Il curioso caso di Benjamin Button è un film molto particolare, dove la vita di un uomo è al contrario, nasce vecchio per morire neonato. Curioso, davvero. Un po’ come il caso dei “rifugiati” palestinesi, dove invece di trovare fine alla condizione di rifugiato, appunto, che nel tempo deve avere un termine, abbiamo il curioso caso della loro moltiplicazione esponenziale. Il contrario di quanto accade a tutti gli altri rifugiati.
Ma facciamo un po’ di chiarezza nella terminologia.
Il profugo: chi è costretto ad abbandonare la propria terra, il proprio paese, la patria, in seguito a eventi bellici, a persecuzioni, oppure a cataclismi, ma è una definizione non giuridica, usata nel colloquiale diciamo.
Il migrante: invece è colui che si sposta per ragioni di “convenienza personale” e senza l’intervento di un fattore esterno e puo’ essere regolare od irregolare :è considerato regolare se risiede in un paese con regolare permesso di soggiorno, rilasciato dall’autorità competente; è irregolare invece se è entrato in un paese evitando i controlli di frontiera, oppure se è entrato regolarmente – per esempio con un visto turistico – ma è rimasto in quel paese anche dopo la scadenza del visto, o ancora se non ha lasciato il paese di arrivo dopo l’ordine di allontanamento.
Rifugiato è lo status giuridicamente riconosciuto di una persona che ha lasciato il proprio paese e ha trovato rifugio in un paese terzo. La sua condizione è stata definita dalla Convenzione di Ginevra (relativa allo status dei rifugiati, appunto), firmata nel 1951 e ratificata da 145 stati membri delle Nazioni Unite. L’Italia ha accolto tale definizione nella legge numero 722 del 1954
La Convenzione di Ginevra dice che il rifugiato è una persona che
«nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato».
Lo Status di rifugiato è una condizione “giuridica” e non “esistenziale” e quindi la si puo’ perdere, e la si perde, ad esempio se una persona ha volontariamente riacquistato la cittadinanza persa; se ha acquistato una nuova cittadinanza e gode della protezione dello stato di cui ha acquistato la cittadinanza; se è volontariamente tornata e si è domiciliata nel paese che aveva lasciato
Il dizionario Treccani aggiunge qualcosa:
«Il rifugiato è colui che ha lasciato il proprio Paese, per il ragionevole timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità e appartenenza politica e ha chiesto asilo e trovato rifugio in uno Stato straniero, mentre il profugo è colui che per diverse ragioni (guerra, povertà, fame, calamità naturali, ecc.) ha lasciato il proprio Paese ma non è nelle condizioni di chiedere la protezione internazionale».
Anche se di fatto i due termini vengono spesso sovrapposti, è lo status di rifugiato l’unico sancito e definito nel diritto internazionale.
Va da se’ che non è corretto definire i palestinesi, che prima del ‘48 abitavano le terre dell’attuale Stato di Israele, come “profughi”, essi erano “rifugiati”.
In ambito internazionale esiste un Alto Commissariato delle Nazioni Unite (detto UNHCR) che ha come mandato proprio la protezione internazionale dei rifugiati
Di tutti i rifugiati. Tranne che dei rifugiati palestinesi. No, non pensate che questi ultimi siano emarginati o dimenticati. I rifugiati palestinesi hanno invece un organismo delle N.U tutto per loro, la UNRWA “Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione”, agenzia che si occupa solo ed esclusivamente dei rifugiati palestinesi nel Medio Oriente.
Ed è bene che ogni italiano conosca questa agenzia, poiché il nostro Paese versa fior di quattrini, periodicamente, all’Unrwa: per esempio solo negli ultimi mesi il Governo italiano ha donato un generoso contributo di 2,18 milioni di euro a UNRWA per fornire assistenza alimentare ai rifugiati palestinesi a Gaza.
