Oggi più che in passato si è molto diffusa la credenza che l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) sia un organismo internazionale dotato di potere legislativo, cioè che sia un organo titolato a emanare norme di diritto internazionale. Così non è ma purtroppo su questa convinzione errata sono stati creati, e si continuano a creare numerosi miti. Tra questi, supinamente accettati dai “seguaci” del diritto internazionale, i più diffusi sono senza dubbio quelli relativi alle risoluzioni emanate dai vari organismi onusiani in particolar modo quelle approvate dell’Assemblea Generale o dal Consiglio di Sicurezza e considerate legge internazionale. Come si spiegherà nelle prossime pagine né il Consiglio di Sicurezza (salvo rare e ben precise eccezioni) né tanto meno l’Assemblea Generale sono titolati a fare leggi internazionali. Quali sono, allora, le sole fonti del diritto internazionale? Le fonti riconosciute sono quelle riportate nell’articolo 38 dello Statuto della Corte di Giustizia Internazionale che si riporta di seguito:
Articolo 38
l. La Corte, la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica:
a. le convenzioni internazionali sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute dagli Stati in lite;
b. la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto;
c. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;
d. con riserva delle disposizioni dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni come mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche.
Come si intuisce facilmente le uniche fonti di diritto internazionale riconosciute sono le convenzioni e il diritto consuetudinario. In pratica sono solamente gli Stati che fanno le norme di diritto e non le organizzazioni internazionali come l’ONU che non è un organo legislativo ma è semplicemente un’organizzazione politica composta da Stati. La stessa Corte di Giustizia Internazionale non emana norme di diritto internazionale se non nel caso specifico di una sentenza richiesta espressamente da due Stati in contenzioso che ne richiedono una sentenza. Essa diviene vincolante solamente per i due Stati che ne hanno richiesto il giudizio.
Allora quali sono le competenze dell’ONU? L’ONU è stata creata nel 1945 per dirimere pacificamente eventuali controversie che si possono creare tra gli Stati mediante proposte e pareri per evitare conflitti armati.
Le funzioni dell’ONU sono ben enunciate nell’articolo 1 dello Statuto:
1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace.
2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale.
3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione.
4. Costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni.
Una volta compresi bene il ruolo e le competenze dell’ONU possiamo valutare in modo preciso le sue proposte o le sue decisioni. Per prima cosa – leggendo con attenzione i 111 articoli che ne compongono lo Statuto – si scopre in modo inequivocabile che l’ONU non crea gli Stati né tantomeno ne definisce i confini perché è priva di sovranità territoriale. Questa regola vale anche per i Mandati internazionali ereditati dalla precedente Società delle Nazioni (Articolo 80) e per i territori amministrati in regime fiduciario. Questo lo si evince chiaramente leggendo gli articoli del Capitolo XII dello Statuto che in modo inequivocabile parla unicamente di “amministrazione” e non di “sovranità”. In pratica l’ONU può semplicemente accettare quegli Stati (che sono già esistenti e indipendenti) che facciano richiesta di adesione per ammetterli in seno all’organizzazione stessa. Per il diritto internazionale la condizione indispensabile, per un popolo di un determinato territorio, per essere riconosciuto come Stato è il rispetto delle condizioni minime previste dalla Convenzione di Montevideo del 1933 e solo dopo può essere accettato come membro dell’ONU.
Ora vediamo le competenze dei suoi principali organi: l’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza. Per quanto riguarda l’Assemblea Generale, il Capitolo IV dello Statuto ne disciplina la composizione e le attività. In modo particolare l’Articolo 10 ne indica le funzioni e i poteri:
L’Assemblea Generale può discutere qualsiasi questione od argomento che rientri nei fini del presente Statuto, o che abbia riferimento ai poteri ed alle funzioni degli organi previsti dal presente Statuto o, salvo quanto disposto dall’articolo 12, può fare raccomandazioni ai Membri delle Nazioni Unite od al Consiglio di Sicurezza, o agli uni ed all’altro, su qualsiasi di tali questioni od argomenti.
Una attenta lettura dell’Articolo 10 ci fa comprendere che l’Assemblea Generale può solamente dare pareri e proporre soluzioni agli Stati membri o al Consiglio di Sicurezza. Le uniche materie sulle quali ha potere decisionale sono: l’approvazione del bilancio dell’organizzazione stessa (Articolo 17); e l’ammissione di nuovi Stati membri dell’organizzazione (Articolo 18) ma solo dopo che il Consiglio di Sicurezza ne ha approvato la domanda.
Per quanto riguarda il Consiglio di Sicurezza, i Capitoli V, VI, VII, e VIII dello Statuto ne disciplinano le attività. A differenza dell’Assemblea Generale, il Consiglio di Sicurezza può, in determinate circostanze, prendere decisioni vincolanti per gli Stati membri: quando esso ravvisa che la pace è in pericolo o si è verificata una aggressione militare da parte di uno Stato nei confronti di un altro. In questi unici casi ha il potere di intervenire, anche militarmente, per porre fine all’aggressione o alla minaccia della pace. Per questi motivi le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza diventano – in base agli articoli del Capitolo VII dello Statuto ONU – vincolanti per lo Stato (o gli Stati) coinvolti. Così recita l’Articolo 39:
Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale.
