Per suo Statuto, in seno alla UE, le decisioni vincolanti in materia di politica estera e di sicurezza devono essere prese con l’assenso di tutti i suoi Stati membri, mentre in altre materie e per decisioni politiche o economiche meno rilevanti possono essere prese con la semplice maggioranza del parlamento europeo. In pratica per la sua stessa natura giuridica gli Stati membri “delegano parte della loro sovranità” alla UE per decisioni in materia di politica, economia e difesa. In questo modo la UE fa proprie alcune funzioni statuali dei suoi membri e si sostituisce ad essi per “avere una voce unica” nel consesso internazionale.
In questa veste, la UE è, fin dalle prime battute, uno dei soggetti garanti degli accordi sottoscritti tra Israele e i palestinesi noti come Accordi di Oslo I e Oslo II, rispettivamente nel 1993 e nel 1995.
Il fine auspicato di questi accordi, soprattutto da parte degli europei, è senza dubbio il traguardo della firma di un trattato di pace che possa stabilire la nascita di uno Stato palestinese a fianco e in pace con Israele. Per arrivare a questo traguardo però, l’ANP deve assumere tutti i requisiti statuali previsti dalla Convenzione di Montevideo del 1933 e quindi di essere in grado di esercitare le funzioni tipiche di tutti gli Stati. Questi requisiti non sono semplici e non ne affronteremo qui la specificità, invece ci concentreremo sul ruolo della UE in questo processo e vedremo se essa ha rispettato e rispetta tutti i suoi obblighi legali di garante.
Prima in entrare nel dettaglio delle attività svolte dalla UE in questo “processo di pace” che, come sottolineato, dovrebbe concludersi con un trattato internazionale di pace e quindi, per sua natura, vincolante, è opportuno rivolgere lo sguardo su cosa, per il diritto internazionale, è ammissibile e cosa non lo è, al fine di giungere alla firma di un trattato internazionale vincolante.
In materia di trattati internazionali, il 23 maggio 1969, la Conferenza delle Nazioni Unite ha adottato nel suo Atto conclusivo relativo alla “Legge sui Trattati” la Dichiarazione sulla proibizione di utilizzo della coercizione militare, politica ed economica per giungere alla firma dei trattati. Questa dichiarazione è un annesso – e quindi parte integrante – della Convenzione stessa. La dichiarazione recita: “Si condanna solennemente la minaccia e l’uso di pressioni in ogni sua forma, sia essa militare, politica o economica, attuata da qualsiasi Stato in ordine al fine di costringere un altro Stato a compiere qualsiasi atto relativo alla conclusione di un trattato in violazione dei principi di uguaglianza sovrana degli Stati e libertà di consenso”.
In pratica questo trattato internazionale proibisce categoricamente agli Stati di fare pressioni o anche semplici minacce su altri Stati per giungere ad un trattato vincolante non pienamente voluto e concordato tra le parti.
Torniamo al caso della UE è del suo ruolo di “garante” degli Accordi di Oslo che dovrebbero portare alla firma di un trattato di pace tra Israele e i palestinesi. La UE per conto dei suoi stessi Stati membri ha assunto il ruolo – ed è quindi parte in causa – di mediatore tra le parti. Quindi stà agendo come un Stato a tutti gli effetti in questo ruolo. Ma come si stà comportando verso le due parti?
Nel corso degli anni, verso Israele ha adottato queste principali misure (senza considerare le forti e costanti pressioni politiche):
- Una politica di pressione economica su Israele è iniziata, con la discriminazione dei prodotti israeliani, a partire dal 2005 ed è culminata con la risoluzione 2015/2685 da parte del parlamento europeo del 10 settembre 2015, con la quale si decideva di “etichettare” tutte le merci israeliane prodotte in Giudea, Samaria (Cisgiordania) e Golan.
