La questione della riapertura del consolato americano a Gerusalemme è uno dei cavalli di battaglia dell’Amministrazione Biden. Abbiamo già scritto qui su L’Informale della questione in maniera approfondita (http://www.linformale.eu/la-posta-in-gioco-intorno-al-consolato-americano-a-gerusalemme/). Qui possiamo solo ribadire che anche nel 2022 la sua riapertura è ancora in agenda. Soprattutto il Segretario di Stato Blinken, in più di una circostanza ha voluto precisare che l’amministrazione Biden vede come necessaria la sua riapertura per migliorare le relazioni con i palestinesi.
Per circa un anno e mezzo (il tempo della durata del governo Bennet/Lapid) la questione è stata congelata in modo da non mettere in crisi il governo di centro-sinistra. Ma ora che le ultime elezioni hanno ridato la maggioranza al centro-destra di Netanyahu non ci sono più ostacoli per riproporre questa operazione illegale di delegittimazione della sovranità israeliana sulla città. Si tratta di una operazione politica che si configura come una delle più meschine e dannose ai danni di Israele, considerato a parole come alleato, ma nei fatti trattato come uno Stato canaglia.
In attesa di lanciare una nuova offensiva politico-diplomatica ai danni dello Stato ebraico finalizzata alla riapertura del consolato, il duo Biden/Blinken ha nominato Hady Amr alla carica di “Special Representative for Palestinian Affairs”. Va precisato che questa carica non è mai esistita in precedenza ma è stata costruita su misura dal Dipartimento di Stato per inserirla nell’ambasciata di Gerusalemme in attesa della riapertura del consolato. Al momento presso l’ambasciata, ci sono: un ambasciatore (Tom Nides) e un console “ombra” per i palestinesi (Hady Amr) cosa che non ha precedenti nella diplomazia mondiale. E’ chiaro che un consolato americano a Gerusalemme per i palestinesi avrebbe la funzione di una vera e propria ambasciata e sarebbe solo questione di tempo (una futura amministrazione democratica?) per far si che lo diventi a tutti gli effetti. A questo punto si potrebbe anche cessare la pantomima delle trattative di pace visto che un po’ alla volta tutte le richieste palestinesi si stanno realizzando nei fatti.
Una menzione a parte la merita la figura di Hady Amr scelto per ricoprire il ruolo di console.
Andando a leggere il suo curriculum vitae si è portati subito a pensare che sia la “persona giusta al posto giusto”. Nel 2002 fu coordinatore nazionale presso il Middle East Justice Network, organizzazione americana che si è distinta unicamente per le sue posizioni anti israeliane. Il suo esordio come coordinatore è ben descritto dalle sue stesse parole: “Sono stato ispirato dall’intifada palestinese”. Negli anni successivi, assieme al suo amico Maher Bitar (altra figura di rilievo dell’amministrazione Biden: è responsabile delle informazioni di intelligence e sicurezza nazionale) si distingue per il sua attivismo anti israeliano lanciando accuse allo Stato ebraico di praticare l’apartheid, la pulizia etnica e la sistematica discriminazione dei palestinesi in ogni forum nazionale e internazionale. Fino al 2006 si divide tra il suo attivismo e varie cariche nel partito democratico, fino a quando le sue competenze lo portano a diventare il direttore del Brookings Doha Center, istituto completamente finanziato dal Qatar per gli studi sul Medio Oriente. Rivestirà la carica fino al 2010 quando inizierà a lavorare come consulente del Dipartimento di Stato con Barak Obama e consigliere di Biden. Tra il 2017 e il 2021, durante la presidenza Trump, ritornerà al Brookings Doha Center prima di essere richiamato al Dipartimento di Stato dal duo Biden/Blinken. Sicuramente le sue credenziali lo rendono il più appropriato “ambasciatore” in pectore per i palestinesi.
Accordo con il Libano per la suddivisione dell’EEZ
Come ultimo punto della disamina dell’operato dell’Amministrazione Biden relativamente al dossier Israele non può mancare l’accordo imposto allo Stato ebraici relativamente alla suddivisione della zona economica esclusiva con il Libano. Questo accordo salutato da molti come “storico”, nei fatti è una vera e propria capitolazione di Israele nei confronti del Libano sotto fortissima pressione americana interessata unicamente a portare a casa un trofeo diplomatico da esibire.