Come si evince chiaramente dal testo dell’articolo, il Consiglio di Sicurezza può decidere (quindi prendere decisioni vincolanti) solo dopo che ha accertato l’esistenza di una minaccia alla pace o di un atto di aggressione.
A quanto finora detto bisogna riportare una eccezione relativa all’Assemblea Generale e una interpretazione relativa al Consiglio di Sicurezza in base all’Articolo 25 dello Statuto.
In merito alla possibilità dell’Assemblea Generale, di approvare risoluzioni vincolanti, esiste una eccezione voluta dagli USA. Anche in questo caso si tratta esclusivamente di situazioni in cui la pace è minacciata o si è in presenza di atti di aggressione di uno Stato verso uno o più Stati. Il 3 novembre 1950, il Segretario di Stato USA Dean G. Achenson, fece approvare all’Assemblea Generale dell’ONU la Risoluzione 377, meglio nota come “Uniting for Peace”, che permetteva all’Assemblea Generale, convocata in Sessione Speciale d’Emergenza, di prendere decisioni vincolanti, in caso di “minacce alla pace” o di “aggressione” da parte di uno Stato, solo in caso di un prolungato stallo del Consiglio di Sicurezza. Va sottolineato che all’epoca si era in piena guerra fredda e l’URSS poneva ripetutamente il veto ad ogni risoluzione del Consiglio di Sicurezza riguardo la guerra di Corea che era scoppiata alcuni mesi prima. All’epoca di questi fatti gli USA e l’Occidente controllavano l’Assemblea Generale in quanto la maggior parte degli Stati riconosciuti erano alleati con l’Occidente (difatti l’URSS e gli Stati satelliti votarono contro l’approvazione di tale risoluzione). L’influenza occidentale sull’Assemblea Generale iniziò, però, ad affievolirsi negli anni Sessanta con l’ingresso all’ONU dei paesi che erano nati dal processo di decolonizzazione. I nuovi Stati indipendenti che formarono, principalmente, il blocco dei paesi “non allineati” erano di fatto alleati politicamente all’URSS. Questa forzatura politica del diritto internazionale voluta da Achenson poteva rivolgersi così contro l’Occidente o i suoi alleati. Israele ne fu inevitabilmente lambito. Infatti, è da ricordare che subito dopo la fine della guerra dei Sei giorni, l’Unione Sovietica per potere imporre la sua visione del conflitto che individuava in Israele l’aggressore e non l’aggredito, nonostante fosse palese il contrario, e così scavalcare il veto angolo-americano alle sue proposte di risoluzione di condanna, si rivolse all’Assemblea Generale. Il 19 giugno 1967, su richiesta sovietica, fu convocata l’Assemblea Generale in Sessione Speciale d’Emergenza, per portare al voto la condanna di Israele. Dopo due mesi di dibattimenti l’Assemblea Generale bocciò la tesi sovietica e dichiarò che Israele era l’aggredito e non l’aggressore. La questione ritornava di competenza del Consiglio di Sicurezza. A novembre fu approvata la Risoluzione 242 dal Consiglio di Sicurezza. Questa risoluzione è la base di tutti i successivi accordi tra arabi e israeliani.
In merito all’articolo 25 dello Statuto ci sono diverse interpretazioni dei giuristi. L’articolo 25 recita:
“I membri delle nazioni unite convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni del presente Statuto“.
La prima parte dell’articolo sembra che dia ampio potere al Consiglio di Sicurezza di prendere decisioni vincolanti in base a questo articolo, però la dicitura “in conformità alle disposizioni del presente statuto” è generalmente interpretata come la distinzione di competenze tra il Capitolo VI e il VII (cioè tra raccomandare e decidere). Per alcuni giuristi, però, se in una qualsiasi risoluzione compare il verbo “decide” o “dichiara” questa è vincolante. Questa tesi risulta debole in quanto in tutto il Capitolo VI (relativo alla soluzione pacifica delle controversie) non compare il verbo “decide” ma solamente “raccomanda” quindi nulla di vincolante. Dalla fondazione delle Nazioni Unite la sola risoluzione ritenuta vincolante (presa in base al Capitolo VI) è la 276 del 1970 relativa alla controversia sulla Namibia. Ma anche su questa non c’è unanimità di parere.
Ora proviamo ad applicare queste regole al caso di Israele per comprendere quale valore possono avere le principali risoluzioni dell’ONU che lo riguardano a partire dalla Risoluzione 181 del 1947 emanata dall’Assemblea Generale.
