Matthias Küntzel, Nazis, Islamic Antisemitism and the Middle East, The 1948 Arab War Against Israel and the Aftershocks of World War II. Routledge, 2023
Nel suo ultimo libro, che segue di ventun anni la prima pubblicazione del seminale Il jihad e l‘0dio contro gli ebrei, l’islamismo, il nazismo e le radici dell‘11 settembre, pubblicato in italiano nel 2019, Matthias Küntzel, ricuce un’altra volta la trama che lega l’influenza del nazionalsocialismo sul mondo islamico, riprendendo e ulteriormente elaborando alcune delle tematiche affrontate nel testo precedente.
Lo fa qui esplicitando tre aspetti decisivi che ci permettono di inquadrare meglio un episodio come l’eccidio del 7 ottobre perpetrato da Hamas nei confronti di 1200 cittadini israeliani. Il primo è la specificità dell’antisemitismo islamico risalente alle origini stesse dell’Islam, il secondo è il ruolo avuto nel sostenerlo da parte di Amin al-Husseini, il Mufti di Gerusalemme e da parte dei Fratelli Musulmani, la più vasta e influente organizzazione islamica della seconda metà del Novecento, il terzo è quanto esso abbia influito come propellente per l’aggressione nel 1948 degli Stati arabi nei confronti di Israele.
E questa guerra, a cui Küntzel dedica il quarto capitolo del suo volume, l’episodio più pregnante e decisivo che ci consente di leggere in una cornice di riferimento ad un tempo più ampia e inquietante lo stesso conflitto arabo-israeliano fino ai nostri giorni e dunque fino alla guerra ancora in corso tra Israele e Hamas.
Scrive Küntzel nell’introduzione, “Sussiste un legame ideologico tra la guerra dei nazisti contro gli ebrei e quella degli arabi contro gli israeliani tre anni dopo, così che la seconda può essere interpretata come una scossa di assestamento della grande catastrofe del 1939-1945”.
Come si è formato questo legame ideologico viene dettagliato nei capitoli precedenti, a partire dal primo, dove l’autore affronta come aveva già fatto in passato, non solo nel testo sopra citato, ma in numerosi articoli scritti nel corsi degli anni, il tema dell’antisemitismo islamico, risalendo alle sue fonti religiose coraniche. Si tratta del giacimento antigiudaico necessario al formarsi di quello antisemita successivo, ovvero il prodotto della propaganda nazista incaricata nel 1938 di svolgere questo specifico compito per il mondo islamico attraverso le apposite trasmissioni radio a onda corta che si propagavano da Zeesen, un piccolo paese a 40 chilometri da Berlino.
Il suggerimento di predisporre delle trasmissioni in arabo venne dato ai nazisti alla fine del 1937 da Said Imam, un associato di Amin-al-Husseini. Sul rapporto di quest’ultimo con il Terzo Reich, la letteratura è ormai consolidata, e le opere di David Motadel, Klaus Gensicke, e quella scritta in coppia da Barry Rubin e Wolfgang G. Schwanitz, sono una fonte di conoscenza importante data per acquisita nelle sue linee generali.
Küntzel mostra come, nel contesto dell’antigiudaismo islamico risalente al Corano, gli ebrei vengano rappresentati come coloro che, alla pari dei cristiani, non hanno accettato l’autorevolezza di Maometto, ma, a loro aggravio hanno tramato contro di lui. Nel Corano, seppure l’immagine degli ebrei venga degradata non è alonata da un potere diabolico come nell’antigiudaismo cristiano, mentre essa si ingigantisce a dismisura nell’antisemitismo nazista, per il quale gli ebrei sono sostanzialmente demoni che attentano al benessere della società e come tali devono essere distrutti.
L’aspetto cospirazionista dell’antisemitismo che deriva dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, il falso creato a fine Ottocento dall’Ocrana, la polizia segreta zarista, si coagula con quello razziale nazista creando una miscela micidiale. A sua volta esso verrà travasato nel contenitore di quello islamico creando una combinazione unica. “Solo qui è presente l’antigiudaismo degradante dell’Islam ai suoi esordi e l’antisemitismo cospirazionista moderno”, scrive Küntzel .
