo arabo, sia della locale popolazione araba che, già a partire dai primi mesi del 1947, aveva avviato una guerra civile a bassa intensità che si inasprì subito dopo l’approvazione della Risoluzione 181, sia da parte degli Stati arabi già esistenti che dichiararono l’intenzione di annichilire il futuro Stato ebraico.
A questa ostilità va aggiunta quella della Gran Bretagna, che, in qualità di Potenza mandataria, aveva invece dei precisi obblighi nei confronti del popolo ebraico. In pratica, tuttavia, fin dal 1922 i diversi governi inglesi attuarono una politica che era l’esatto opposto di quanto previsto dal Mandato, ovvero lo smantellamento sistematico delle vincolanti disposizioni mandatarie atte alla realizzazione di uno Stato per il popolo ebraico. Questa politica fu attuata principalmente tramite i dettami dei libri bianchi del 1922, 1930 e soprattutto del 1939. A ciò si deve aggiungere la totale ostilità verso gli ebrei dovuta a ragioni politiche, e, di conseguenza, il pieno appoggio alla causa araba, che si manifestò appieno a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questi ne furono i passi principali: creazione della Lega araba (1945); chiusura del territorio mandatario anche ai sopravvissuti della Shoah (1945-1947), astensione in occasione della votazione della Risoluzione 181 (1947) e questo, di fatto, equivaleva ad un voto contrario, addestramento, armamento e conduzione con ufficiali britannici della Legione araba, astensione alla richiesta di Israele per essere ammesso all’ONU (1949).
All’elenco va aggiunta l’aperta ostilità del Dipartimento di Stato americano verso l’ipotesi di indipendenza dello Stato di Israele che si fece feroce a partire dal marzo del 1948.
La dirigenza ebraica si trovò “costretta” ad accettare la proposta ONU di spartizione del territorio, già assegnato al popolo ebraico dalla Società delle Nazioni, pur di aver un minimo appoggio politico internazionale (che sperava potesse essere anche militare in caso di attacco arabo) e soprattutto per potere liberamente accogliere le centinaia di migliaia di sopravvissuti della Shoah che erano detenuti nei campi di concentramento inglesi a Cipro, in Germania, in Austria e nelle colonie africane e asiatiche. Questa era la più grande priorità.
La Risoluzione 181
È cosa risaputa che, mentre gli arabi (e i britannici come vedremo) non accettarono la proposta dell’ONU, la dirigenza ebraica la accettò nonostante fosse molto penalizzante per il popolo ebraico. È cosa meno risaputa, che tale accettazione sia stata formalizzata dai padri costituenti nella Dichiarazione di Indipendenza dello Stato di Israele e precisamente in tre differenti passaggi, che si riportano in inglese (la Dichiarazione fu redatta in ebraico). Il primo dei tre lo si trova nel preambolo:
“…On the 29th November, 1947, the United Nations General Assembly passed a resolution calling for the establishment of a Jewish State in Eretz-Israel; the General Assembly required the inhabitants of Eretz-Israel to take such steps as were necessary on their part for the implementation of that resolution. This recognition by the United Nations of the right of the Jewish people to establish their State is irrevocable…”.
Poi, successivamente, il secondo lo si trova in un paragrafo relativo alla parte operativa della Dichiarazione vera e propria:
“…BY VIRTUE OF OUR NATURAL AND HISTORIC RIGHT AND ON THE STRENGTH OF THE RESOLUTION OF THE UNITED NATIONS GENERAL ASSEMBLY, ...”
Infine, il terzo lo si trova in un altro paragrafo della Dichiarazione:
“…THE STATE OF ISRAEL is prepared to cooperate with the agencies and representatives of the United Nations in implementing the resolution of the General Assembly of the 29th November, 1947, and will take steps to bring about the economic union of the whole of Eretz-Israel.”.
Come si può ben vedere l’accettazione da parte ebraica fu chiara e formale.
Proveremo a fare alcune considerazioni in merito a questi passaggi presenti nella Dichiarazione di indipendenza e poi cercheremo di capire, se essi siano vincolanti in aeternum per Israele.
