Antisemitismo, Antisionismo e Debunking

Il doppio standard sugli arresti dei giornalisti in Israele e a Ramallah

Due giornalisti palestinesi sono stati arrestati, uno dalle forze di sicurezza di Israele e l’altro da quelle dell’Autorità palestinese (AP). Il nome del primo è Muhammad al-QiQ, il secondo è Sami al-Sai.

Anche se è registrato come giornalista, al-QiQ è stato arrestato per reati legati alla sicurezza del tutto estranei alla propria professione. Israele non ne ha disposto l’arresto a causa dei contenuti degli articoli, ma a causa delle su attività per conto di Hamas. Già in qualità di studente all’università di Bir Zeit, nel 2006, al-QiQ era noto per essere affiliato ad Hamas. E’ stato membro dell’Islamic Bloc, lista studentesca appartenente ad Hamas.

L’affiliazione ad Hamas l’ha messo nei guai anche con l’Autorità palestinese, le cui forze forze di sicurezza l’hanno arrestato e interrogato più volte negli ultimi anni. L’ultima volta che la sua famiglia ha ricevuto la visita di agenti di sicurezza dell’Autorità Palestinese è stata nel 2014. Poi, gli agenti in borghese hanno sequestrato documenti personali e il pc portatile di al-QiQ .

Ora, al-QiQ è in stato di detenzione in Israele, dove ha cominciato uno sciopero della fame per protestare contro il suo arresto.

Indovinate chi sta conducendo una campagna a suo nome finalizzata a chiedere che Israele lo liberi immediatamente e senza condizioni dalla detenzione? La stessa Autorità Palestinese che ha più volte arrestato al-QiQ negli ultimi anni.

Inoltre, le organizzazioni per i diritti umani e alcuni attivisti stanno cavalcando il caso e ora lo usano per attaccare Israele. Questi sono gli stessi attivisti e organizzazioni rimaste in silenzio quando le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese hanno arrestato al-QiQ vessando anche la famiglia.

Una di queste organizzazioni è Amnesty International, che ha inoltrato un comunicato la scorsa settimana chiedendo a Israele di rilasciare il detenuto “giornalista”. Amnesty ha trascurato di specificare che al-QiQ è anche stato preso di mira dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese e che, in aggiunta al suo lavoro di giornalista, è pure affiliato ad Hamas. Questo particolare, secondo Amnesty, non è evidentemente significativo.

La verità è che la maggior parte, se non tutti, i giornalisti palestinesi arrestati da Israele sono accusati non a causa del loro lavoro nel campo del giornalismo ma a causa delle loro attività per conto di vari gruppi palestinesi, tra cui Hamas.
Si tratta infatti di un segreto di Pulcinella che molti “giornalisti” palestinesi siano in realtà attivisti apertamente affiliati a gruppi terroristici.

Quando uno di loro è arrestato, tali attivisti politici che si spacciano per giornalisti – e le cosiddette organizzazioni per i diritti umani spalleggiati dai media mainstream in Occidente – arrivano ad accusare Israele di mettere a rischio la libertà dei media. Un gioco sporco che è da anni la specialità di giornalisti arabi-palestinesi e occidentali oltre che di organizzazioni altamente politicizzate per “i diritti umani”. Eppure, perché discuterne quando si può strumentalizzare ogni arresto per criticare Israele?

Ecco un altro fatto che non è specificato, sempre connesso alla detenzione del giornalista-attivista di Hamas: il sindacato dei giornalisti palestinesi controllato da Fatah (PJS), che ha sede a Ramallah, ha a sua volta aderito alla campagna per chiedere la liberazione di al-QiQ dalla detenzione israeliana.

Perché è importante questo dettaglio? Perché il PJS, che è guidato da Nasser Abu Baker (scritto anche Abu Bakr, nella foto in evidenza di questo articolo), il quale collabora anche come corrispondente per Agence France-Presse (AFP), non ha mai sostenuto un altro giornalista, Sami al-Sai, quando è stato arrestato (e torturato) per 20 giorni nella famigerata prigione di Gerico, la principale della PA. Neppure Amnesty o la maggior parte delle organizzazioni per i diritti umani si sono esposte in difesa di Al-Sai quando è stato detenuto dalle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese.

