Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

“Il problema è l’uomo bianco”

“La cultura del piagnisteo è il cadavere del liberalismo degli anni Sessanta, è il frutto dell’ossessione per i diritti civili e dell’esaltazione vittimistica delle minoranze”, scriveva il grande Robert Hughes.

Il politicamente corretto è un epifenomeno di questa cultura che si declina come illuminata e progressista ma che in realtà è condiscendente e razzista e profondamente impregnata di ideologia. Prendiamo spunto da un recente articolo di David Bernstein sul Washington Post, in cui il columnist fa riferimento al post di una studentessa ebrea americana la quale racconta di come nel suo college molto costoso e molto progressive, Oberlin, nell’Ohio, gruppi di studenti pro-pal abbiano definito la shoah “un crimine bianco nei confronti dei bianchi”. Questa definizione razziale sottrae il genocidio ebraico alla sua specificità facendone un mero episodio della lotta di potere dei bianchi contro i bianchi per il dominio del pianeta. Certo gli ebrei non avevano un esercito da contrapporre a quello nazista, ma non importa, la loro sorte è la conseguenza delle grandi guerre dell’uomo bianco. Naturalmente bisogna aggiungere che l’uomo bianco, il caucasico, è imperialista e sfruttatore per natura nei confronti di un terzo mondo innocente per definiendum, e quindi vittima della sua volontà di potenza.

In questa ben oleata e consolidata narrativa progressista, Israele e il sionismo, da cui Israele è nato, rappresentano l’ultimo e più odiato risultato dell’imperialismo occidentale. Se si riduce l’odio per Israele al mero antisemitismo si fa torto a molte persone che di fatto antisemite non sono, ma pensano realmente che gli israeliani siano come i boeri in Sudafrica, i francesi in Algeria, gli inglesi in India, e così via. “L’esaltazione vittimistica delle minoranze”, di cui parla Hughes rappresenta il martirologio preferito dei liberals e delle sinistre in generale, la fonte primaria per l’edificante mitologia manichea in cui il cattivo (l’Occidente) deve espiare le sue colpe nei confronti del buono oppresso (il Terzo Mondo).

Israele, per i più estremisti tra di loro, è un crimine dell’Occidente imperialista ai danni di una popolazione autoctona “nera” espropriata della propria terra. Se non si capisce che insieme all’antisemitismo agisce anche e fortemente questo aspetto, sì da formare un dispositivo combinato di grande forza e presa, sfugge un elemento fondamentale per comprendere da dove nascano le feroci pregiudiziali anti-israeliane e anti-sioniste.

L’episodio di cui parla Bernstein nel suo articolo è emblematico di una mentalità forgiata e radicata, la quale ha la sua origine nella propaganda sovietica antisionista attivatasi a partire dalla fine degli anni Cinquanta e innestatasi poi sul furioso antiamericanismo e antioccidentalismo degli anni Sessanta e Settanta, i cui miasmi sono ancora perduranti.

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