Su Jenin, avamposto del jihad, si può senz’altro risalire al 2002, quando vi occorse un combattimento virulento tra esercito israeliano e palestinesi. All’epoca, Yasser Arafat ancora in sella come sponsor del terrore (sarebbe morto un anno prima della fine della Seconda Intifada), dichiarò che “il massacro di Jenin” poteva essere paragonato all’assedio di Stalingrado. Si gonfiarono le vittime a 500, ma poi aumentarono ancora trasformandosi in migliaia. Dovette passare un po’ di tempo perchè si rendesse noto il numero effettivo dei morti, 53 palestinesi e 23 soldati israeliani.
Si può notare che c’è una certa differenza tra il numero dei morti, quelli paestinesi sono una trentina in più. Non ci fu pareggio, ed è in effetti quello che sempre, quando Israele si difende dalle aggressioni terroristiche viene invocato. Dopo l’Operazione Piombo Fuso, cominciata il 27 dicembre 2008 e conclusasi il 18 gennaio 2009, Sergio Romano giunse mirabilmente a sentenziare che “La guerra di Gaza fece più di 1400 vittime nel campo palestinese e 13 in quello israeliano, una disparità che è più eloquente di qualsiasi rapporto”.
Questo straordinario esempio di rigore logico, sempre applicato a Israele in modo ossessivo, esigerebbe che in tutti i conflitti o guerre si contassero i morti da una parte e dall’altra indipendentemente dalle ragioni che li hanno causati, per poi indicare come degno di condanna la nazione o l’esercito che ne ha avuti di meno. A Romano interessava assai poco che l’elevato numero dei morti a Gaza fosse dovuto al fatto che i jihadisti operavano all’interno di un addensamento urbano facendosi scudo di civili, utilizzando, case, scuole e ospedali come postazioni da cui lanciare i loro razzi. Uso spregiudicato dei civili per aumentare il numero dei morti e così mostare al mondo la “ferocia” di Israele, la sua noncuranza per gli innocenti.
Quindi non sorprende se, in questi giorni, in merito all’operazione antiterrorismo che Israele sta portando avanti a Jenin, giungano le solite ipocrite specificazoni, come quella che arriva dalla Germania, dove il ministro degli Esteri evidenzia, bontà sua, che Israele ha sì il diritto di difendersi come ogni Stato, dagli attacchi terroristici, ma, come ha poi aggiunto un portavoce del ministero, deve tenere bene a mente che il “principio della proporzionalità sancito dal diritto internazionale deve essere rispettato a Jenin”.
Il principio di proporzionalità, codificato per la prima volta nel 1907, venne concepito, come quello relativo al diritto di rappresaglia, poi abrogato, in merito ai conflitti tra Stati ed eserciti, principio che mai venne invocato durante le più catastrofiche guerre che sconvolsero l’Europa, la Prima e la Seconda, e che mai una volta abbiamo sentito richiamare in merito all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina.
La Germania, e a dire il vero nessun altro Paese, ha chiesto alla Russia di non venire meno al principio di proporzionalità nella guerra in corso, e, natutralmente nessuno lo ha mai fatto a proposito delle guerre del Golfo o delle guerre nei Balcani.
Ma Israele, si sa, è un caso a sè, gode del fenomenale privilegio di essere scrutinato perennemente come nessun altro Stato al mondo. Il principio di proporzionalità, come altri codici disattesi con straordinaria noncuranza nei confronti di altri conflitti, non può mai cessare di essere invocato puntualmente quando Israele opera a sua difesa contro il jihadismo.