Sami al-Sai, che lavora come corrispondente per una stazione televisiva privata nella città araba di Tulkarem, a nord della Cisgiordania, è stato arrestato con l’accusa di “fomentare conflitti settari” attraverso facebook. Questa è un’accusa usata spesso dall’Autorità Palestinese per giustificare l’arresto di chiunque critichi i leader o le politiche di Mahmoud Abbas.

Il sindacato PJS fin dal primo momento ha rifiutato di prendere le difese di al-Sai, anche perché difende raramente i giornalisti che sono critici nei confronti dell’Autorità Palestinese. Questo perché il leader del PJS, lo stesso Abu Baker, è affiliato ad al Fatah. Recentemente, il corrispondente AFP si è anche candidato alle elezioni per il Consiglio rivoluzionario di Fatah, non venendo però eletto.

Di fronte alle critiche, Abu Baker e alcuni dei capi del PJS hanno però deciso di visitare al-Sai nella sua cella a Gerico. Ma invece di chiedere all’Autorità Palestinese di rilasciare il loro collega detenuto, Abu Baker e i leader PJS hanno rilasciato una dichiarazione in cui hanno giustificato l’arresto e difeso la PA dalle accuse di tortura.

La stessa AFP ha più volte documentato l’arresto da parte di Israele di al-QiQ e altri “giornalisti” palestinesi, ma ha vistosamente omesso di raccontare la situazione di al-Sai e le sue gravi accuse di torture nel carcere di Gerico.
Così un giornalista arrestato dall’Autorità Palestinese non vale un articolo in un organo di stampa internazionale, mentre chiunque sia arrestato da Israele ottiene un’ampia copertura.

Inutile dire che Abu Baker, che copre gli interessi palestinesi per AFP, non si è mai preoccupato di scrivere un articolo sulla sua visita alla prigione di Gerico e sull’incontro con al-Sai.
Come presidente di un sindacato controllato da Fatah, Abu Baker non ha intenzione di riferire ad AFP nulla che possa riflettersi negativamente sulla direzione dell’Autorità Palestinese.

Ancora più bizzarro è che ad un corrispondente di AFP sia stato permesso di candidarsi per una carica politica pur continuando con il suo lavoro come se nulla fosse accaduto. Potrebbe Le Monde consentire ad un proprio corrispondente di occuparsi della diplomazia francese nonostante sia candidato alle elezioni? A quanto pare, il conflitto di interessi non ha invece mai preoccupato i superiori di Abu Baker all’agenzia AFP.

Il caso dei due giornalisti – Muhammad al-QiQ e Sami al-Sai – fornisce un’ulteriore prova di ipocrisia, doppio standard, pregiudizi e razzismo che i media arabi e occidentali continuano ad adottare relativamente al conflitto israelo-palestinese. Ogni storia che potrebbe danneggiare l’Autorità palestinese o Hamas non è “adatta per la stampa”. Alle organizzazioni per i diritti umani e ai media chiaramente non importa se un arabo palestinese sia detenuto e torturato nelle prigioni dell’AP.

Una storia diventa notizia quando è possibile dare la colpa ad Israele. I giornalisti occidentali (e anche qualcuno di Israele) che nascondono le ingiustizie palestinesi giustificano la loro scelta sostenendo che, se criticano l’Autorità Palestinese o uno dei leader, rischierebbero di non poter più entrare a Ramallah o di perdere le fonti. Ecco la verità: i pregiudizi funzionano e l’intimidazione funziona. I giornalisti e le organizzazioni per i diritti umani sono disposti a deformare la realtà e ad autocensurarsi per non far arrabbiare la leadership dell’Autorità Palestinese.

In Israele, tuttavia, i giornalisti criticano il governo israeliano, l’esercito e la polizia dall’alba al tramonto senza temere nulla.
Ora è ufficiale: due pesi e due misure. Il razzismo e l’attivismo politico sono parte integrante dei mezzi di comunicazione moderni.

Articolo di Bassam Tawil per il Gatestone Institute, tradotto in italiano

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