La liberazione degli ostaggi, “ad ogni costo”, come era scritto su un cartello di una manifestante a Tel Aviv è, di fatto, la richiesta per la capitolazione di Israele nei confronti di una sanguinaria organizzazione terroristica che ha perpetrato il maggiore eccidio di ebrei dalla Seconda guerra mondiale ad oggi.
Il prezzo delle trattative con i terroristi, in genere, è quello di mettere lo Stato che tratta in posizione di inferiorità, per l’ovvia ragione che, chi detiene gli ostaggi, ha sempre concretamente un vantaggio da ottenere se non maggiore, proporzionato a quello della controparte.
La partita che Israele sta giocando con Hamas a Gaza è ancora del tutto aperta, la vittoria non è affatto conseguita e Hamas farà tutto quello che gli è possibile perché non abbia luogo, in questo senso gli ostaggi sono la pedina più importante da giocare.
Benjamin Netanyahu, sotto la forte pressione delle famiglie degli ostaggi e della Casa Bianca che vuole l’accordo, essendo esso in allineamento con la dottrina Biden, proseguimento di quella Obama, di appeasament in Medio Oriente, con l’Iran soprattutto, cerca di resistere.
La resistenza di Netanyahu, che dopo la catastrofe del 7 ottobre di cui è certamente in buona parte responsabile insieme a tutto l’appartato di sicurezza e dell’esercito israeliano, non piace agli Stati Uniti i quali vorrebbero che la guerra a Gaza si concludesse in fretta per avvantaggiare Biden nella sua corsa elettorale, e anche a chi, nel Gabinetto di guerra, in testa Benny Gantz, sembra ritenere che la priorità di Israele non sia più quella di smantellare Hamas a Gaza ma di liberare gli ostaggi.
È la ragione per la quale si cerca di presentare Netanyahu come un oltranzista a sua volta ostaggio dei suoi alleati di governo. Non è certo un caso, quindi, che Yair Lapid, il leader di Yesh Atid, si è prontamente offerto di rimpiazzare i partiti della destra nazionalista se questo dovesse servire per il rilascio degli ostaggi.
A Washington, Lapid è molto apprezzato. Non crea problemi ed esegue prontamente le indicazioni ricevute, sarebbe dunque l’ideale al posto degli “impresentabili” Ben Gvir e Smotrich, la cui colpa principale e di non volere uno Stato palestinese in Cisgiordania e Gaza, che invece l’Amministrazione Biden vorrebbe imporre a Israele.
Il tentativo di rimuovere Netanyahu e il governo in carica dalla scena è, con il concorso esterno americano, in corso da quando è stato eletto, e si è palesemente manifestato durante il periodo delle manifestazioni contro la riforma della Giustizia, sui cui itinere la Casa Bianca ha ingerito pesantemente.
Netanyahu e questo governo restano dunque l’unico forse troppo fragile bastione per contrastare le mosse americane insieme a quelle della variegata galassia dell’opposizione di governo intese a fare perdere a Israele la guerra a Gaza e consegnare la vittoria a Hamas.