Israele e Iran

Il fustigatore di Israele benevolo con Teheran

Vittorio Emanuele Parsi, ordinario di Relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è una vecchia conoscenza de L’Informale.

Venuto fortemente alla ribalta in seguito all’invasione russa dell’Ucraina, in merito alla quale ha espresso una condivisibile posizione pro-Kyiv, Parsi ha però continuato a essere una delle principali voci dell’antisionismo accademico. 

Ostile a Israele, che considera uno Stato «razzista» e di «apartheid», da lui paragonato alla Serbia di Milošević e al Sudafrica di Vorster, ha sempre malcelato la sua simpatia per il regime iraniano e le sue propaggini, Hamas in primis, che nel 2017 vedeva incamminata sulla via della «moderazione». 

Gli interventi di Parsi consistono, principalmente, nel condannare Israele come solo responsabile di tutte le tensioni in corso in Medio Oriente e del mancato raggiungimento di una pace duratura coi suoi vicini arabi. Sostenere tale posizione significa sottostimare o ignorare non solo le responsabilità dei «palestinesi», ma anche il fanatismo religioso e il millenarismo dei nemici islamici dello Stato ebraico. 

L’inveterata avversione del professore per Israele lo ha condotto a paragonare le organizzazioni terroristiche islamo-palestinesi, come Hamas, ai resistenti che lottavano contro l’occupazione nazi-fascista. Nel 2015, sulla sua pagina Facebook, ha condiviso il video della seduta parlamentare del 6 novembre 1985, quando l’allora presidente del consiglio, Bettino Craxi, parlò della «legittimità» della lotta armata palestinese, definendo il contenuto di quel discorso «principi elementari di diritto internazionale». Al contrario, in tempi più recenti, commentando l’eliminazione del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha affermato: «Ogni volta che Israele compie omicidi mirati in un Paese terzo toglie un mattone alla costruzione del sistema internazionale». 

Insomma: se i palestinesi sequestrano la nave di un Paese terzo e uccidono un passeggero ebreo, stanno compiendo un atto legittimo in accordo coi «principi elementari di diritto internazionale»; Israele, invece, se elimina il pericoloso capo di una organizzazione terroristica in visita a una teocrazia che vorrebbe un secondo Olocausto, «toglie un mattone alla costruzione del sistema internazionale». 

Se è certamente vero che il diritto internazionale prevede che l’occupato possa resistere militarmente all’occupante, questo non vale per il caso palestinese. Israele, infatti, come si è a lungo spiegato su queste pagine, non «occupa» alcun territorio che non gli spetti legalmente. Inoltre, gruppi armati come l’ex OLP o Hamas, non hanno come obiettivo alcuna «resistenza», bensì la cancellazione stessa dello Stato ebraico e lo sterminio della sua popolazione, come dichiarato esplicitamente nei loro statuti. 

Sempre sul suo profilo Facebook, il 19 novembre 2019, commentando il rigetto statunitense della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU del 2016, che stabiliva l’illegalità degli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria (Cisgiordania), Parsi scriveva: «Ennesimo grande contributo alla pace e al dialogo nella regione di questa pessima amministrazione. Poi ci stupisce che gli umiliati e offesi ricorrano alla lotta armata? Quando invece è esattamente ciò che si vuole provocare, per giustificare una repressione senza limiti, senza fine, senza umanità. Povera Palestina e poveri palestinesi». Israele, dunque, starebbe «provocando» la lotta armata dei cosiddetti «palestinesi», peccato però che quest’ultimi pianifichino il massacro di tutti gli ebrei fin dai tardi anni Venti del Novecento, quando lo Stato d’Israele nemmeno esisteva. 

Parsi si è distinto per il suo aperto sostegno all’Accordo sul nucleare iraniano, il celebre JCPOA, definito come un «successo» di Obama. In un articolo per Il Sole 24 Ore del 2015, riportato per intero sulla sua pagina Facebook, ha definito il regime di Teheran «non più estremista come ai tempi della presidenza di Ahmadinejad» e «pienamente affidabile sulla natura esclusivamente civile del proprio programma nucleare». Tre anni dopo, più precisamente il 30 aprile 2018, Netanyahu mostrò in diretta televisiva parte dell’archivio segreto sul nucleare iraniano che agenti del Mossad, col supporto di alcuni dissidenti iraniani, avevano trafugato a Teheran e portato in Israele. I documenti provavano l’intenzione iraniana di dotarsi di un’arma atomica.

Clamorosi errori nelle analisi, cattivo controllo delle idee e dei concetti, ignoranza brutale dei fatti storici, sistematica incapacità di comprendere la mentalità islamica… questi sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano Vittorio Emanuele Parsi.  

Com’è possibile che un soggetto simile, che considera la Repubblica islamica dell’Iran come un attore più razionale e affidabile d’Israele, passi per un luminare dello studio delle relazioni internazionali da ascoltare con attenzione? Mysterium tremendum. 

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