Molto sinteticamente si possono ricordare i passaggi principali della disputa sulla zona economica esclusiva.
Il tutto inizia nel 2007 quando il Libano e Cipro siglano un accordo sulle rispettive zone economiche esclusive. L’accordo in questione prevedeva come confine sud la così detta “linea 1” (si veda la cartina).
Nel 2010 Israele e Cipro a loro volta firmano un accordo analogo mantenendo la linea 1 come confine nord per la loro linea di separazione delle rispettive EEZ. Questo accordo viene depositato all’ONU che lo ratifica nel 2011. A questo punto il Libano protesta e non accetta più la linea 1 come suo confine sud. La linea che andava bene con Cipro non va più bene con Israele. Il Libano inizia così un contenzioso con Israele, sostenendo che il confine marittimo della sua EEZ è molto più a sud e precisamente la linea 23. La disputa, per molti anni, non fa progressi e le trattative si fermano. Nel frattempo Israele scopre un importante giacimento di gas chiamato Karish molto più a sud della linea 23. Nel 2017 delle esplorazioni condotte dal Libano portano alla scoperta di un giacimento, Qana, a ridosso della linea 23. Israele interviene perché parte del giacimento si trova poco più a sud della linea 23. L’amministrazione americana di Trump si offre come mediatore non essendoci relazioni diplomatiche tra i due paesi. Dopo anni di trattative sembra che un’intesa si possa trovare con un compromesso che prevede la spartizione del giacimento di Qana con il 55% al Libano e il 45% a Israele. Quando l’accordo sembra ormai raggiunto il Libano si tira in dietro, nel 2020, quando cambia l’amministrazione americana e alla presidenza viene eletto Biden. Nel 2021 il Libano sostiene che il confine sud del suo EEZ passa dalla linea 29 cioè molto più a sud di quanto aveva prima sostenuto con Cipro (linea 1) e poi nelle trattative con Israele (linea 23). Ora secondo il Libano tutto il giacimento Qana è di competenza libanese mentre il giacimento Karish che fino al 2020 non è mai stato in discussione appartiene per metà al Libano. Hezbollah inizia a minacciare Israele di attacchi militari sulle piattaforme di trivellazione se Israele non cede alla richieste libanesi. L’amministrazione Biden, tramite il suo rappresentante e mediatore Hochstein, si dichiara pronta a mediare. Ma fin da subito la “mediazione” americana si dimostra ben poco bilanciata: tutte le pressioni sono fatte esclusivamente sulla controparte israeliana. Alla fine il neo premier ad interim Lapid cede alla pressioni americane, nonostante il suo governo sia solo “facenti funzioni” e non pienamente legittimato dalla Knesset a poco più un mese dalle elezioni. Tutti (libanesi, israeliani e americani) gridano al risultato storico di questo accordo.
Ma proviamo, brevemente, a puntualizzare quello che faticosamente è emerso (c’è stato anche un tentativo del governo Lapid di tenere nascoste tutte le clausole). Per prima cosa va rimarcato che questo accordo non implica – come è stato evidenziato subito dai libanesi – il riconoscimento di Israele da parte del Libano: lo stato di belligeranza voluto dal Libano fin dal 1948 rimane in essere. Tanto è vero che le due controparti, per volontà libanese, non si sono mai incontrate nella stessa sala ma le reciproche richieste venivano riferite al “mediatore” americano che le riferiva poi alle parti. Va altresì notato che nell’accordo il nome Israele, nella versione in arabo per i libanesi, non compare mai per non “offendere” i libanesi. In pratica il Libano con questo accordo non riconosce Israele, né i suoi confini marittimi né terrestri, ma semplicemente “rinuncia” ad ogni pretesa sul giacimento Karish che non era mai stato in discussione nei dieci anni di trattative pre-Biden ma che all’ultimo minuto è stato inserito furbescamente assieme alle minacce di bombardamenti da parte di Hezbollah. Su questo punto è importante chiarire che l’accordo non è tra il Libano e Israele ma è tra gli USA e il Libano e tra gli USA e Israele. Il Libano non ha nessun obbligo verso Israele. Se per ipotesi il Libano dovesse rompere l’accordo e attaccare le istallazioni estrattive di Israele o rivendicare