Iran e Medioriente

Il nucleare iraniano: Accordo a breve?

Da diverso tempo ormai non si parla più delle trattative sul nucleare iraniano. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, la crisi energetica e le elezioni anticipate occupano gran parte dello spazio nei mass media. Eppure con estrema fatica, a rilento e con il passo del gambero le trattative per trovare un accordo per ripristinare il Joint Comprehensive Plan of Action del 2015 sono tutt’ora in corso.

Dopo un periodo di letargo di alcuni mesi (tra marzo e luglio) in queste ultime settimane sembra che si sia verificata un’accelerazione voluta soprattutto dalle cancellerie europee molto “assetate” di prodotti energetici con i quali sostituire quelli russi. Più volte, nel corso del 2022, l’accordo è sembrato ad un passo ma la riluttanza iraniana ad accettare il pochissimo richiesto sotto forma di controlli, ha sempre fatto slittare il fatidico annuncio che confermasse la nuova intesa. Tutti gli attori coinvolti si sono sempre dimostrati poco propensi nel fornire i particolari della rinnovata intesa. E già questo è un elemento piuttosto indicativo su come si prospetta il nuovo accordo.

Come accennato, sul finire di luglio la trattativa ha subito un’improvvisa accelerazione per volere dei paesi europei. Le informazioni che sono emerse e che descrivono la proposta europea formulata il 21 luglio sono a dir poco imbarazzanti. Da parte loro, gli USA stanno tenendo un profilo molto basso pur di arrivare a firmare l’intesa, che è bene ricordarlo è una delle priorità dell’Amministrazione Biden.

Prima di entrare nel merito della proposta europea si possono fare alcune brevi considerazioni. Quella preliminare è che la tattica iraniana di rimanere inflessibile alle richieste di controllo degli ispettori della IAEA stà pagando frutto. Il fatto di aver guadagnato tempo ha permesso all’Iran di arricchire una buona quantità di uranio al 60% come venne dichiarato lo scorso aprile, grazie alle nuove centrifughe IR-6 installate nell’impianto di Nataz. Questo risultato è stato successivamente confermato dagli esperti della IAEA in un loro rapporto a giugno. Ci si trova dunque a un passo molto breve dal 90% di arricchimento necesario per ottenere  le armi nucleari (il JCPA firmato nel 2015 con Obama prevedeva che il limite massimo di arricchimento fosse sotto il 20%). E’ un passo che dipende esclusivamente dalla volontà iraniana di arrivarci e di dichiararsi quindi potenza nucleare.

In pratica si è ripetuto il tira e molla che si verificò nei primi anni Duemila con la Corea del Nord finché un giorno la Corea si dichiarò potenza nucleare e fece la prima detonazione sotterranea che colse tutti impreparati e di fatto pose fine alle trattative farsa con gli americani.

Un’altra considerazione generale che si può fare è in merito alla riccattabilità europea e all’efficacia delle sanzioni economiche. Appare del tutto evidente che gli europei fin tanto che avranno bisogno di approvvigionamenti energetici (gas e petrolio in primis) per far funzionare l’apparato industriale e privato del continente saranno sempre alla mercé di autocrazie e despoti che di volta in volta avranno mano libera a fare ciò che vogliono in barba alle leggi internazionali e ai diritti basilari dell’uomo. Pensare di poter sostituire gas, petrolio e carbone con le sole energie alternative è del tutto utopico, l’unica plausibile alternativa è produrre energia atomica alla quale affiancare le rinnovabili, così da non dover dipendere da nessuno. In merito alle sanzioni economiche, il caso iraniano è l’ennesima dimostrazione di come esse siano completamente inefficaci – se lo scopo è quello di portare ad un cambiamento di regime – in quanto è possibile aggirarle con abili triangolazioni. Se lo scopo è quello di indebolire l’economia di un paese, esse hanno un maggior effetto sull’economia in generale ma non hanno mai portato a risultati concreti come dimostrano i casi recenti di Iraq, Corea del Nord e Iran. In pratica è altamente improbabile che tutti i paesi che decidono di applicare sanzioni si dimostrino compatti e per un tempo prolungato. Va aggiunto che molti altri paesi (Cina, India, Russia per citare i più grandi) non si sono mai allineati all’Occidente in merito alle sanzioni rendendole nei fatti poco efficaci.  

Riguardo alla proposta d’accordo del 21 luglio che sembra essere l’ultima possibilità per trovare un’intesa con l’Iran, la prima cosa che balza all’occhio leggendo i resoconti (molto pochi in verità e praticamente nessuno sulla stampa italiana) che sono emersi (ad esempio https://www.jpost.com/middle-east/iran-news/article-715772) è che la questione dell’arricchimento dell’uranio è praticamente passata in secondo (o terzo piano). Il punto di partenza del nuovo accordo (che si dovrebbe chiamare INARA: Iran Nuclear Agreement Review Act) prevede lo scongelamento immediato di diversi miliardi di dollari, che l’Iran probabilmente utilizzerà per potenziare i gruppi terroristici affiliati, in cambio del rilascio di vari ostaggi occidentali detenuti per spionaggio dopo dei processi farsa. Successivamente, con un lasso di tempo imprecisato ma entro 165 giorni dalla firma dell’accordo potranno riiniziare le ispezioni della IAEA per controllare che non venga prodotto uranio arricchito oltre il 20% per poi passare al 5%. Contestualmente verranno allentate le sanzioni economiche fino a farle cessare del tutto. Rimane imprecisato in quali siti potranno accedere gli ispettori e il metodo di controllo (a sorpresa o concordato con le autorità iraniane come in passato?). Infine, nel giro di alcuni anni l’Iran sarà autorizzato a procedere liberamente per produrre uranio arricchito nelle quantità che reputa opportuno. Un’altra questione nebulosa è quella relativa all’uranio già arricchito al 60%, l’Iran dovrà consegnarlo? Come sarà possibile verificare quanto ne è stato già prodotto? Come si può facilmente comprendere  l’accordo che si prospetta è molto più deficitario di quello vecchio che era già molto lacunoso. Dunque perché tanta fretta nel volerlo chiudere? Le ragioni, da parte americana sono sostanzialmente di natura politica. Riaffermare la linea di Obama, significa per l’Amministrazione Biden conseguire una pacificazione con l’Iran, unico paese del bacino mediorientale programmaticamente avverso agli Usa. L’accordo sarebbe, secondo questa linea irenica di pensiero, il modo di renderlo meno pericoloso e più accomodante.  

Sul versante economico, è l’Europa a spingere più di tutti per trovare un accordo costi quel che costi, a maggiore ragione oggi essendo la situazione geopolitica molto cambiata a causa dell’invasione russa dell’Ucraina la quale ha portato all’applicazione di sanzioni e contro-sanzioni che hanno prodotto un enorme deficit di gas le cui conseguenze morderanno il continente quest’inverno. Oltre a tutto ciò, il già deciso bando del petrolio russo previsto per fine 2022 conduce alla necessità di nuovi approvvigionamenti che l’Iran potrebbe garantire una volta eliminate le sanzioni. La chiusura del mercato russo alle esportazioni europee verrebbe in parte compensato con la riapertura di quello iraniano. La questione dell’uranio arricchito è ormai diventata del tutto marginale rispetto alle priorità economiche. E’ l’ennesima visione miope che porterà ad ulteriori disastri. 

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