Il primo passaggio relativo alla Risoluzione 181, è una semplice menzione della stessa nella quale si ribadisce che a Israele è richiesto di implementarla, quindi nulla di vincolante se non per il fatto che, essendo essa citata, viene vista come “fonte di diritto” per la costituzione di Israele, cosa del tutto errata per il diritto internazionale. Di fatto, l’Assemblea Generale, per stesso statuto dell’ONU, non ha il potere di creare gli Stati ma ha solo quello di ammetterli – una volta costituiti – in seno all’organizzazione stessa. Allo stesso modo risulta essere errata la parte finale del medesimo paragrafo: “This recognition by the United Nations of the right of the Jewish people to establish their State is irrevocable”. Questa frase è più un auspicio che una determinazione legale visto che, tra le altre cose, le risoluzioni dell’Assemblea Generale sono revocabili (si pensi ad esempio alla Risoluzione 3379 del novembre 1975 con la quale si equiparava il sionismo al razzismo che fu poi revocata nel 1991 con la Risoluzione 46/86).
La poca dimestichezza dei padri fondatori con il diritto la si evince appieno nella seconda frase presa in esame:
“… By virtue of our natural and historic right and on the strength of the resolution of the United Nations General Assembly, …”.
Qui la confusione tra diritto e politica è totale. Per il diritto internazionale non esiste un “diritto naturale” ne tanto meno un “diritto storico”, di questo concetto ne abbiamo già parlato qui su L’Informale (http://www.linformale.eu/alla-luce-del-diritto-internazionale-intervista-a-david–elber/) ma esiste solamente il concetto di “storica connessione”, concetto peraltro ripreso in un’altra parte della Dichiarazione. La stessa cosa vale in merito alla “forza” della risoluzione dell’assemblea Generale che è un mero atto politico e non legale e di conseguenza non può avere “forza” legale ma solo politica. Per questa ragione anche qui è chiaro che Israele non può essere minimamente vincolato in eterno, per giunta ad un atto che non ha nulla di legale ma è solo politico e che, tra l’altro, non è stato mai rispettato da nessuna parte interessata (arabi, Gran Bretagna e Consiglio di Sicurezza).
Il terzo passaggio, come abbiamo visto, si riferisce al fatto che il nascente Stato di Israele si impegna a cooperare con “le agenzie ONU e i suoi rappresentanti” per implementare quanto previsto dalla Risoluzione 181. Si può, anche in questo caso, parlare di “vincolo eterno” relativo, unicamente a Israele per implementare una risoluzione che è rimasta fin da subito lettera morta, mentre le “agenzie ONU e i suoi rappresentanti” non hanno mai fatto nulla per implementarla? No, anche in questo caso, Israele non ha nessun tipo di obbligo né legale né morale.
Come si può vedere, le frasi in oggetto, hanno tutte un carattere politico e non legale. Avrebbero potuto assumere un carattere legale, nel momento in cui anche tutti gli altri attori (arabi, Gran Bretagna, Consiglio di Sicurezza) avessero accettato e implementato la raccomandazione dell’Assemblea Generale secondo il principio legale del pacta sunt servanda. Inoltre, bisogna osservare che, la Gran Bretagna non ha mai permesso ai funzionari ONU di entrare nel territorio mandatario per iniziare l’implementazione, sul terreno, della Risoluzione per la forte pressione esercitata dai paesi arabi. Essa era, in qualità di mandatario, l’unico soggetto autorizzato a farlo. Quindi è chiaro che non è la Risoluzione 181 che ha un potere vincolante in quanto tale, ma è la sua accettazione da parte di tutti i soggetti coinvolti che ne l’avrebbe resa tale. Siccome, di tutti i soggetti coinvolti, il solo Israele ne accettò le proposte mentre tutti gli altri non le accettarono, esse, di conseguenza, non possono essere considerate ex post vincolanti per Israele in quanto rimasero lettera morta. Tale conclusione la si evince anche dai successivi sviluppi della nascita di Israele.
