Israele e Medio Oriente

Il corridoio Filadelfia e gli ostaggi: la posta in gioco

A seguito dell’eccidio perpetrato da Hamas il 7 ottobre scorso, a cui è succeduta l’operazione militare israeliana a Gaza, due sono stati indicati da parte di Israele come gli obiettivi da conseguire: la distruzione dell’operatività militare di Hamas all’interno della Striscia e la liberazione dei civili e dei militari rapiti. Nel corso dei mesi, questi due obiettivi hanno iniziato ad alternarsi nella gerarchia delle priorità.

L’obiettivo principale. Quale?

Quando sussisteva ancora il gabinetto di guerra, di cui faceva parte anche Benny Gantz come membro dell’opposizione per rappresentare, al di là delle divergenze politiche con il governo in carica, l’unità nazionale a fronte della situazione di emergenza, fu quest’ultimo a dichiarare che l’obiettivo principale da raggiungere era la liberazione degli ostaggi. Recentemente è stato il turno di Daniel Hagari, portavoce dell’IDF, il quale ha ribadito il concetto durante una conferenza stampa, per poi correggersi subito dopo, a seguito dell’aspro rimbotto arrivatogli da un “alto funzionario del governo”, definizione di copertura per indicare Netanyahu, che gli ha fatto presente come gli ostaggi siano solo uno degli obiettivi da raggiungere, non il principale.

Dopo mesi di inconcludenti negoziati tra Israele e Hamas per raggiungere un cessate il fuoco che consenta, nel corso del suo adempimento, la liberazione dell’ultimo centinaio di ostaggi prigionieri nella Striscia, si è giunti ieri a un alterco tra Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant nel corso di una riunione ristretta durante la quale Netanyahu ha ribadito con fermezza che la precondizione insindacabile di un eventuale accordo con Hamas è che l’IDF resti a presidio del corridoio Filadelfia ai confini con l’Egitto. Questa condizione è irricevibile per la formazione jihadista, essendo il corridoio il principale snodo per l’ingresso di armi e il passaggio di uomini, e, sulla cui piena funzionalità, l’Egitto è, con ogni evidenza, connivente.  Da qui la causa dell’alterco con Gallant, che, alla pari delle famiglie degli ostaggi più vocianti in piazza contro Netanyahu, lo ha accusato di volere la loro morte.

Divergenze strutturali

Lo scontro tra i due, la cui convivenza, fin da prima dello scoppio della guerra non è stata agevole, basti ricordare l’annuncio fatto da Gallant l’inverno scorso, mentre Netanyahu era in visita a Londra, che la riforma della giustizia allora in corso metteva a repentaglio la sicurezza di Israele, è solo l’ultimo episodio di uno attrito ben più ampio.

Da una parte ci sono coloro che ritengono che essendo la completa sconfitta di Hamas un obiettivo irrealistico, sia necessario spostare la priorità della guerra dalla disarticolazione della formazioe jihadista alla liberazione degli ostaggi. È questa la posizione esplicita della Casa Bianca, espressa a chiare lettere da Joe Biden a maggio, quando affermò che essendo riuscito a depotenziare fortemente Hamas e non rischiando più un nuovo 7 ottobre, Israele poteva accontentarsi e che ora era necessario raggiungere il cessate il fuoco. È la posizione condivisa da una parte dell’apparato militare e dei Servizi, ed è la posizione dell’opposizione guidata da Benny Gantz. Si tratta, di fatto, di un gruppo cospicuo, spalleggiato dagli Stati Uniti, il quale ha anteposto al concetto di vittoria quello di una sconfitta mitigata dal successo dal recupero degli ostaggi rimanenti. Ma non esistono in guerra sconfitte mitigate, permettere a una residualità di Hamas di permanere nella Striscia anche se gli ostaggi fossero tutti liberati equivarrebbe a una sconfitta.

Dall’altra parte ci sono coloro i quali ritengono che l’obiettivo primario sia la sicurezza di Israele e la messa in ginocchio definitiva di Hamas. È la ragione per la quale Netanyahu ha voluto mettere ai voti dopo la riunione di ieri, la decisione di non derogare dalla presenza dell’IDF lungo l’asse del corridoio Filadelfia.

Hamas può essere definitivamente sconfitto nella Striscia, ma, per potere conseguire questo risultato, è evidente che la presenza israeliana al suo interno e lungo i suoi confini dovrà essere protratta, e questo significa non una manciata di mesi, ma di anni, esattamente quello che non vuole accada l’Amministrazione Biden e una eventuale Amministrazione Harris che, qualora entrasse in carica, in Medio Oriente proseguirebbe esattamente la medesima politica dell’amministrazione attuale, lesiva per la sicurezza e gli interessi dello Stato ebraico.

 

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