- Il passo successivo nella discriminazione dei prodotti israeliani si è avuto nel luglio 2013, quando la Commissione Europea ha pubblicato gli “Orientamenti sull’ammissibilità delle entità israeliane e relative attività nei territori occupati da Israele dal giugno 1967 alle sovvenzioni, ai premi e agli strumenti finanziari dell’UE a partire dal 2014”. In questo caso la Commissione Europea ha superato se stessa. Infatti, come specifica l’art. 2 del testo: “Per territori occupati da Israele da giugno 1967 si intendono le Alture del Golan, la Cisgiordania inclusa Gerusalemme est, e la Striscia di Gaza”. Per la Commissione Europea nel 2013 Israele occupava ancora Gaza, nonostante, dal 2005, avesse ritirato tutti i soldati, i civili e avesse passato le competenze civili, amministrative e di sicurezza all’Autorità Nazionale Palestinese. Nessun caso simile si è mai verificato nei confronti di nessun altro Stato che ha intavolato trattative territoriali.
- Pressioni politiche: sono molti e ben documentati i casi di come la UE stia finanziando la costruzione di interi insediamenti abusivi in Giudea e Samaria, (Cisgiordania) specificatamente nell’Area C, sotto il totale controllo israeliano, in spregio agli accordi da lei stessa sottoscritti. Di fatto, la UE stà spendendo milioni di euro dei contribuenti europei per costruire interi villaggi arabi abusivi, senza sistema fognario e senza i minimi criteri igienico-sanitari, pur di alterare la situazione demografica dell’Area C, creando così una situazione di fatto sul terreno che si ripercuoterà sulle future trattative.
- Ricatti per ottenere finanziamenti per la ricerca universitaria. Il programma europeo Horizon 2020 è rivolto a istituzioni e università che collaborano con analoghe istituzioni europee. Questo programma di ricerca e sviluppo sovranazionale è finanziato dalla UE (circa 80 miliardi di euro) e da altri paesi (tra cui Israele che contribuisce con circa 600 milioni di euro). Le linee guida del progetto sono state approvate nel luglio del 2013. A Israele è stato imposto che i finanziamenti UE non andassero ad “istituzioni o università che operano oltre i confini del ‘67”. Posizione fortemente voluta dall’allora Alto Rappresentante, Catherine Ashton, la quale nel 2013 era a capo della diplomazia europea. Nessuna richiesta di questo tipo è mai stata mai avanzata nei confronti di alcuna istituzione universitaria di nessun paese coinvolto in dispute territoriali.
- Presa di posizione politica sul processo di pace. Come accennato in precedenza la UE è uno dei garanti degli Accordi di Oslo, quindi dovrebbe mantenere una posizione di equidistanza tra le due parti, ma in concreto non è così. Con il suo documento ufficiale “Il ruolo della UE nel processo di pace in Medio Oriente” del 10 settembre 2015, il parlamento europeo ha già deciso come devono finire le trattative: “Due Stati indipendenti sulla base dei confini del ’67 (mai esistiti se non nei desideri di Federica Mogherini promotrice del documento) con Gerusalemme capitale dei due Stati, con eventuali scambi di territorio e con continuità territoriale del futuro Stato palestinese”. Va detto, a questo proposito, che se per la UE lo Stato palestinese deve essere continuo, quello israeliano non dovrà più esserlo. Anche qui si evince chiaramente il doppio standard adoperato, in quanto esistono vari casi al mondo di Stati non contigui e la UE non ne mai ha imposto la continuità a danno di altri.
- Minacce di ritorsioni economiche dichiarate da Joseph Borrell, l’Alto Rappresentante dell’Unione, se Israele applicherà la sovranità sul 30% di Giudea e Samaria (Cisgiordania) che gli Accordi di Oslo hanno assegnato alla competenza israeliana.
Queste sono solo le principali azioni compiute dalla UE ai danni di Israele. Come si può intuire la UE ha costantemente e scientemente applicato misure coercitive di pressione e di minaccia politica ed economica nei confronti di Israele. Mancano solo le pressioni militari o un’aggressione vera e propria per infrangere tutte le clausole della Legge sui Trattati. Per di più si può affermare che la stessa UE non ha mai esercitato nessun tipo di pressione nei confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese per convincerli a tornare al tavolo delle trattative o per sospendere la pubblicazione di testi scolastici fortemente antisemiti.
Alla luce di quanto esposto si può affermare che la UE viola palesemente il diritto internazionale.