Stati Uniti e Israele

Il punto è la fuga di notizie

La rivelazione che il presidente Trump abbia “sventato” un attacco guidato da Israele contro il programma nucleare iraniano è la seconda parte più degna di nota del grande scoop del New York Times uscito l’altro ieri. Ancora più significativo è il fatto che l’articolo esista davvero, e sia stato pubblicato proprio in questo momento.

Lo scopo principale dell’articolo non è quello di documentare le deliberazioni interne, ma di fungere da strumento politico in . Vale a dire, ostacolare la futura politica estera di Stati Uniti e Israele divulgando sufficienti dettagli sui piani di Israele, al fine di proteggere i siti nucleari iraniani. L’idea è quella di costringere i pianificatori israeliani a tornare alla lavagna, ritardando così un possibile futuro attacco all’Iran fino a quando le difese aeree iraniane non saranno state ricostruite.

Per capirne il motivo, è fondamentale avere un quadro chiaro delle due fazioni all’interno della cerchia ristretta di Trump in materia di sicurezza nazionale. Ci sono i sostenitori della non proliferazione, che danno priorità al blocco della diffusione del potenziale nucleare e poi i rivali interni dei sostenitori della non proliferazione i quali credono in sfere di influenza di stampo novecentesco, con l’obiettivo di esonerare l’America dai propri obblighi.

Tra i disinvestitori all’interno dell’amministrazione figurano Tulsi Gabbard, l’ex deputata democratica filo-autoritaria ora direttrice dell’intelligence nazionale; J.D. Vance, il vicepresidente; e Susie Wiles, capo dello staff del presidente. Tra coloro che sono istintivamente propensi alla non proliferazione figurano Mike Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale; Pete Hegseth, segretario alla Difesa; e il generale Michael Kurilla, capo dello U.S. Central Command.

Al momento, i disinvestitori godono di un vantaggio per ragioni del tutto non politiche. Hegseth ha dimostrato una pessima capacità di giudizio in quello che è diventato noto come Signalgate, in cui il Segretario alla Difesa ha caricato i piani di battaglia statunitensi su una chat non protetta a cui Walz aveva accidentalmente aggiunto un giornalista. Nessuno dei due ha subito conseguenze per la mancanza di protezione, ma entrambi sono stati chiaramente indeboliti dalle ricadute pubbliche. Nel frattempo, il periodo di servizio di Kurilla termina quest’anno.

Quest’ultimo punto è uno dei motivi per cui Israele avrebbe ordinato di riformulare i piani d’attacco in modo che la missione potesse essere lanciata prima dell’uscita di scena di Kurilla. Le tendenze isolazioniste di Gabbard e l’incoerente cinismo di Vance in stile Roosevelt, nei confronti degli alleati sono ora i filoni ideologici dominanti all’interno del governo Trump, e il presidente ha bocciato i piani d’attacco.

Kurilla non è l’unica ragione per cui il tempo è essenziale. L’anno scorso, gli attacchi di rappresaglia israeliani contro l’Iran hanno ridotto in macerie i sistemi di difesa aerea di Teheran. I sostenitori della non proliferazione sono aperti all’idea di trarre vantaggio da questa situazione, che rende qualsiasi coinvolgimento degli Stati Uniti in eventuali attacchi, significativamente meno pericoloso, ponendo (probabilmente) fine in modo permanente alla minaccia nucleare dell’Iran, uno stato mediorientale cliente di Cina e Russia.

I disinvestitori non vogliono questo risultato. Non vedono la proliferazione nucleare iraniana come una minaccia così grave e sono a loro agio con l’egemonia iraniana sui nostri alleati e sulle rotte commerciali della regione. Questo era anche l’approccio del presidente Obama: rafforzare l’Iran e indebolire sauditi e Israele in modo che emergesse un magico equilibrio di potere e mantenesse il Medio Oriente in equilibrio, probabilmente con una cascata di proliferazione nucleare in tutta la regione. Sebbene incoraggiare questa cascata nucleare in Medio Oriente sia un atto di stupidità apocalittica, ai presidenti (e al Congresso) piace avere delle scuse per rimandare la questione.

E tirare la corda consiste proprio in questo. Trump è stato convinto a tentare di negoziare con l’ayatollah Khamenei, che abbandonerà il tavolo delle trattative non appena le difese dell’Iran saranno in condizioni migliori.

In linea con questa linea, parte dei piani frettolosi di Israele per colpire l’Iran – quelli che si intendevano lanciare mentre Kurilla era ancora in attività – includevano l’ulteriore demolizione delle difese iraniane. Se ciò non fosse accompagnato dal bombardamento dei siti nucleari iraniani, almeno darebbe all’Occidente più tempo per farlo, ampliando la finestra di opportunità.

È qui che entra in gioco l’articolo del New York Times. Le fughe di notizie dettagliate sono molto probabilmente il tentativo della fazione Gabbard di ritardare anche un attacco di quel tipo, comunicando agli iraniani cosa devono aspettarsi. È difficile vedere in ciò qualcosa di diverso dal fatto che il direttore dell’intelligence nazionale abbia permesso ai servizi segreti statunitensi e israeliani di essere esposti al cospetto di uno stato nemico.

Il punto è la fuga di notizie. È una mossa tattica per aiutare l’Iran a silurare l’azione americana. Questo è l’intento, comunque.  Il suo successo potrebbe dipendere dalla determinazione di Walz e Hegseth di riuscire a fare sentire la loro voce.

Traduzione di Niram Ferretti

https://www.commentary.org/seth-mandel/the-leak-was-the-whole-point/

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