Editoriali

Il perpetuarsi dell’impasse

La quarta tornata elettorale in Israele nell’arco di due anni fotografa una immagine già vista.

Benjamin Netanyahu non ha il numero sufficiente di seggi, 61, per potere governare. Anche se Yamina, la formazione di Naftali Bennett, decidesse di appoggiare la coalizione da lui guidata, si arriverebbe a 59 seggi.

Ra’am la formazione araba di Mansour Abbas che si pone come alternativa alla Lista Araba Unita e ha conquistato 150,000 voti, aggiudicandosi 5 seggi alla Knesset, consentirebbe a Netanyahu di restare in sella se decidesse di appoggiarlo. La stessa situazione si era verificata con le elezioni precedenti, quando, a parti invertite, sembrò che la coalizione Blu e Bianca guidata da Benny Gantz potesse governare in virtù dell’appoggio esterno della Lista Araba. L’ipotesi naufragò in fretta e Gantz fece il salto della quaglia.

In campagna elettorale Netanyahu ha dichiarato più volte che non si sarebbe mai alleato con Ra’am, ma sapendo quale è il peso delle dichiarazioni pre-elettorali, soprattutto quando è in gioco, come nel caso di Netanyahu, la sopravvivenza politica, va messa in conto poi la necessità di “sofferti” ripensamenti. Primum vivere deinde philosophari.

Per ora i veti sono incrociati. Su Ra’am pesa l’anatema del partito che fa riferimento al sionismo religioso, e sul movimento sionista religioso pesa, a sua volta, il veto del partito arabo filiato dalla Fratellanza musulmana.

Ze’ev Elkin, ex ministro del Likud passato nelle file di Nuova Speranza, la formazione di Gideon Sa’ar, anch’egli ex Likud e da anni antagonista di Netanyahu, incapace fino ad oggi di sostituirlo a destra, ha dichiarato che il partito non entrerà nella coalizione dell’attuale premier, soprattutto se Ra’am dovesse appoggiarlo dall’esterno.

Lo scenario è mobile, ma non prospetta soluzioni a lungo termine, come non le aveva prospettate il governo precedente, quando Benny Gantz, nello sconcerto di chi lo aveva sostenuto, aveva finito per abbracciare Netanyahu.

I tentativi elettorali di scalzare Netanyahu dalla scena finora sono falliti. Lui continua a resistere, seppure incapace di ottenere quel consenso ampio che gli permetterebbe di governare serenamente. Allo stesso tempo, egli rappresenta l’impedimento  principale a un reale rinnovamento politico del paese.

Israele resta dunque consegnato al perpetuarsi di una instabilità politica che sembra, al momento, non avere alcuno sbocco.

 

 

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