Si, oltre due milioni di euro. Francamente vorremmo un dettaglio delle finalità perché temiamo che siano finiti nella mani di Hamas (del resto a Gaza i dipendenti Unrwa sono tutti e solo simpatizzati di Hamas), cioè di un gruppo di terroristi che userà quei denari non per fare scuole, ospedali, case per chi è bisognoso, ma per procurarsi armi e fornire ad ogni bambino un bel fucile (e nessun organismo internazionale o Ong per la difesa dei bambini ci trova niente da dire su questo tipo di educazione)
L’Italia è da tempo uno dei donatori più affidabili dell’Agenzia. Nel 2015, ha contribuito con 8,75 milioni di euro a favore dell’UNRWA, di cui 4 milioni di euro per i programmi e i servizi fondamentali dell’Agenzia e un milione di euro destinati all’emergenza di Yarmouk, Siria (fonte http://www.unrwaitalia.org)
Nel mondo vi sono 60 milioni di rifugiati (stima a giugno 2015 secondo l’ultimo rapporto annuale dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). L’indagine parla di 59,5 milioni di profughi alla fine del 2014, di cui 11 milioni siriani, 4 milioni provenienti dal Congo, 4 milioni dall’Iraq, 2,5 milioni dal Sudan e via dicendo (fonti Unhcr)
Quanti sono i rifugiati palestinesi?
La domanda è di difficile risposta: nel 1948 erano 6-700 mila, oggi sarebbero circa 6/7 milioni
Ora chiediamoci, come mai sono cosi aumentati? Israele in questi anni ha scacciato altri 5/6, milioni di palestinesi da Israele? E se no, non dovrebbero essere diminuiti?
In verità, dopo il ’48 nessun altro palestinese venne invitato o costretto ad andarsene, (e va detto che nel ‘48 i rifugiati palestinesi non furono costretti ad andare via, ma scelsero di farlo, cosa non secondaria, su indicazione dei loro capi. Altri se ne andarono dopo la guerra del ’67, qualche migliaio)
Dunque, come mai sono aumentati? Ed è qui il “caso curioso”
Sono aumentati perché lo status di rifugiato palestinese non corrisponde a quello previsto dall’Agenzia per i rifugiati UNHCR, ma in base a quanto previsto dall’Unrwa (come detto agenzia che si occupa solo ed esclusivamente dei rifugiati palestinesi) lo status si tramanda ai figli (!). Lo status di rifugiato palestinese è davvero unico, non è più una situazione giuridica, come quella degli altri 60 milioni di rifugiati, ma è una situazione esistenziale tramandabile in eredità.
Infatti secondo la definizione UNRWA i rifugiati palestinesi sono “coloro che avevano la loro residenza abituale nel periodo 1946/48 in Palestina e che persero le loro abitazioni e i mezzi di sussistenza a seguito della guerra arabo-israeliana del ’19. La definizione di rifugiato dell’Unrwa si estende anche ai discendenti dei rifugiati del 1948.
Se alla popolazione palestinese si applicasse la definizione di rifugiati data a tutte le altre persone rifugiate nel mondo oggi i rifugiati palestinesi sarebbero alcune migliaia. Non 7 milioni!
Perché applicare due differenti definizioni alla figura di rifugiato? Perché lo status di rifugiato palestinese è ereditario e quello di rifugiato sudanese, ad esempio, no?
I fondi per l’Unrwa sono mediamente la metà dei fondi dell’Unhcr, ma l’Unrwa gestisce i soli rifugiati palestinesi che sono 7 milioni (grazie allo status di rifugiato ereditato da padri e nonni), contro i 60 milioni di rifugiati degli altri paesi, pertanto la percentuale dei denari dati all’Unrwa è elevatissima rispetto ai denari dati agli altri rifugiati.
Il 65% dei fondi dati all’Unrwa copre la gestione dell’apparato della agenzia, ciò paga gli stipendi ai dipendenti che perlopiù sono…palestinesi, ai quali vanno circa 12.000 dollari annui a testa. Praticamente i fondi dell’Unrwa vanno per i 2/3 in stipendi e per un 1/3 in opere volte ad aiutare la popolazione dei rifugiati.
