Gli ucraini, fin dalle oceaniche manifestazioni di Euromaidan, sono stati bollati dalla propaganda russa come «neonazisti» e «antisemiti». Il Cremlino ha accusato i governi post-rivoluzionari di Porošenko e Zelens’kyj di condurre una campagna genocidaria contro i russi etnici del Donbas. Tra le peggiori indecenze pronunciate da Putin dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, vi è stato l’appello alla «denazificazione» del Paese. A ben vedere, in questi anni, gli apparati della propaganda russa e filorussa si sono impegnati a «nazificare» l’Ucraina, attraverso la creazione di notizie false e mediante la manipolazione di fatti e personalità storiche.
Certo, in Ucraina è esistita, non meno che in Polonia e Russia, una tradizione di pogrom. Così come sono esistiti dei nazionalisti e dei fascisti ucraini disposti ad allearsi, nel 1941, con Hitler contro Stalin. L’Ucraina, durante la Seconda guerra mondiale, ha avuto i suoi collaborazionisti, la cui efferatezza è stata evocata da Primo Levi in Se non ora, quando?, ma nessuna nazione europea fu immune dal morbo collaborazionista.
Eppure, proprio in Ucraina, dove la barbarie nazista si è abbattuta sugli ebrei con estrema ferocia, basti penare al pogrom di Odessa del 1941 o al masscaro di Babyn Jar, vera e propria «Shoah a colpi di mitra», si è rivelato un diffuso sentimento di solidarietà verso gli ebrei. L’Ucraina, infatti, è il quarto Paese per numero di Giusti tra le nazioni, ben 2.659. In particolare, merita di essere ricordato l’amorevole eroismo del metropolita di Leopoli Andrey Sheptytsky, che nel 1942 firmò una lettera pastorale, intitolata Non uccidere, con cui ordinava al suo gregge di non collaborare coi nazisti e di ostacolare lo sterminio. Sheptytsky, con il contributo di monache e monaci, salvò la vita a centinaia di ebrei, soprattutto bambini, nascondendoli nella cattedrale di San Giorgio, a Leopoli.
L’Ucraina, teatro di alcune tra le più nere pagine della storia, è impegnata, come tante altre nazioni dell’ex spazio sovietico, in un processo di elaborazione del proprio passato e di costruzione di una memoria collettiva. Gli eventi del 2013-2014 hanno svolto un ruolo decisivo nel superamento del nazionalismo estremo e conciliato le due memorie: quella ebraica della Shoah e quella ucraina incentrata su Holodomor. Ebrei con la kippah, patrioti ucraini, cosacchi con la papakha, armeni residenti in Ucraina si sono uniti nella comune lotta contro Yanukovich e la mafia moscovita.
Nel corso delle proteste filo-europee di Maidan, sulla «concorrenza tra le memorie» è prevalsa quella che il filosofo ceco Jan Patočka chiamò «solidarietà dei sopravvissuti», ovvero quel sentimento di calda e spontanea fraternità che unisce le vittime e i loro discendenti. Nel frattempo, Yanukovich, attingendo a piene mani dalla retorica antisemita, arrivò a sostenere che le manifestazioni pro-democrazia fossero pilotate da una temibile «internazionale ebraica».
Simbolo di questa elaborazione compiuta è il presidente Volodymyr Zelens’kyj, discendente di una famiglia ebraica decimata dai nazisti; così come lo è Ilya Samoilenko, comandante del Battaglione Azov che, dopo la strenua difesa di Mariupol’ e la prigionia in Russia, si è recato in visita in Israele, presso Masada, la fortezza dove gli ebrei, nel 73 d.C., guidati da Eleazar Ben Yair, resistettero per due anni all’assedio Romano. In quell’occasione, al Jerusalem Post, Samoilenko dichiarò: «il battaglione è cambiato. Si è purificato del suo oscuro passato. L’unico radicalismo che abbracciamo oggi è la nostra volontà radicale di difendere l’Ucraina».
Mentre l’Ucraina affronta i fantasmi del suo passato, nel tentativo di trasformarsi una liberal-democrazia compiuta, Putin bombarda il memoriale eretto in memoria delle vittime ebree della strage di Babyn Jar, riduce a un cumulo di polvere e macerie le architetture ebraiche di Bachmut e Odessa, uccide a Kharkiv Boris Romanchenko, uno degli ultimi superstiti di Buchenwald. È Putin, non certo l’Ucraina, con la sua variante russa dell’Anschluss e la sua guerra criminale, a riesumare il totalitarismo nazi-comunista in Europa.