La guerra a Gaza, iniziata con l’aggressione di Hamas nei confronti di Israele il 7 ottobre 2023, ci ha consegnato due fenomeni interconnessi e paralleli: la più feroce propaganda contro Israele di cui si abbia memoria e il più copioso rigurgito di antisemitismo dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi.
Era tutto, a guardare bene, ampiamente prevedibile, dopotutto la propaganda contro lo Stato ebraico è cominciata subito dopo la guerra dei Sei Giorni e ha avuto nell’ONU, fin da allora, una delle sue agenzie principali, quando propose la Risoluzione 242 che i russi e gli arabi cercarono di modificare per obbligare Israele a Israele ritirarsi da tutti i territori conquistati, ovvero anche da Gaza e dalla Cisgiordania che gli erano stati assegnati dal Mandato Britannico per la Palestina del 1922.
Da allora è stato un crescendo senza sosta, un macinare di risoluzioni avverse sotto regia sovietica con il concorso arabo e degli Stati nell’orbita sovietica, (la Russia è stata il grande laboratorio dove si è costruito tutto l’armamentario lessicale contro Israele in uso ancora oggi, Stato “razzista”, “nazista” “genocida”, dove si pratica l’apartheid), per continuare con lena piena anche dopo il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione del Moloch sovietico.
Per quanto concerne l’antisemitismo, va detto che non ha mai abbandonato la scena da duemila anni a questa parte, con alti e bassi, ed è sempre cresciuto tutte le volte che Israele ha dovuto entrare in guerra, perché ciò che proprio agli ebrei non si riesce a perdonare è che sappiano combattere e vincere le guerre, soprattutto nel mondo islamico, dove per secoli erano considerati succubi, dhimmi, e lì, in quel ruolo, dovevano restare per sempre, come fossili.
Acme del processo propagandistico e suo maggiore successo è stata l’invenzione della Palestina, regione popolata da un popolo antichissimo, quello palestinese appunto, anche quando la geografia era ripartita tra Giudea, Samaria e Galilea, regioni dove predicava Gesù, a cui, al posto del talit è stato poi fatta indossare la kefiah in quel processo di appropriazione culturale che ha espropriato gli ebrei anche del Muro Occidentale, rinominato dall’UNESCO in onore del Burak, il mitico quadrupede alato con cui Maometto sarebbe volato a Gerusalemme mai citata nel Corano. Dalla Palestina è disceso per filiazione uno Stato palestinese, senza confini, capitale e moneta, ma accolto all’ONU in virtù di osservatore e oggi riconosciuto virtualmente da Spagna, Irlanda, Norvegia e Slovenia.
Si tratta di capolavori, a cui si è aggiunto il vertice odierno, l’accusa di genocidio che Israele avrebbe compiuto a Gaza dove secondo la rivista Lancet, già prodiga in passato di accuse a Israele, non sarebbero morti quarantaduemila civili (nessun miliziano jihadista) ma addirittura centosessantaseimila, in attesa di nuove cifre più cospicue che, a questo punto, presto supereranno i cinquecentomila morti della guerra siriana, anche se nessuno ha mai accusato Assad di genocidio o ha emesso nei suoi confronti mandati di arresto come è successo a Netanyahu.
Si potrebbe continuare ma ci fermeremo qui, lo spazio non basterebbe. Nonostante questo e altro, c’è da dire che Israele la guerra la sta vincendo, non l’ha ancora vinta ma è sulla buona strada, con Hamas a pezzi a Gaza, Hezbollah assai malconcio e privo della parte più consistente del suo quadro dirigente, Assad fuggito in Russia e l’Iran, grande sponsor che guarda affranto il crollo dell'”asse della resistenza” e il volatizzarsi in fumo dei milardi di dollari spesi per sostenerlo.
C’è da aggiungere che a breve Donald Trump tornerà alla Casa Bianca e Netanyahu e il suo governo ne usciranno rafforzati. Malgrado il turpe cancan anti-israeliano, non sono buoni giorni per gli antisemiti e gli odiatori di Israele.