Come sopra visto la condizione di rifugiato è normalmente a tempo, il rifugiato entra in un paese e finisce con il prenderne la cittadinanza così ponendo termine allo status di rifugiato. Compito dell’agenzia Onu per i rifugiati è anche e soprattutto questa: promuovere e adoperarsi per l’integrazione.
L’Unrwa invece ha sestuplicato, se non di più, i rifugiati anziché diminuirli. Ha assolto il suo compito istituzionale? Chiaramente no. Ciò è dannoso, per Israele e per i palestinesi stessi. Infatti, Israele viene messo sotto accusa a causa di un numero enorme di persone che vivono nella impossibile attesa di un ritorno alle case che avevano abbandonato (una cosa è trattare il ritorno di 100.000 persone, altra, impossibile, il rientro di 6 milioni di persone); e dal lato dei rifugiati è dannoso poiché questo “status” implica una cultura della dipendenza, della lamentela, della rabbia senza alcuna via d’uscita.
I rifugiati esistono da sempre, non sono solo palestinesi.
La seconda guerra mondiale generò rifugiati. I tedeschi abbandonarono Konisberg, la città di Kant, che divenne russa con il nome di Kaliningrad. Avete mai sentito al Germania dichiarare guerra alla Russia per il ritorno dei bisnipoti in quelle che furono le case dei loro avi in Konisberg?
E dei profughi ebrei, avete mai sentito parlare? questa foto raffigura rifugiati ebrei yeminiti, ad esempio.
Le popolazioni ebraiche furono cacciate dai paesi arabi in cui vivevano da sempre, nel secondo dopoguerra, con una violenza inaudita. Ma non venne creata alcuna agenzia per questi rifugiati. In Algeria nel 1945 abitavano 140.000 ebrei, nel 2000 nessuno. In Iraq vi erano 140.000 ebrei nel 1945, ma solo più di 6000 dieci anni dopo. Nel 1945 nei paesi arabi vivevano circa un milione di ebrei, nel 2000 erano poco più di settemila (fonte Storia dolorosa e sottaciuta degli ebrei arabi e delle loro cacciata, 17.11.2004 il Foglio, Victor Magiar) .
Emigrati? Sì, ma non volontariamente, né con alternative. Se non andavano via, erano morti.
Queste persone hanno trovato rifugio in massima parte in Israele. Prendete una cartina, guardate dove è Israele e quanto è piccolo: 20mila kmq. In un paese di queste dimensioni assorbire qualche centinaia di migliaia di persone non è facile. Eppure poco tempo dopo, nessuno dei rifugiati ebrei era più tale. Erano israeliani, avevano casa, lavoro.
Ricordiamo anche le immigrazioni di ebrei libici in Italia, dopo il 1967; quanti di questi sono oggi “rifugiati” bisognosi di assistenza? Quanti di loro lo furono? Vennero in Italia senza nulla, avendo perso tutto in Libia.
Nessuno dei rifugiati palestinesi ha invece interesse a cambiare status, queste persone hanno trovato una situazione che gli garantisce cibo, educazione, casa (continuiamo a chiamarli campi profughi ma sono città!), tutto gratuito perché pagato con le sovvenzioni internazionali da tutto il mondo.
La creazione del “rifugiato palestinese”, cosi come del “popolo palestinese”, è stata una scelta degli stati arabi, dell’Onu, delle organizzazioni palestinesi, oggi proseguita addirittura dall’Autorità Palestinese nei territori che amministra: una bomba demografica pensata per impedire la “normalizzazione” dell’esistenza di Israele e dell’area circostante, insomma le premesse della pace.
E infatti la pretesa del “ritorno” dei “rifugiati” (o meglio dei loro discendenti, anche con un solo bisnonno che si pretende risiedesse in Israele) è l’ultimo e definitivo ostacolo a qualunque accordo di pace, anche se si superassero i problemi dei confini, dello status di Gerusalemme ecc. Come potrebbe uno Stato di 8 milioni di abitanti assorbirne altri 6/7 milioni? È irrealistico, assurdo, impossibile.
