Il trattato di pace con la Giordania è senza dubbio un grande risultato diplomatico per Israele. Quando fu firmato, nel 1994, la Giordania era il secondo paese arabo – dopo l’Egitto – a sancire formalmente la pace con lo Stato ebraico. Questo importante risultato, assieme al contestuale avvio degli Accordi di Oslo con i palestinesi, sembrava dare l’avvio ad un processo di distensione e di cooperazione con il mondo arabo fino a quel momento impensabile. Oggi, dopo 26 anni dalla firma del trattato di pace si può stilare un primo bilancio delle ricadute, per Israele, di questo rilevante atto politico.
Prima di entrate nel dettaglio delle relazioni tra Israele e Giordania dal loro trattato di pace ad oggi, è utile fare un esempio, tra i tanti che si possono fare, delle relazioni diplomatiche intercorse tra altri due ex nemici confinanti: Francia e Germania. Questi due paesi dopo ben due guerre mondiali combattute da acerrimi nemici (Prima guerra mondiale 1914-18 e Seconda guerra mondiale 1939-45) hanno firmato un trattato di pace che dopo 26 aveva già dato notevoli frutti: furono tra i paesi fondatori della CEE (oggi UE), avevano solide relazioni politiche, tanto che si può tranquillamente parlare di asse franco-tedesca per tutte le più importanti decisioni prese in seno alla CEE prima e alla UE poi. Inoltre, gli scambi culturali, economici e turistici sono cresciuti fino ad arrivare a livelli impensabili prima della firma del trattato di pace del 1945. Quindi si può affermare che i due paesi, pur mantenendo una certa rivalità economica e politica nel tempo, hanno riconosciuto all’altro piena legittimità e rispetto.
Per prima cosa va evidenziato che, dopo quasi trent’anni dalla pace stipulata con i giordani, nessun altro paese arabo ha voluto intavolare un reale processo di pace con Israele. Le stesse trattative di pace con i palestinesi si sono, di fatto, insabbiate dopo qualche anno dalla firma degli accordi stessi: prima con il rifiuto di Arafat alla proposta di Ehud Barak nel 2000, e poi con il rifiuto della ancora più generosa proposta di Ehud Olmert ad Abu Mazen nel 2008.
In concreto Israele, dal punto di vista politico, diplomatico ed economico, non ha ottenuto dei significativi e reali miglioramenti con il mondo arabo-palestinese. Come sono andate, invece, le cose con la Giordania?
Israele e Giordania hanno combattuto da nemici due aspre guerre: la prima nel 1948 e la seconda nel 1967. A circa 20 anni di distanza – come nel caso di Francia e Germania – l’una dall’altra. Qui si concludono subito le analogie. Infatti, la Giordania, nonostante fosse in ambo i casi l’aggressore, dal 1967 fino al 1994 non ha mai manifestato una reale intenzione di voler trattare con Israele. Quali sono stati i reali vantaggi dell’una e dell’altra parte? Ne tracceremo i soli punti principali.
Con il trattato di pace del 1994, la Giordania ha ottenuto da Israele un grande vantaggio di approvvigionamento idrico: un accrescimento di circa il 7% fin dall’immediato, in più la Giordania a margine del trattato, ha ottenuto degli scambi d’acqua interstagionali, cioè “l’immagazzinamento” nel lago di Tiberiade di una parte delle acque dello Yarmuk spettanti alla Giordania, durante la stagione invernale avendone grande beneficio per il periodo estivo. Il 10 novembre 1997, inoltre, è stato raggiunto un ulteriore accordo tra i due Paesi, il Jordan Plan Development, che prevede tra l’altro anche la costruzione di comuni impianti di desalinizzazione frutto della tecnologia israeliana. Altri progetti sono in via di realizzazione sul mar Rosso.
Con la scoperta, da parte di Israele, di importanti giacimenti di gas offshore è stato siglato un importante contratto di fornitura di gas verso il regno hashemita a prezzi agevolati che consentono un notevole risparmio rispetto ai prezzi che la Giordania pagava ad altri fornitori.
Dal punto di vista politico e militare, la Giordania ha ottenuto due grandi risultati. Il primo e sicuramente il più importante, è il riconoscimento ufficiale da parte di Israele dello “statuto speciale” di custode dei luoghi sacri dell’Islam sul Monte del Tempio con le sue enormi implicazioni politiche e legali. Dal punto di vista politico questo statuto accresce molto il prestigio della casa regnante hashemita in tutto il mondo musulmano. Cosa ancora più importante, dal punto di vista giuridico, la Giordania ha da questo momento voce in capitolo su qualsiasi cosa relativa al Monte del Tempio (Kotel escluso), ciò significa che Israele, prima di prendere qualsiasi decisione interente a questa piccola porzione di territorio della sua capitale, deve avere l’approvazione giordana, ciò in virtù degli obblighi legali sanciti da un trattato internazionale qual è il trattato di pace. Un unico esempio può essere chiarificatore. Nel luglio del 2017, dopo che fu compiuto l’assassinio a sangue freddo da parte di tre terroristi arabi israeliani, di due agenti drusi israeliani della polizia di confine, Haiel Sitawe e Kamil Shnaan, le autorità di polizia di Gerusalemme decisero di installare per ragioni di sicurezza delle telecamere e dei metal detector all’ingresso del Monte del Tempio, per far fronte a evidenti problemi di sicurezza – che si protraevano già da anni e che vanno avanti anche ancora oggi – relativi alle forze dell’ordine e ai comuni cittadini ebrei che si recano al Monte del Tempio in visita. Dopo pochi giorni è intervenuto il governo giordano e il re Abdallah II in persona per chiedere che fossero tolte le telecamere e i metal detector (le armi utilizzate dai terroristi erano state nascoste, preventivamente, in una delle due moschee). Il governo d’Israele acconsentì alla richiesta nonostante vi fossero palesi ragioni di sicurezza pubblica per non infrangere l’accordo sottoscritto e il “buon rapporto” con i giordani. In pratica così facendo si è creato un precedente di extraterritorialità che avrà, sicuramente, gravi ripercussioni in futuro per la città di Gerusalemme.
