Elementi di propaganda

Il Glossario della disinformazione

E’ prassi comune sugli organi di informazione presentare un conflitto, una disputa territoriale o un semplice contenzioso con l’utilizzo di alcuni termini ben determinati per una delle parti in causa e di opposti per l’altra parte. Questo avviene al fine di suscitare nel lettore o nel telespettatore un sentimento di immediata simpatia per una delle due parti in causa, oppure, per la ragione opposta, per suscitare un immediato sentimento di condanna a prescindere dalle verità storiche e fattuali degli avvenimenti raccontati.

Questa considerazione generale si può applicare in special modo al Medio Oriente e  Israele in particolare. Anzi, per Israele da numerosi anni a questa parte si è assistito a una vera e propria alterazione del significato comune dei termini. Basti pensare a termini come “insediamento”, “occupazione” o “colono”. Oppure alla voluta sostituzione di antichissime parole come “terra di Israele”, “Giudea e Samaria” in favore di “Palestina storica”, “Cisgiordania” o “West Bank”. Solo a uno sguardo superficiale possono apparire come questioni di poco conto. In realtà hanno una grande valenza simbolica e un altrettanto forte impatto sull’opinione pubblica.  

Per quanto riguarda l’impatto sull’opinione pubblica, si pensi ad espressioni – utilizzate nella quasi totalità dei mass media – come “la presenza di coloni ebrei in Cisgiordania ( o West Bank) è un ostacolo alla pace”. In un lettore o in un ascoltatore che non ha profonde conoscenze della storia e della geografia di quel territorio, una frase posta in questi termini suscita immediatamente un sentimento legato all’ingiustizia, all’aggressione o al “colonialismo” (su questo torneremo più avanti). L’effetto voluto è intenzionalmente fazioso e privo di valenza storica e giuridica. Se ad esempio la stessa frase fosse riportata in questi termini: “la presenza della popolazione ebraica in Giudea è un ostacolo alla pace” essa sarebbe totalmente priva di mordente accusatorio, perché un qualsiasi lettore o ascoltatore avrebbe dei seri dubbi in merito al fatto che gli ebrei (o giudei) possano essere dei concreti ostacoli alla pace in una regione che da diversi millenni prende il nome dalla loro presenza. Diventa più problematico ritenere che un ebreo possa essere un ostacolo alla pace laddove per generazioni ha dimorato, piuttosto che in una regione dove sarebbe stato innestato artificialmente senza avere con essa alcun legame storico-generazionale. E’ probabile, invece, che una frase posta in questi termini possa suscitare una certa curiosità che spinga il lettore o l’ascoltatore a fare delle ricerche o delle verifiche su questa area geografica, che lo porterebbero inevitabilmente a scoprire fatti inaspettati rispetto alla vulgata corrente la quale vuole fare credere che gli ebrei insediati in Giudea e Samaria siano degli intrusi mentre gli arabi palestinesi che vi dimorano sarebbero gli abitati autoctoni.

Scoprirebbe ad esempio  che “Giudea” è un termine che ha oltre tremila anni ed è stato utilizzato con continuità dalla popolazione locale ebraica, araba, turca. Oppure scoprirebbe che negli ultimi duemila anni ci sono stati alcuni tentativi di sostituzione del nome Giudea per scinderne il legame con il popolo ebraico: si pensi al termine “Palestina” utilizzato dall’Imperatore Adriano nel secondo secolo dopo Cristo e che non si riferiva certo all’attuale popolazione araba – che ha assunto questa denominazione solo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta del Novecento – ma una popolazione, i filistei, di origine indoeuropea e già estinta all’epoca di Adriano certamente non araba nè semitica.

Altri termini vengono subito alla mente, come “Terra Santa” introdotto con le Crociate cristiane a partire dall’undicesimo secolo dopo Cristo e ancora oggi molto in voga. O “Cisgiordania” o “West Bank” termini molto recenti, introdotti solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento a seguito dell’occupazione illegale giordana della regione e alla sua successiva annessione al regno hashemita. Termini che significano infatti semplicemente “al di qual del Giordano” o “Sponda Ovest”  e che stanno ad indicare dei nuovi territori acquisiti rispetto al resto del territorio che si trovava ad Est del fiume. Pur essendo stata quella Giordana un’azione palesemente illegale e di aggressione, il termine “Cisgiordania” è utilizzato da tutti i mezzi di informazione per nominare questo territorio. E’ chiaro che l’intento sia il medesimo di quello di “Palestina” o “Terra Santa”, ovvero, scindere il legame tra il popolo ebraico e la terra dei suoi avi; legame, invece, sancito anche dal diritto internazionale come vedremo di seguito 

Continuità ininterrotta della presenza ebraica

Volendo entrare in merito alla presenza ebraica sul territorio denominato “Palestina”, si può affermare senza tema di essere smentiti che tutte le testimonianze di storici, viaggiatori, pellegrini di ogni epoca, nonchè i manufatti, i reperti archeologici e i documenti di archivio comprovano che essa è sempre stata costante dal periodo romano fino a quello arabo e ottomano. Per molti secoli, questa presenza è rimasta molto ridotta e minoritaria a causa delle feroci e cicliche persecuzioni che subiva o semplicemente per le difficili condizioni di vita in un territorio spopolato, quasi abbandonato e malarico.