L’Unrwa è nata con la risoluzione 302 (IV) dell’8 dicembre 1949, rubricata “Assistance to Palestine Refugees”, assistenza ai rifugiati di Palestina.
Il programma originario, prima azione dell’ONU per i rifugiati, prevedeva l’assistenza umanitaria ai rifugiati di Palestina di tutte le comunità (par. 1 del preambolo e art. 12), riferendosi ad arabi ed ebrei che avevano perso la casa in conseguenza alla guerra arabo-israeliana del 1948.
Il testo delle risoluzioni usa una terminologia pre-stato di Israele e si riferisce a “Palestina” come all’intera area in cui dovevano sorgere lo Stato ebraico e lo Stato arabo.
Successivamente, le risoluzioni sono state interpretate secondo la narrativa araba, considerando “Palestina” come lo Stato dei palestinesi.
Il programma di assistenza doveva durare 9 mesi, con scadenza nell’agosto 1949, quando si è pensato di istituire un’agenzia che risolvesse la crisi dei rifugiati aggravata dalle tensioni politiche nel Medio Oriente.
L’UNRWA, secondo il testo della risoluzione, doveva lavorare in collaborazione con le altre agenzie ONU e fungere da appoggio agli Stati del Vicino Oriente nell’esecuzione di programmi e progetti per la risoluzione del problema dei rifugiati, in vista di una progressiva diminuzione dell’assistenza internazionale, che doveva terminare il 31 dicembre 1950.
Doveva. Ma dopo il 1950, il mandato dell’UNRWA è stato periodicamente rinnovato, facendone un’agenzia de facto permanente, con obiettivi e struttura radicalmente mutati.
Dall’assistenza umanitaria ai rifugiati, l’UNRWA è diventata un’agenzia di servizi in ambito educativo, sanitario, assistenziale, finanziario, infrastrutturale e di emergenza.
A norma del diritto internazionale, è dovere dello Stato ospitante naturalizzare o provvedere alla rilocazione dei rifugiati, per il loro rapido assorbimento nelle società dove hanno trovato accoglienza.
Si deve tener presente che il diritto internazionale stabilisce che un rifugiato che diventa cittadino dello Stato che lo ospita o di un altro Stato terzo, perde automaticamente lo status di rifugiato. Non si può essere rifugiati e contemporaneamente cittadini di uno Stato qualsiasi.
Inoltre, il diritto internazionale definisce i rifugiati come persone che sono scappate dalla loro patria a causa di persecuzioni e che non possono farvi ritorno perché temono per la loro vita. Se un individuo non è stato perseguitato e può tornare in patria senza temere per la propria vita, non è da considerarsi rifugiato secondo il diritto internazionale.
Ma se pensiamo ai palestinesi che vivono in Giordania, la definizione non calza per niente: possono andare in Cisgiordania senza temere per la propria vita e non sono nemmeno scappati da persecuzioni.
E che dire dei palestinesi che vivono in Europa e sono cittadini europei: come si fa a considerarli “rifugiati”?
Anche quelli che vivono a Gaza o in Cisgiordania non possono esser considerati rifugiati perché sono di fatto cittadini dell’Autorità Palestinese.
Il mantenimento e il trapasso dello status di rifugiato legittima anche il “diritto al ritorno” ai luoghi e alle proprietà lasciate in seguito al conflitto. La legittimazione del “diritto al ritorno” è chiaramente solo uno strumento politico anti-israeliano.
Del resto già nel 1947 Nasser diceva “ I profughi sono la pietra angolare della lotta degli arabi contro Israele.I profughi sono l’arma degli arabi e del nazionalismo arabo”
Lo scopo dell’Unrwa doveva essere l’assorbimento dei “rifugiati palestinesi” e quindi, con la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’UNRWA avrebbe potuto lavorare per il rafforzamento delle strutture politiche e amministrative dell’ANP e per il graduale rimpatrio dei “rifugiati palestinesi” nei territori amministrati dall’aspirante stato nazionale palestinese.
