«In memoria delle tenebre che sono cadute su di noi».
Targa in memoria delle vittime dell’attentato alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme.
Come dimostrano le numerose manifestazioni «pro-Palestina», che sostanzialmente significa «pro-Hamas», e nonostante gli ipocriti slogan quali «restiamo umani» e «basta guerra», la sinistra venera gli jihadisti che hanno macellato migliaia di ebrei innocenti.
Si tratta di un amore di vecchia data, semplicemente rinfocolato dai giusti e doverosi bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza. Va detto, però, che la crisi odierna sta facendo una chiarezza inaudita sulla posizione dei «progressisti» occidentali circa lo Stato d’Israele.
Nel dicembre del 2017, la sinistra mondiale si prese una cotta per la riccioluta Ahed Tamimi, una diciassettenne arabo-palestinese arrestata per aver aggredito dei soldati israeliani nel corso di alcuni scontri avvenuti a Nabi Salih, in Giudea e Samaria. In seguito all’arresto venne trasformata in un’icona vivente della «resistenza palestinese». Il graffittaro napoletano Ciro Cerullo, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Jorit Agoch, le dedicò persino uno dei suoi orrendi murali.
Nell’ottobre di quell’anno, Vogue Arabia, l’edizione araba della celebre rivista di moda con sede a Dubai, pubblicò un pezzo apparentemente scritto da Ahed Tamimi, intitolato «Occupied Childhood: Ahed Tamimi Pens a Heartfelt Letter About Life in and After Prison», una lettera sulla vita dentro e dopo la prigione. La nota del redattore recitava: «Con una lettera accorata, l’attivista palestinese di 17 anni Ahed Tamimi racconta la storia del suo arresto e di otto mesi in una prigione israeliana – e le lotte che affronta come simbolo di resistenza».
La Tamimi, o il suo ghostwriter, raccontava, in tono lamentoso, quanto sarebbe stata meravigliosa la sua vita se non fosse stato per quei terribili israeliani: «Voglio essere una normale diciassettenne. Mi piacciono i vestiti, mi piace il trucco». Ad accompagnare l’articolo vi era uno scatto decisamente glamour, di un bianco e nero molto elegante, della Tamimi coi capelli al vento. La povera vittima continuava così: «Mi alzo la mattina, controllo il mio Instagram, faccio colazione e cammino sulle colline intorno al villaggio. A volte vado a Ramallah con gli amici per giocare a bowling, a mangiare il gelato o per andare al ristorante, ma non sono un adolescente normale. Entrambi i miei genitori sono stati in prigione, come me, e ora anche il mio fratello maggiore, Waed, è in prigione».
Ma che pena. Peccato che la Tamimi non racconti tutta la storia: suo padre è stato condannato nel 2012 per aver incitato dei giovani a lanciare pietre contro le truppe israeliane. Suo fratello è stato condannato nell’agosto 2018, due mesi prima che sua sorella diventasse un’eroina di Vogue, per aver lanciato pietre contro i soldati israeliani. Ahed non menziona il membro più «illustre» della sua famiglia, la zia Ahlam Tamimi, che fu tra gli organizzatori dell’attentato suicida alla pizzeria Sbarro di Gerusalemme il 9 agosto 2001. Attacco che causò la morte di sedici civili israeliani. Uno dei peggiori di sempre.
Ahlam, condannata all’ergastolo da un tribunale israeliano per il ruolo avuto nella strage, è stata scarcerata nel 2011 come parte dello scambio di prigionieri necessario alla liberazione del soldato Gilad Shalit, rapito da Hamas nel 2006. In seguito, si è recata in Giordania, dove è diventata una star dei media e un’eroina nazionale. Amman ha rifiutato tutte le richieste di estradizione provenienti dagli Stati Uniti, che la vede sulla lista dei più ricercati dall’FBI, poiché tra le persone uccise nell’attacco vi erano anche cittadini americani.
Il primo giugno di quest’anno, qualche mese prima dei massacri di Hamas, all’Ospedale Ichilov di Tel Aviv, si spegneva proprio una delle vittime con cittadinanza americana, Chana Nachenberg, in coma da quel terribile giorno di ventidue anni fa.
Su Vogue, tuttavia, Ahed Tamimi ha fatto del suo meglio per ritrarre se stessa come un’adolescente normale, anche se vittima di una crudele «occupazione» militare: «Se mi fosse permesso di essere un’adolescente normale che vive in un paese normale, farei dello sport. Volevo diventare un calciatore ma non gioco qui perché non c’è tempo. Fin da quando ero bambina sono stato coinvolto in manifestazioni e scontri con l’esercito israeliano». Nella realtà, non nella caricatura fattane dalla propaganda palestinese e dai suoi alleati occidentali, la Tamimi non vive sotto alcuna «occupazione».
Cinque anni dopo il suo scatto glamour per Vogue, a ridosso del massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre, sulla sua pagina Instagram ha pubblicato in ebraico e arabo il seguente messaggio: «Il nostro messaggio ai coloni: vi aspettiamo in tutte le città della Cisgiordania, da Hebron a Jenin. Ti massacreremo e dirai che quello che ti ha fatto Hitler era uno scherzo. Berremo il tuo sangue e mangeremo il tuo teschio. Vieni, ti stiamo aspettando».
Questi sono gli idoli progressisti. Ma dopotutto, non fu Lenin a dire: «Devi rompere le uova per fare una frittata»? Contro Israele, calunniato e criminalizzato come «Stato coloniale e fascista», tutto è lecito, persino una nuova Shoah, anche peggiore di quella hitleriana, come ha suggerito la diva della «causa palestinese».
La domanda non è perché Vogue Arabia abbia esaltato una bugiarda assetata di sangue come Ahed Tamimi, ma perché lo abbiano fatto individui e organizzazioni che si vogliono a favore della «pace» e dell’«umanità». È ormai innegabile che la sinistra non è, contrariamente alle sue stesse affermazioni, il partito del «restiamo umani», della tolleranza, dell’inclusione, ma quello del bere sangue umano da un teschio scarnificato. Le tenebre non hanno ancora smesso di scendere su di noi.