Sotto l’aspetto militare è aumentato l’ombrello di protezione israeliano sul territorio giordano. Più stretta si è fatta la cooperazione di sicurezza – a vantaggio di entrambe le parti – che in più di un’occasione ha salvaguardato i confini giordani contro nemici esterni (i siriani prima e Saddam Hussein dopo). A dire il vero questo “accordo non scritto” già esisteva dagli anni Settanta e ha permesso una grande stabilità alla Giordania.
Dal punto di vista economico l’accordo di pace ha portato numerosi vantaggi ai giordani. Israele ha riconosciuto delle “Zone Industriali Qualificate” in cui sono investiti fondi israeliani, sono impiegati lavoratori giordani e gli americani sono gli acquirenti delle merci prodotte, offrendo così lavoro a migliaia di famiglie giordane. Queste zone franche sono a cavallo del fiume Giordano, in zone che non avrebbero nessuna possibilità di sviluppo economico. Infine, alcune migliaia di lavoratori giordani si recano in Israele – soprattutto nella città di Eilat – quotidianamente per lavorare nelle strutture israeliane.
Prima di passare in rassegna i “vantaggi” di Israele derivanti dall’accordo di pace, è opportuno fare alcuni esempi sul comportamento dei giordani nei confronti di Israele, da quando vivono in pace, per comprenderne il clima. E’ da sottolineare che molto è cambiato da quando re Abdallah II è salito al potere dopo la morte del padre, re Hussein, nel 1999.
- Nel 2016 il quotidiano giordano Al-Ghad, si è dovuto scusare con i propri lettori per aver pubblicato degli annunci pubblicitari nei quali si reclamizzava la possibilità di assunzione di personale giordano a Eliat.
- Nel 2018 il re Abdallah II ha dichiarato che non avrebbe rinnovato il contratto di gestione, come previsto dagli Accordi di pace del 1994 e della durata di 25 anni, agli agricoltori israeliani di due piccole isole del fiume Giordano, una la cosiddetta Isola della pace, nella zona settentrionale di Naharayim, l’altra situata nell’Aravà meridionale, vicino a Tzofar, un villaggio agricolo cooperativo (moshav). Isole coltivate fin dal 1994 da agricoltori israeliani in pieno spirito di collaborazione e di pace con la Giordania. La Giordania ha agito in piena conformità con il suo diritto di decidere di non rinnovare il contratto di affitto secondo le clausole del Trattato di pace del 1994 con Israele. Anche se non è certo un atto di amicizia.
- Nel 2017, re Abdallah II ha concesso la grazia e ha liberato Ahmad Daqamseh, il soldato giordano che nel 1997 sparò e uccise a sangue freddo sette ragazzine israeliane di Beit Shemesh, ferendone altre sei (proprio nell’Isola della pace). Questo, nonostante la condanna all’ergastolo per l’efferato massacro. Fin dalla sua uscita dal carcere, l’assassino è diventato una celebrità: è costantemente rappresentato come un eroe sui media giordani, dove invita apertamente il pubblico a impegnarsi nel jihad contro Israele.
- Nel 2018 a dicembre, il ministro delle telecomunicazioni e portavoce del governo giordano, Jumana Ghunaimat, si è fatta fotografare e riprendere dalla telecamere mentre, entrando nel palazzo dei sindacati di Amman, pestava la grande bandiera israeliana posta all’ingresso come zerbino.
- Dal 2016 il cugino del re di Giordania, Zaid ben Raad, è stato promotore in molte sedi ONU di attacchi verso Israele per delegittimarlo a livello internazionale. Tra gli attacchi compiuti ricordiamo: la promozione in sede UNESCO della cancellazione di ogni riferimento ebraico dalla città di Gerusalemme (risoluzione passata a grande maggioranza). Mentre come Alto Commissario della Commissione dei diritti umani dell’ONU ha ideato, portato avanti e concluso una vera e propria black list di aziende che operano in Giudea e Samaria (unico caso al mondo). La lista è stata poi pubblicata nel 2020 dal suo successore Michelle Bachelet.
In merito ai vantaggi di Israele conseguenti al Trattato di pace, per i politici, gli analisti, gli esperti e soprattutto i responsabili della sicurezza, si tratterebbe di avere ottenuto una maggiore sicurezza sul confine più lungo dello Stato ebraico. E’ indubbio che di infiltrazioni terroristiche dal confine giordano non ne sono avvenute (anche se come si è scritto in precedenza il più grave attentato nell’area è stato compiuto da un soldato giordano), ma, a ben vedere, di grandi azioni terroristiche originate dal territorio giordano non erano più avvenute neanche nei vent’anni precedenti al Trattato ti pace, per la precisione da quando re Hussein si era sbarazzato con la forza di Arafat e dei suoi seguaci, uccidendone in gran numero e espellendone in Libano i superstiti.
Forse oggi è arrivato il momento di ridiscutere i termini dell’intesa: sicurezza per entrambi in cambio di cessazione di odio, disprezzo, ostilità e delegittimazione da parte giordana. Perché stando così le cose si ha la netta impressione che la pace ora si basi, non sulla sicurezza di entrambi, sulla mutua collaborazione culturale, sul rispetto reciproco, cioè sulla “vera pace”, ma piuttosto sul ricatto: ti garantisco la sicurezza sul confine al costo di disprezzo, odio e delegittimazione.