Ma ciò non è stato mai fatto.
L’UNRWA giustifica la propria esistenza per la perpetuazione dello status di rifugiato palestinese dovuto alle circostanze straordinarie per cui i rifugiati si sono creati. Ma ciò è pretestuoso, l’origine storica degli allora rifugiati non ha alcun tratto che distingua i palestinesi da altri rifugiati.
Oggi non sono più considerabili rifugiati. Certamente non lo possono essere i discendenti degli allora fuggitivi. Se il Libano o altra nazione si rifiuta di naturalizzare i palestinesi, dovrebbe essere l’ANP ad affrontare la questione.
Sono ancora considerati rifugiati solo dall’UNRWA per ragioni politiche e perché rivendicano il diritto al ritorno.
E non esiste neppure un diritto al ritorno per la seconda e terza e quarta generazione; tale diritto può essere riconosciuto ed avere un senso semmai solo ed unicamente ai palestinesi del ’48.
L’ereditarietà dello status di rifugiato è un’assurdità giuridica politica e storica.
E attenzione, come fa l’Unrwa a censire i rifugiati palestinesi?
Si affida all’Autorità Palestinese, che è affidabile per quanto riguarda la comunità palestinese nel suo complesso, ma non per quanto riguarda i rifugiati. Al momento del censimento, i funzionari dell’ANP semplicemente chiedono ai singoli individui se sono rifugiati e la dichiarazione individuale senza alcuna prova aggiuntiva è sufficiente. E nemmeno esistono liste di decessi in mano all’Unrwa.
Inoltre l’Unrwa non brilla per trasparenza né finanziaria né di attività: ricorderete il grave caso del 2004, quando un’ambulanza UNRWA venne utilizzata per il trasporto di terroristi suicidi diretti in Israele. L’UNRWA ha ammesso l’incidente e ha esortato a rispettare la neutralità (!) dell’organizzazione. Ma vi sono diversi altri casi di dubbia neutralità dell’Unrwa, del resto, come detto, molti, la maggior parte, dei suoi dipendenti sono palestinesi.
L’Unrwa gestisce pure le scuole. Adotta i programmi dei paesi in cui i “rifugiati” si trovano, a Gaza per esempio i programmi insegnati sono quelli definiti da Hamas, quindi testi apertamente anti israeliani e inneggianti all’odio contro Israele nonché narrativa anti-israeliana che difende ed esalta i martiri suicidi .
E in ultimo, chiediamoci come reagiscono gli Stati arabi di fronte ai correligionari rifugiati palestinesi. Abbiamo visto che gli ebrei costretti a fuggire dai paesi arabi sono stati accolti in Israele e qui hanno trovato patria. E i palestinesi andati via dalle loro case nel ’48?
I paesi arabi che li ospitano non hanno mai concesso loro diritti civili e cittadinanza.
L’Egitto, che governava su Gaza sino al 1967, non ha mai concesso la cittadinanza ai palestinesi di Gaza.
In Libano, secondo la costituzione, un rifugiato palestinese non riceverà mai la cittadinanza, la legge libanese concede loro di poter praticare in modo legale solo una decina di professioni, mentre tutte le altre sono vietate. Il governo libanese proibisce ai rifugiati l’uso di materiali per l’edilizia, per evitare che costruiscano case vere e proprie, anche se vivono in quartieri abitati in maggioranza da loro. È da notare che, ovunque, i campi dei rifugiati sono stati costruiti di fatto vicino alle città, per poterne utilizzare la forza lavoro con salari bassissimi.
Ci si chiede se davvero la causa della violenza in Medio Oriente fosse Israele, ora invece chiediamo: ma siete sicuri che il problema palestinese derivi da Israele? ed esiste davvero un “problema palestinese” o questo è creato a tavolino solo in pura finalità anti-isreliana?
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