David Menashri è professore ed esperto di storia moderna iraniana. Uno dei principali esperti di Iran, è anche il fondatore e il direttore dell’Alliance Center for Iranian Studies presso l’università di Tel Aviv. Menashri ha conseguito il dottorato di ricerca in Middle Eastern History presso l’Università di Tel Aviv nel 1982. Ha vissuto in Iran per studiare la rivoluzione, facendo ricerca nelle università del paese. Le sue ricerche riguardano le politiche iraniane, la società e la religione, ma anche il ruolo della dottrina sciita nell’islam politico e la storia della regione mediorientale. Il Professor Menashri ha tenuto corsi e lezioni presso università come Princeton, Cornell, Chicago, Yale, Oxford, Melbourne, Monash (Australia), Munich, Mainz, e la Waseda University di Tokyo. Attualmente è ricercatore senior presso l’Alliance Center for Modern Iranian History e il Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies.
La Dottrina della periferia, ovvero lo sviluppo di alleanze strategiche tra Israele e gli stati non Arabi del Medio Oriente per controbilanciare l’opposizione unita degli stati arabi, sembra aver fallito. Oggi possiamo notare con facilità che stati arabi come l’Egitto, la Giordania e l’Arabia Saudita si stanno avvicinando a Israele per contrastare le aspirazioni egemoniche dell’Iran. Come spiegheresti questo fenomeno e quali scenari possiamo aspettarci
Quando Israele venne fondata nel 1948, era circondata da stati ostili a maggioranza araba. Costruire delle relazioni con questi paesi non era possibile per Israele, poiché Egitto, Giordania, Libano e Siria aspiravano alla distruzione dello stato ebraico. Per questa ragione, durante gli anni ’50, David Ben Gurion elaborò questa dottrina non formale chiamata “Dottrina Periferica”. Visto che costruire relazioni con le nazioni confinanti sarebbe stato impossibile, Israele avrebbe dovuto approcciare un’alleanza con i “vicini dei vicini”, ovvero Iran, Etiopia e Turchia, e anche creare una rete di appoggio alle minoranze nel mondo musulmano (come i Curdi in Iraq o i Maroniti in Libano). Dal 1979, anno della Rivoluzione Islamica in Iran, la dottrina ha iniziato il suo lento declino: Turchia, Iran ed Etiopia hanno fronteggiato nuove sfide regionali e cambiato inevitabilmente le politiche riguardo Israele, ognuna a suo modo. Allo stesso tempo, Israele ha costruito lentamente ma con successo relazioni formali con Egitto e Giordania. Dopo la Primavera Araba, alcuni stai arabi moderati hanno compreso che Israele non è un vero e proprio nemico: il radicalismo islamico ha creato un avversario comune sia per Gerusalemme che per gli stati arabi più stabili, come l’Arabia Saudita. Negli ultimi due anni l’Arabia Saudita e l’erede al trono Mohammad Bin Salman hanno mostrato un cambio di atteggiamento nei confronti di Israele. Ciò che manca ancora per formalizzare delle relazioni positive tra i due paesi è una svolta nella questione israelo-palestinese, o almeno la ripresa dei negoziati. Non importa quanto il leader saudita apprezzi questa nuova alleanza con Israele: sarà difficile ufficializzare il tutto senza progressi circa la questione palestinese.
Come sappiamo, Israele ha aiutato l’Iran durante la guerra contro l’Iraq poiché quest’ultimo sembrava identificarsi come il peggior nemico di Israele. Perché, nonostante questo, la leadership iraniana ha costruito questa macchina propagandistica anti israeliana? Quali ragioni si celano dietro l’odio verso Israele?
La guerra tra Iran e Iraq è stata positiva per Israele perché due dei peggiori nemici di Gerusalemme si sono combattuti ( e di conseguenza indeboliti) a vicenda per otto anni. Israele ha venduto armi all’Iran perché considerava l’Iraq il suo acerrimo nemico durante quegli anni. Anche l’Iran si comportava come nazione ostile, ma era troppo debole e lontano per destare preoccupazioni. Era necessario aiutare l’Iran a non collassare a causa della guerra per proteggere gli interessi di Israele. In ogni caso, nella storia del popolo ebraico l’Iran ha sempre rappresentato un paese amico nel quale vivere con serenità. Durante il governo dell’ultimo Scià, Israele e Iran intrattenevano relazioni positive e lo stato ebraico non aveva mai guardato ai cittadini iraniani come a dei nemici.
