“Questo è il giorno dell’infamia” ha dichiarato Gilad Erdan, ambasciatore di Israele all’Onu dopo l’approvazione da parte dell’Assemblea Generale, della Risoluzione proposta dalla Giordania e appoggiata da 22 paesi arabi in cui si chiede una tregua.
Risoluzione in cui non viene fatta alcuna menzione all’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre e in cui non c’è alcun riferimento al rilascio degli ostaggi detenuti nella Striscia da Hamas. Non ci si può dunque stupire che Hamas abbia accolto favorevolmente la medesima, così come non ci si può stupire che essa sia passata.
Solo l’altro ieri, il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, dopo avere condannato Hamas ha dovuto poi specificare, in puro ossequio al giustificazionismo, che la responsabilità di quanto è accaduto è da addebitare all'”occupazione”.
Infamia chiama infamia e l’ONU verso Israele non ha mai mancato di fallire il suo primato. Daniel Patrick Moynihan, ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU dal 1975 al 1976, poteva scrivere nelle sue memorie del suo stupore nell’avere constatato come Israele fosse “il fulcro della vita politica delle Nazioni Unite”.
Stupore che sarebbe sicuramente aumentato progressivamente. Solo un esempio tra i molti. Nel 2016, Eugene Kontorovich e Penny Grunseid pubblicarono su The Wall Street Journal una loro ricerca dalla quale emerge che la qualifica di Israele come “potenza occupante” ricorre 530 volte nelle risoluzioni dell’assemblea generale dell’ONU, “tuttavia, in sette istanze maggiori di prolungata occupazione militare, presenti e passate, l’Indonesia a Timor Est, la Turchia nel nord di Cipro la Russia in aree della Georgia, il Marocco nel Sahara occidentale, il Vietnam in Cambogia l’Armenia in aree dell’ Azerbagian e la Russia nella Crimea ucraina, il numero di è pari a zero. L’ONU non ha definito nessuno di questi paesi una ‘potenza occupante'”.
La pregiudiziale dell’ONU contro Israele, nella sua iperbolicità, rasenta il grottesco.