Per l’autore è evidente, sulla base di documenti, dichiarazioni, trasmissioni radio, come, solo alla luce dell’influenza pervasiva di questo combinato disposto esiziale, sia possibile spiegare in modo convincente il farsi strada nel mondo arabo, a partire dal 1938 in poi e contro posizioni più moderate, il sempre più radicale rifiuto nei confronti della nascita di uno Stato ebraico nella Palestina mandataria. Viene sottolineato il ruolo determinante avuto, prima e dopo la fine della Seconda guerra mondiale, dal Mufti di Gerusalemme, a cui fu permesso di rientrare in Egitto e di non finire sotto processo per crimini di guerra, e quello della Fratellanza Musulmana, che lo appoggiava apertamente e condivideva il suo antisemitismo virulento.
Il piano originario nazista era quello di mettere fine alla presenza ebraica in Palestina e dunque di abortire la stessa nascita di Israele. Al fine di questo progetto il Mufti aveva fornito la propria preziosa collaborazione.
“Per i nazisti, la soluzione finale della questione ebraica non era ristretta all’Europa. ‘Questa guerra terminerà con una rivoluzione antisemita mondiale e la distruzione degli ebrei in tutto il mondo’, dichiarava una direttiva del partito nazista del maggio 1943. Era la volontà esplicita di Hitler di espandere il programma di omicidio di massa conosciuto come ‘soluzione finale’ ai circa 700,000 ebrei del Nord Africa e del Medio Oriente”.
Questa volontà ereditata dal nazismo di eliminare tutti gli ebrei stanziali in Palestina si sarebbe nuovamente ripresentata nel 1948, quando, dopo il rifiuto arabo di accettare il piano di partizione proposto dalle Nazioni Unite il 23 novembre del 1947, gli eserciti arabi decisero, nonostante una iniziale titubanza, di attaccare Israele allo scopo di distruggerlo. La titubanza venne vinta, secondo l’autore, dalla fortissima pressione della piazza, istigata soprattutto dai Fratelli Musulmani.
La matrice antisemita del conflitto è quindi un elemento fondamentale, se non l’elemento fondamentale del suo darsi fino ad oggi, è la linfa vitale che lo ha tenuto in vita e ancora lo tiene in vita. In questo senso, lo Statuto di Hamas, costola palestinese della Fratellanza, rappresenta un documento emblematico. Come ricorda Küntzel, “Un ulteriore documento centrale dell’antisemitismo islamico è lo Statuto di Hamas pubblicato nell’agosto del 1988…Nel 2017 Hamas ha pubblicato una versione più moderata. Rappresentanti di Hamas, tuttavia, hanno messo in chiaro che la versione del 1988 non è stata ripudiata”.
Lo Statuto di Hamas ci porta ai giorni nostri e all’eccidio del 7 ottobre e ci consente di vedere con terribile chiarezza tramite l’itinerario esposto nel libro, come questo episodio si iscriva completamente nel contesto ideologico di cui il testo traccia con accuratezza la genesi.
I volenterosi carnefici di Hitler, dei quali, con una efferatezza ancora maggiore, quelli di Hamas si sono incaricati di continuare l’opera, sono l’anello più robusto della lunga catena di odio e di volontà programmatica eliminazionista, che, come l’autore di questo libro illuminate ci permette di capire, ha cominciato a essere forgiata dalla fine degli anni Trenta.
La conclusione che si trae è che, diversamente da quella che è ritenuta la vulgata più in voga, sposata acriticamente dalle Cancellerie mondiali, il nucleo del conflitto non risiede in una disputa territoriale, nella mancanza di uno Stato “palestinese”, e dunque di una legittimità nazionale frustrata, ma dall’antisemitismo più accanito, trasmesso da generazione in generazione.
Questa diagnosi necessita di una cura molto più difficile perché ha bisogno di una riforma culturale e politica profonda, di un cambiamento di mentalità che, nell’ambito dell’accanimento islamico anti-ebraico e oggi soprattutto anti israeliano, non è ancora lontanamente all’orizzonte.