Con la rivoluzione, il regime ha iniziato ad inculcare nelle menti della popolazione l’idea che Israele fosse il nemico principale. Perché? In primo luogo l’ideologia della Repubblica Islamica non potrebbe mai accettare il diritto degli ebrei di possedere uno stato proprio, soprattutto in Medio Oriente e con Gerusalemme come capitale. Questa premessa parte dall’assunto che la verità si identifichi nell’islam, ecco perché la menzogna del giudaismo non potrà mai prevalere sul diritto dei palestinesi musulmani. Israele, inoltre, aveva buone relazioni con lo Scià e con gli Stati Uniti, ecco perché poteva essere considerato il nemico perfetto da un punto di vista ideologico. La terza ragione è che la Rivoluzione Islamica in Iran è stata concepita per trasformare il paese nel leader dell’intero mondo musulmano, ed ogni nazione che, nella storia, si è identificata come leader del mondo islamico ha preso le parti dell’“oppresso” popolo palestinese. La politica di appoggio alla causa palestinese ad oggi è più forte che mai. È davvero difficile cambiare l’atteggiamento di ostilità nei confronti di Israele poiché il regime ha trasformato questa battaglia nella propria bandiera. Senza questi principi, senza anti-americanismo e manifestazioni di ostilità contro Israele, l’ideologia rivoluzionaria non avrebbe più motivo di esistere.
Qual è la Sua opinione riguardo il futuro del Medio Oriente dopo la guerra siriana? Credi che l’Iran avrà successo nel riuscire a creare un corridoio sciita attraverso Iraq e Siria?
L’Iran afferma che le sue attività fuori dal paese abbiano valide ragioni difensive. La leadership del paese crede che la presenza in Siria sia l’unico modo di proteggere Teheran. Io vedo molte similarità tra Sciiti ed Ebrei: crediamo entrambi di essere un popolo eletto ma allo stesso tempo ci sentiamo costantemente perseguitati. Anche l’Iran presenta importanti traumi derivamenti dal rapporto con l’Impero Ottomano prima, e dalla disastrosa guerra contro Saddam Hussein. Entrambi diciamo a noi stessi da decenni che le atrocità che ci hanno colpito non saranno mai ripetute. Ecco perché l’Iran spende una larga fetta del budget nazionale (e degli sforzi del paese), in Siria, Yemen e Libano. La Repubblica vuole controllare più territori e collegamenti in Medio Oriente utilizzando anche milizie straniere. Ad oggi i leader iraniani percepiscono le azioni esterne del paese come l’unica via per proteggere la Repubblica, la rivoluzione e l’unica vera interpretazione dell’Islam. Aiutare, inoltre, le milizie islamiche in varie parti del Medio Oriente è considerato un dovere, così come difendere le oppresse comunità musulmane in ogni angolo del mondo.
Durante il governo di Ahmadinejad, la questione del nucleare è stata al centro del dibattito politico iraniano. Cosa è cambiato con Rouhani? La Repubblica islamica sta ancora cercando di raggiungere un livello di arricchimento tale da poter costruire una bomba nucleare o la possibilità di dialogare con l’occidente ha ridimensionato tali aspirazioni?
Rouhani non è certamente un riformista, né un moderato. Sembra essere una figura pragmatica che privilegia le questioni interne. Sono sicuro che preferirebbe spendere meno denaro pubblico in attività fuori dal paese. Durante la prima campagna elettorale aveva affermato di voler portare al paese un modello di giustizia economica e sociale migliore di quello presente. Ha realizzato le sue aspirazioni? La sua politica lo ha condotto ai negoziati dell’accordo nucleare, che è stata un grande vittoria. L’accordo è stato accettato, nonostante non sia così semplice per gli elementi più conservatori della leadership del paese, firmare un accordo con gli Stati Uniti. Sfortunatamente, dall’approvazione dell’accordo, la situazione non è cambiata in maniera rilevante. L’accordo rappresenta di certo un grande successo per il governo di Rouhani, ma da quel momento l’occidente si sarebbe aspettato un cambio di atteggiamento da parte dell’Iran, sia a livello domestico (per quanto riguarda i diritti umani ad esempio) sia in politica estera. Il punto è che l’Iran non ha mai promesso un cambio di policy nei confronti dell’occidente, anzi non ha mai mancato di sottolineare come il contrasto alle politiche americane (rappresentato dal grido Death to America), non avrà mai fine.