Va ricordato che durante tutto l’arco di tempo del dominio musulmano gli ebrei erano relegati a dhimmi, cioè considerati sudditi del tutto subordinati alla popolazione musulmana. La situazione iniziò a cambiare negli ultimi decenni dell’800 con diverse ondate migratorie dall’Europa e da altre località del Medio Oriente. A questa migrazione ebraica ne corrispose una analoga di popolazioni musulmane provenienti da varie parti dell’Impero ottomano. Quando, nel 1920, fu istituito il Mandato per la Palestina dalla comunità internazionale e fu poi amministrato dalla Gran Bretagna, venne deciso di ricostituire uno Stato per il popolo ebraico, e questo per il motivo essenziale che venne riconosciuto un “legame storico”, come recita il preambolo del Mandato, tra la terra e il popolo ebraico che non era mai venuto meno nel corso dei secoli. Va sottolineato che il Mandato per la Palestina era un trattato internazionale e di conseguenza ciò che stabiliva era ed è vincolante ancora oggi per il diritto internazionale. 

Il territorio mandatario (la porzione assegnata agli ebrei) comprendeva anche la Giudea e la Samaria che solo dopo l’occupazione giordana divennero noti come Cisgiordania o West Bank. Fu unicamente in questo lasso di tempo che la popolazione ebraica non poté risiedere in questa parte di territorio in quanto gli arabi applicarono una pulizia etnica ai danni degli ebrei e confiscarono tutte le loro proprietà. Situazione che durò per 19 anni: dal 1948 al 1967. Dopo questo iato, fu con la riconquista del territorio da parte di Israele a seguito della guerra dei Sei giorni che alla popolazione ebraica venne nuovamente permesso di risiedere in quelle terre dalle quali era stata cacciata. Il paradosso è, che da quel momento, per buona parte della comunità internazionale e per i mass media, la popolazione ebraica che si trova in Giudea e Samaria è diventata indistintamente e semplicemente sinonimo di una popolazione di “coloni”.

“Colono”, termine stigma

L’Enciclopedia Treccani attribuisce questo significato al termine “colono”: colòno s. m. (f. –a) [dal lat. colonus «colono, fittaiolo; abitante d’una colonia»]. – 1. a. In senso proprio, coltivatore del fondo con cui si associa il concedente nel contratto di colonìa parziaria. b. In senso lato, mezzadro, o ogni singolo componente della famiglia colonica. 2. estens., letter. Contadino, lavoratore della terra: Al pio c. augurio Di più sereno dì (Manzoni). 3. Abitante, componente d’una colonia, spec. con riferimento a colonie antiche: i c. fenici fondatori di Cartagine.

E’ del tutto evidente che il contesto degli articoli, dei report, dei servizi giornalistici o televisivi in generale non utilizzino mai il termine “colono ebreo” nel senso di coltivatore di un fondo, agricoltore o mezzadro. Il termine acquisisce unicamente una connotazione politica ben precisa marcata da una accezione fortemente negativa che presuppone la conquista, la violazione del diritto, l’ingiustizia, soprusi e perfino imperialismo. Questo perché i termini “colono” e “colonia” vengono automaticamente associati al “colonialismo”.

Il significato che la  Treccani dà al termine “colonialismo” è il seguente: “Colonialismo In età moderna e contemporanea, l’occupazione e lo sfruttamento territoriale realizzati con la forza dalle potenze europee ai danni di popoli ritenuti arretrati o selvaggi. Per molti versi la storia del colonialismo può essere fatta iniziare con la scoperta dell’America da parte di C. Colombo (1492).”

E’ palese dalla definizione che la Treccani fa del colonialismo che esso sia stato operato da gruppi di persone che non avevano alcun tipo di legame con il territorio nel quale fondavano le colonie e soprattutto che queste colonie venivano fondate senza nessun rispetto dei diritti acquisiti dalle popolazioni locali e con il sistematico uso della forza. Ma questo concetto è applicabile al territorio di Giudea, Samaria e perfino a Gerusalemme e alla sua popolazione ebraica?

Sostenere che gli ebrei (o giudei) non abbiano nessun legame con la Giudea o con Gerusalemme come indicano i nomi stessi (oltre che le già citate prove documentali e archeologiche) è assai arduo. Ma diventa più facile sostenerlo, se descriviamo l’edificazione di semplici villaggi o comunità agricole come “imprese coloniali”, “colonie ebraiche”, non in Giudea ma nella più “neutra” Cisgiordania o perfino nei “territori palestinesi occupati”, quest’ultima una vera e propria invenzione lessicale che non ha basi storiche, politiche o giuridiche visto che uno Stato palestinese non è mai esistito, ma la sola cosa che “lessicamente” gli si avvicina di più era il Mandato per la Palestina istituito per creare uno Stato per il popolo ebraico non per quello arabo. Ad esso erano stati infatti concessi già numerosi altri Stati, inoltre non aveva uno “storico legame” con il territorio della Palestina cosa che fu riconosciuta solo al popolo ebraico. Semplicemente sostituendo il termine “Giudea” con quello di “Cisgiordania” si riscrive, manipolandola, la storia.