Il primo è più importante passo conseguente alla creazione di Israele fu la sua ammissione all’ONU nel 1949 nella veste di cinquantanovesimo Stato membro. Anche in questo caso i detrattori di Israele sottolineano il riferimento alla Risoluzione 181 presente nella Risoluzione 273 con la quale l’Assemblea Generale ratificava la decisione già presa dal Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 69. Va ricordato che la procedura di ammissione di uno Stato all’ONU passa prima dal Consiglio di Sicurezza e poi viene ratificata dall’Assemblea Generale e solo dopo questo doppio passaggio si diventa membri dell’ONU a pieno titolo.
Vediamo cosa dice la parte di testo più controversa della Risoluzione 273:
[…]
“Recalling its resolutions of 29 November 1947 and 11 December 1948 and taking note of the declarations and explanations made by the representative of the Government of Israel before the Ad Hoc Political Committee in respect of the implementation of the said resolutions.”
[…]
Questo paragrafo si trova nel preambolo della Risoluzione la quale, poi, si conclude, nella sua parte operativa, con l’ammissione di Israele all’ONU.
Il fatto che la Risoluzione 273 richiami la Risoluzione 181 è di per se vincolante per Israele? No nel modo più assoluto. Questo perché nel paragrafo dove è presente il richiamo alla Risoluzione 181 si trovano anche le indicazioni relative alle “dichiarazioni” e le “spiegazioni” del rappresentante israeliano (Abba Eban) davanti alla Commissione politica ad hoc incaricata di sentire il parere di Israele. In questa occasione, come si può leggere dai verbali degli incontri, il rappresentante israeliano è stato chiaro: Israele accettava solo le raccomandazioni relative ai luoghi sacri di Gerusalemme mentre tutto il resto veniva rifiutato a causa dell’aggressione araba e del disimpegno ONU verso quest’ultima. La Commissione ad hoc diede il suo parere positivo all’Assemblea Generale che di conseguenza dava il suo assenso all’ingresso di Israele all’ONU. Infatti, nella parte operativa della Risoluzione, l’Assemblea Generale “decide” di ammettere Israele in seno all’ONU, come si evince dal testo della Risoluzione:
1. “Decides that Israel is a peace loving State which accepts the obligations contained in the Charter and is able and willing to carry out those obligations;
2. Decides to admit Israel to membership in the United Nations.”
Non vi è alcuna menzione alla Risoluzione 181 ma solamente l’accettazione, da parte di Israele, degli obblighi contenuti nello Statuto dell’ONU. Anche qui non ci possono essere dubbi interpretativi.
Ora vediamo l’ultimo capitolo della vicenda.
Nel novembre del 1949 la Commissione politica dell’ONU tornò a riunirsi in merito alla questione dell’internazionalizzazione di Gerusalemme. L’idea era quella di studiare e poi di proporre una risoluzione da far approvare all’Assemblea Generale con la quale dichiarare Gerusalemme città internazionale. Tutta la questione però non teneva minimamente conto di quello che era successo durante l’ultimo anno e mezzo: aggressione araba del neonato Stato di Israele, occupazione illegale di Giudea, Samaria e di metà Gerusalemme, violazione sistematica da parte dei giordani delle disposizione del cessate il fuoco del 1949 (a tutti gli ebrei oltre che agli israeliani era vietato recarsi nella città vecchia, sistematica distruzione delle sinagoghe e dei cimiteri ebraici). Così, come se nulla fosse successo, all’ONU si iniziò a dibattere sulla internazionalizzazione della città di Gerusalemme senza neanche accennare alla condanna dell’aggressione operata dagli Stati arabi: in pratica per l’ONU non c’è mai stata aggressione ai danni di Israele né occupazione illegale di parte del suo territorio. A questo punto, il Primo ministro Ben-Gurion formalmente ricusò la Risoluzione 181 il 5 dicembre 1949, in un discorso alla Knesset. Tale dichiarazione fu poi approvata formalmente dalla stessa camera. Israele nuovamente ribadiva il suo rifiuto a qualsiasi risoluzione che proponeva lo scorporo di parte del suo territorio e soprattutto sottraeva alla sovranità israeliana la sua capitale.
In conclusione, chi sostiene che Israele debba attenersi alla Risoluzione 181 per la determinazione dei suoi confini o per lo statuto di Gerusalemme dice il falso per ignoranza e/o per malafede.