L’accordo sul nucleare non ha, sfortunatamente, avuto l’effetto di rendere l’Iran un interlocutore più moderato in ambito di diritti umani e politiche regionali. Quali sono stati gli errori dell’occidente nel modo in cui ha approcciato la questione e perché, nonostante l’aggressività della Repubblica Teocratica, si continua ad appoggiare il JCPOA?
Il più grande errore dell’occidente è stato non inserire il programma missilistico, la questione dei diritti umani e le politiche estere dell’Iran dentro l’accordo. Formalmente l’Iran afferma di attenersi all’accordo ma da un punto di vista meno formale non hanno fatto nulla per dimostrare la buona volontà di rispondere positivamente alle aspettative dell’occidente. La nuova amministrazione americana sta spaventando l’Iran e il paese non sa cosa aspettarsi da loro. Adesso, come spesso ha fatto l’Iran, è il momento di prendersi il vantaggio dalla realtà regionale che sembra in continuo cambiamento, in particolare rafforzando le relazioni con la Russia. Ad ogni modo la Russia non vede di buon occhio la possibilità che l’Iran sviluppi un programma nucleare militare, perché significherebbe avere una nuova potenza nucleare affacciata ai suoi confini. Per adesso, comunque, i due attori presentano interessi comuni nell’intenzione a mantenere Assad al potere. Israele anche ha delle relazioni positive con la Russia, ma Gerusalemme sa che Mosca guarda sempre prima ai propri interessi.
Qual è esattamente il ruolo del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie? Cosa significa ad oggi proteggere la rivoluzione e da chi?
Il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie protegge il regime islamico. Cosa significa proteggere? Proteggere la rivoluzione significa operare con un braccio armato per difenderne l’ideologia e il regime attuale. Quando è stato concepito e creato aveva essenzialmente una funzione domestica, ma ad oggi l’obiettivo dell’IRGC è quello di mantenere un certo grado di influenza dell’ideologia sciita nella regione, operando principalmente in Siria, Libano, Iraq e Yemen. Dobbiamo comprendere che l’Iran oggi è considerato il centro nevralgico dell’islam e la nazione leader nel mondo musulmano. La leadership del paese è convinta non solo che Teheran oggi sia la capitale dell’Islam, ma anche che tutti i musulmani siano tenuti a giurare fedeltà all’Ayatollah Khamenei.
L’Iran è stato un impero (Ciro il Grande), e ancora oggi in molte dichiarazioni dei suoi esponenti politici di maggiore rilievo possiamo vedere come essi si percepiscano ancora parte di un antico e potente impero. Nel ventesimo secolo la cultura occidentale si è basata sul consumismo e sulle ideologie importate dagli Stati Uniti. Il clero della Repubblica Teocratica crede fermamente che l’ideologia del domani sia l’interpretazione iraniana dell’Islam, credono molto in questa prospettiva e la connettono con le aspirazioni regionali della nazione che rappresentano. La ragione per il quale i Pasdaran sono ancora così potenti è che il paese ha bisogno di avere un corpo di difesa della rivoluzione per far credere che ci sia un nemico esterno pronto ad attaccare i valori fondanti del paese. Accusare Israele e gli Stati Uniti allontana gli sguardi dell’opinione pubblica dalla corruzione interna nascondendo le responsabilità dell’élite istituzionale e del clero per tutte le problematiche interne. Israele non ha mai scelto di essere considerata un nemico dell’Iran. Eppure, i policymaker Iraniani hanno selezionato Israele perché è un nemico “facile”: amico degli Stati Uniti e alleato dello Scia, esso rappresenta la migliore alternativa da incolpare per coprire i fallimenti di Teheran e la precaria condizione economica dei suoi abitanti.
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