Se esiste un antichissimo legame storico, culturale, politico, tra gli ebrei e la Giudea, per definire “colonialismo ebraico” l’edificazione in essa di insediamenti ebraici, lo si può fare solo se si sono verificati atti di forza e/o ci deve essere stata una mancanza di rispetto dei diritti acquisiti dalla popolazione locale. Per quanto concerne questi ultimi, difficile affermarlo visto che una parte delle “colonie” non sono altro che la riedificazione di villaggi dai quali gli ebrei furono espulsi dai giordani. Ma va anche sottolineato che in molti casi i legittimi proprietari ebrei non sono riusciti a riprendersi le proprie proprietà perché la Corte Suprema di Israele ha considerato valida la transazione  di immobili che il governo giordano (anche se non aveva titolo per farlo) ha concesso agli abitanti arabi durante l’occupazione, soprattutto a Gerusalemme. Inoltre, la quasi totalità delle “colonie” sono state edificate su terreni demaniali o abbandonati nel pieno rispetto delle leggi internazionali. Pochissimi sono i casi di edificazioni su terreni appartenuti ad arabi che li hanno regolarmente venduti. Infine, in merito all’uso della forza si può affermare che Israele riconquistando Giudea e Samaria non ha fatto altro che riappropriarsi di un territorio che il diritto internazionale gli aveva già assegnato nel 1922. Quindi non ha riconquistato nulla di più di ciò che già gli apparteneva. In ogni caso, alla riconquista del territorio non sono seguiti casi di espropri di proprietà privata in modo illegale. Gli unici casi di esproprio (compensati con indennizzi al valore corrente dei terreni come succede in tutti gli Stati di diritto) si sono verificati per la costruzione di istallazioni militari e nel perfetto rispetto della legge (dal 1978 comunque non si sono più verificati casi del genere).

Appare del tutto evidente che mancano tutti i requisiti affinché si possa parlare di “colonie” (nel senso colonialista del termine) in quanto sussiste un robusto legame storico tra ebrei e territorio, non sono stati compiuti atti di forza contrari alle leggi internazionali e sono stati rispettati tutti i diritti precedentemente acquisiti. Non da ultimo la popolazione araba residente si è quintuplicata da quando Israele controlla il territorio: ennesima prova che nessuno ne è stato allontanato.

E’ doveroso fare un’ultima annotazione sull’utilizzo dei termini per comprendere bene la battaglia che da numerosi anni stà avvenendo in sede ONU relativamente alla città di Gerusalemme e ad alcuni luoghi sacri.

Come già ribadito, il legame storico e continuativo tra il popolo ebraico e la terra di Israele è stato sancito dal diritto internazionale con il Mandato per la Palestina del 1922. Tuttavia, da diversi anni a questa parte questo legame è stato minacciato da numerosi paesi – anche europei – tramite una delle agenzie dell’ONU: l’UNESCO. E’ in questa sede, infatti, che si è iniziato a cancellare i nomi ebraici di diversi luoghi di Gerusalemme e di altre località come Hevron in Giudea o in Samaria. Il caso più clamoroso è senza dubbio quello del Monte del Tempio e del Muro Occidentale (Kotel). Nel 2016 all’UNESCO fu deciso che tutto il monte del tempio ebraico doveva essere denominato con il solo termine arabo Al Haram Al Sharif. Questo con la precisa volontà di scindere il legame storico tra il popolo ebraico e il suo luogo più sacro. Successivamente fu deciso che tutto il complesso di Al Haram Al Sharif non era altro che parte integrante della moschea di Al Aqsa (atto dalla ben precisa valenza religiosa). Inoltre, il Kotel o Muro Occidentale venne nominato con il solo termine arabo di Al Buraq. Altro chiaro intento di negare i legami storici tra ebrei e Gerusalemme. Queste negazioni storiche adottate dall’UNESCO furono poi confermate con una risoluzione dell’Assemblea Generale nel novembre del 2017 e nuovamente a dicembre del 2021.

La chiara volontà di queste decisioni e di altre analoghe è una sola: mettere in discussione lo storico legame, riconosciuto anche dal diritto internazionale, tra il popolo ebraico, il territorio e i suoi luoghi più sacri. Queste decisioni sono solo apparentemente prive di importanza:  si tratta invece di precisi attacchi alle fondamenta dello Stato di Israele che in questo modo viene delegittimato a partire dalla sua storia. Per questo motivo è fondamentale essere in grado di capire quale è il legame reale che unisce nomi e storia e al contempo di smascherare l’uso politico e strumentale di specifiche parole e terminologie atte a occultare questo legame se non propriamente di distruggerlo.

 

Torna Su