Il 28 settembre 2000, Ariel Sharon, allora capo dell’opposizione alla Knesset, fece una passeggiata presso il Monte del Tempio, luogo considerato sacro anche dai musulmani col nome di Spianata delle moschee.
Nella versione corrente, la passeggiata di Sharon, subito qualificata come «provocazione», avrebbe dato inizio alla Seconda intifada, ossia l’Intifada di al-Aqsa. Ma, come testimoniato dalla stessa moglie di Arafat, non fu la passeggiata del leader israeliano alla Spianata delle Moschee a scatenarla, poiché questa era già stata programmata dal capo dell’OLP.
Alcuni giorni fa, il ministro israeliano per la sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, si è recato al Monte del Tempio per la ricorrenza di Tisha b’Av, durante la quale gli ebrei di tutto il mondo piangono la distruzione del primo e del secondo tempio di Gerusalemme. Tale visita ha scatenato le ire del mondo arabo e dell’Amministrazione statunitense.
Il ministero degli Esteri saudita ha definito la recente visita di Ben-Gvir come una «flagrante violazione di tutte le norme internazionali e accordi» e una «provocazione per tutti i musulmani del mondo». Incurante del jihad in corso contro lo Stato di Israele e della negazione dei diritti dei suoi cittadini alla preghiera sul Monte del Tempio, l’amministrazione Biden ha condannando la visita del ministro israeliano affermando che «Qualsiasi azione o retorica unilaterale che metta a repentaglio lo status quo è inaccettabile».
Le dichiarazioni dei sauditi e dei democratici americani sono condivise da ampi settori dell’ebraismo presuntivamente «progressista» e «illuminato».
Viene spontaneo chiedersi: per quale ragione la visita al Monte del Tempio da parte di un politico israeliano sarebbe una «provocazione»? Ben-Gvir ha forse impedito ai fedeli musulmani di recarsi presso la moschea di al-Aqsa? Le critiche al ministro della sicurezza nazionale e, di riflesso, a tutto il governo, sono motivate da mero odio politico.
Gli ebrei, nell’indifferenza generale, sono da anni vittime di aggressioni nei loro pellegrinaggi al Monte, presso cui sono costretti a recarsi sotto pesante scorta armata. I musulmani, infatti, vorrebbero abolire ogni presenza ebraica da quel luogo, che considerano di esclusiva appartenenza islamica. Lo «status quo» difeso dai filopalestinesi è quello delle violenze, fisiche e simboliche, a danno dei religiosi ebrei.
Ben-Gvir, inoltre, ha avuto il merito di sottolineare come il ridotto numero di visitatori ebrei presso il sito – o addirittura la loro assenza – implicherebbe un minor numero di agenti di polizia israeliani di stanza presso il Monte del Tempio, «il che creerà un terreno fertile per massicce manifestazioni di incitamento all’omicidio di ebrei e persino uno scenario in cui verranno lanciate pietre contro i fedeli ebrei al Muro Occidentale», come ha dichiarato il ministro.
Scenari terribili che i benpensanti non intendono prendere in considerazione, preferendo accusare, oggi come ai tempi di Sharon, la destra di «irresponsabilità». Al contrario, gli unici a essere sconsiderati, al momento, sono coloro che, pur di minare Netanyahu, prestano il fianco o tendono la mano agli odiatori seriali dello Stato d’Israele.