Come si è precedentemente visto, l’articolo 10 dello Statuto ONU non dà nessun potere decisionale all’Assemblea Generale, di conseguenza il “mito della 181” con il quale si ritiene che Israele sia nato non ha nessun valore legale. Quello era già contenuto nel Mandato per la Palestina del 1922. La conseguenza vincolante di questo trattato internazionale si deve applicare anche ai confini stessi di Israele: cioè quelli che vanno dal Mediterraneo al fiume Giordano ad est, oltre che i confini mandatari con il Libano e l’Egitto, ciò in base al principio del diritto internazionale noto come uti possidetis iuris. Il solo modo di superare questo principio, per modificare dei confini, è quello di trovare un accordo (pacifico) con gli Stati confinanti. Nel caso, invece, di due popoli che abitano lo stesso territorio e vogliono separarsi possono decidere (pacificamente) i nuovi confini dei rispettivi Stati, come, ad esempio, è successo nel caso dei nuovi Stati di Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca nati dalla precedente Repubblica di Cecoslovacchia. Nel caso di Israele, questa opportunità – raccomandata anche dall’ONU con la Risoluzione 181 – è venuta meno a causa della guerra civile scatenata dagli arabi di Palestina coadiuvati dall’aggressione di 5 Stati arabi.
Una volta chiarito che l’ONU, nel territorio mandatario, non aveva nessun potere per decidere la creazione di due Stati né i loro confini, alcuni giuristi si sono inventati la tesi secondo la quale i confini legittimi del neo nato Stato di Israele fossero quelli emersi dagli accordi per il cessate il fuoco del 1949. Questa tesi non stà in piedi in quanto gli accordi per il cessate il fuoco definivano in modo inequivocabile che le linee di armistizio non avevano valenza di confine e non pregiudicavano in nessun modo le rivendicazioni territoriali degli Stati coinvolti negli accordi. Se a questo aggiungiamo che l’aggressione araba fu un atto illegale per il diritto internazionale la conseguenza è che le relative conquiste territoriali furono illegali per il principio legale ex iniura non oritur ius. In pratica le loro rivendicazioni territoriali non hanno valore e non lo hanno mai avuto.
Un’altra tesi propugnata da zelanti giuristi per dichiarare l’illegalità della presenza ebraica in Giudea, Samaria e Striscia di Gaza, è il fatto che quando Israele dichiarò la propria indipendenza non aveva il controllo dei suddetti territori. Anche questa tesi non ha nessun riscontro nel diritto internazionale; infatti, tutti i casi analoghi sono stati trattati in modo opposto: ad esempio, nessuno hai mai dichiarato che la riconquista del territorio della Kraijna da parte della Croazia (che non la controllava quando si dichiarò indipendente nel 1991) fosse un’occupazione illegale in quanto era stata parte del territorio della Repubblica croata di Jugoslavia. Oppure il caso del Nagorno-Karabakh riconquistato dall’Azerbaijan dopo 19 anni dalla sua proclamazione di indipendenza e da nessuno considerato come occupazione territoriale. Così come sarebbe una sciocchezza considerare la Crimea, se un giorno l’Ucraina riuscirà a riprenderla, come un territorio occupato dagli ucraini.
Il fatto di voler dare valenza legale a delle risoluzioni che questa valenza non hanno, succede solo ed esclusivamente quando si tratta di Israele. Ma anche in questi casi la prova dei fatti smentisce questa tesi. Proviamo a fare degli esempi. Se si ritiene che le risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU abbiano valenza legale, allora tutte le sue risoluzioni devono avere valenza legale e non solo quelle che “piacciono” più di altre. Così, ad esempio, se la Risoluzione 181 è legge, lo è anche la 3236 approvata dalla medesima Assemblea Generale nel novembre del 1974 con la quale si affermava “il diritto all’indipendenza nazionale e alla sovranità in Palestina” del popolo palestinese senza tracciare confini di sorta, quindi di tutta la terra ad ovest del Giordano. Oppure si può considerare legge, la Risoluzione 3465b del novembre 1979 dell’Assemblea Generale che dichiarava nullo il trattato di pace tra Israele e l’Egitto. Quindi si deduce che l’Assemblea Generale avrebbe più potere di un trattato internazionale come è quello di pace tra Egitto e Israele.
Vediamo un altro esempio. E’ ancora oggi giustificato, dalla maggior parte degli Stati al mondo, il fatto che Gerusalemme non sia la capitale di Israele – anzi che Gerusalemme non sia proprio parte di Israele – perché si vuole dare validità legale alla Risoluzione 181 che la prevedeva come città internazionale. Se utilizziamo lo stesso principio, allora cosa dire in merito alla Risoluzione 16 del Consiglio di Sicurezza del gennaio 1947 con la quale si stabiliva che la città di Trieste diventava città internazionale (come Gerusalemme nella 181)? Per di più è acclarato che le risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza hanno ancor più “peso” di quelle dell’Assemblea Generale quindi sarebbero più vincolanti dal punto di vista legale. Tale risoluzione non è mai stata abrogata. Se ne deduce che Trieste, allora, non fa parte dell’Italia? Perché tutti invece la considerano parte integrante del territorio italiano e non una città occupata? Semplicemente perché queste risoluzioni sono meri atti politici e non legali e come tali vengono utilizzate per fini politici mascherati da pseudo giurisprudenza.
In conclusione, è fondamentale capire quali sono le reali competenze dell’ONU e quali sono le fonti del diritto internazionale per non cadere nelle trappole dell’odierno lawfare contro Israele che ha radici esclusivamente politiche e che nulla hanno a che fare con ciò che stabilisce il diritto internazionale.