ulteriori zone EEZ a sud, dovrebbero essere gli USA ad intervenire contro il Libano secondo gli accordi. E’, francamente, pensabile che gli USA facciano la guerra al Libano per alcune miglia nautiche contese con Israele? E’ poco credibile. Dal punto di vista economico, il Libano, ha ottenuto tutto il giacimento conteso di Qana senza dover nulla ad Israele. Sarà Israele, eventualmente ad accordarsi sulle royalties con la società internazionale di estrazione che otterrà la licenza. Le royalties sono pattuite per un valore massimo del 15% del gas estratto. Ma una osservazione è doverosa farla: l’accordo non parla di una società specifica ma solamente di “società internazionale di estrazione non inserita nella lista di società sotto embargo internazionale.” La convinzione del governo Lapid è che sarà una società francese, americana o italiana a ottenere la licenza. Ma se il governo libanese sotto ricatto permanente di Hezbollah fosse costretto a cedere la licenza a una società qatariota o peggio iraniana? Sì, questo è possibile perché le società petrolifere iraniane NON sono sotto embargo internazionale ma solamente sotto embargo americano. Quindi si potrebbe verificare il caso in cui gli iraniani siano autorizzati a portare navi e attrezzature a pochi chilometri dalla costa israeliana. Infine se l’Iran o il Qatar decidessero di non pagare le royalties?
Sembra davvero un bel accordo, tanto è vero che il governo Lapid non voleva svelarne tutti i dettagli ma è stato costretto a farlo davanti alla Knesset. Un ultimo inquietante punto è doveroso rimarcarlo e riguarda esclusivamente la politica e soprattutto le regole del diritto in Israele.
Questo accordo (fatto con gli USA e non con il Libano come è stato dipinto dal governo Lapid), per come è stato condotto e approvato, ha inferto un duro colpo anche allo stato di diritto in Israele, per almeno due motivi. Il primo è che una legge fondamentale dello Stato di Israele sancisce che tutte le decisioni in merito al territorio nazionale devono essere prese con la maggioranza dei due terzi della Knesset oppure tramite l’approvazione con referendum nazionale. Il governo facente funzioni di Lapid (che è bene ribadire non ha i pieni poteri di un governo pienamente in carica) ha sostenuto che la EEZ non rientra in questo ambito. Su questo punto ha avuto l’appoggio del procuratore generale dello Stato, Gali Baharav-Miara. Poi il procuratore, viste le numerose proteste, si è tirato indietro e ha chiesto il parere della Corte Suprema che ha dato il via libera.
La decisione della Corte Suprema è del tutto sindacabile e sembra più un parere politico che dai contenuti legali, creando di fatto un precedente. Il secondo colpo allo stato di diritto è stato inferto anche nella procedura con la quale si è giunti all’accordo: infatti era prassi consolidata che un governo facente funzioni potesse esercitare solo le funzioni ordinarie ma non prendere decisioni importanti per lo Stato non rappresentando di fatto una maggioranza parlamentare. Un cosa simile era accaduta alcuni anni orsono per una decisione importante che il governo Netanyahu non ha potuto prendere proprio perché facente funzioni e in attesa di elezioni come quello attuale. In quel caso l’allora procuratore generale dello Stato, Avichai Mandelblit, diede parere negativo adducendo proprio il fatto che essendo solo un governo facente funzioni e non avendo i pieni poteri non aveva la legalità per prendere decisioni importanti per lo Stato. Ora il governo Lapid, che si trova nelle medesime condizioni dell’allora governo Netanyahu, ha avuto invece il nulla osta per firmare un accordo internazionale che senza ombra di dubbio è importante per lo Stato. A questo punto sorge il dubbio che per il procuratore o per la Corte Suprema non sia “la decisione importante” la discriminante per ammettere la legalità o meno di un atto ma è il governo che la propone ad esserlo. Questo precedente avrà certamente delle ripercussioni.
A conclusione degli esempi mostrati dell’operato dell’Amministrazione Biden nel 2022 verso Israele, si può affermate che esso è stato a dir poco problematico e siamo solo a metà del mandat0.