A due settimane dalla feroce aggressione da parte di Hamas subita da Israele, lo scenario che ci troviamo davanti è mobile e contrassegnato dall’incertezza.
Gli ostaggi
I nodi da sciogliere sono diversi e particolarmente aggrovigliati. Il primo riguarda la questione dei 203 ostaggi detenuti nella Striscia. Dalle notizie trapelate sembra che solo una parte di essi sia nelle mani di Hamas, mentre altri siano divisi tra la fazione della Jihad islamica e altri gruppi e sottogruppi. La situazione è notevolmente opaca. Due cittadine americane, madre e figlia, sono state rilasciate ieri. Si lavora sottobanco, con la mediazione del Qatar, attore che gioca da tempo molti ruoli, per anni finanziatore di Hamas, e al contempo interlocutore degli Stati Uniti. Sia a Gerusalemme che a Washington si lavora alacremente affinché ne vengano rilasciati altri, ma è del tutto improbabile che, se avverranno rilasci ulteriori, il numero possa essere massiccio. Oltre ai civili, a Gaza sono prigionieri molti militari, e un portavoce di Hamas ha già fatto sapere che il loro eventuale rilascio è subordinato a quello di tutti i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, una richiesta per Israele del tutto irricevibile.
L’attacco terrestre
Aleggia sopra Gaza lo spettro dell’invasione di terra, annunciata a più riprese ma di fatto, non ancora materializzata. Dopo il richiamo di 300,000 riservisti e il dispiegamento di truppe sul confine, per il momento si è proceduto solo a un raid all’interno della Striscia, mentre i bombardamenti proseguono massicci. L’obbiettivo dichiarato è quello di effettuare a Gaza un regime change, ma perché ciò possa avvenire non ci sono alternative se non quella di una invasione della Striscia, opzione che anche gli Stati Uniti considerano inevitabile, anche se premono su Israele per un temporeggiamento necessario a far sì che il numero degli ostaggi tra cui ci sono 22 cittadini americani possa aumentare e il numero più ampio di sfollati possa mettersi in sicurezza .
Il “dopo” Hamas
Gli Stati Uniti e Israele stesso sono contrari a una rioccupazione della Striscia, che, dal 2007, è sotto il dominio di Hamas. Uno scenario possibile sarebbe quello di commissariarla sotto l’egida di un governo sostenuto da una coalizione internazionale in cui gli Stati arabi abbiano un ruolo di primo piano. Si tratta di una prospettiva ardua e irta di incognite il cui avverarsi è completamente subordinato all’eliminazione di Hamas, e dunque all’invasione della Striscia e alla vittoria di Israele. Nel mentre si deve affrontare la crisi umanitaria e l’aumento del numero dei morti.
La necessità della vittoria
Israele non ha scelta se non quella di invadere la Striscia e riportare la vittoria sul nemico. Lasciare Hamas a Gaza significherebbe di fatto sconfessare la propria stessa ragione d’essere, quella di uno Stato nato per garantire agli ebrei di tutto il mondo che hanno deciso di viverci, sicurezza e prosperità. Significherebbe consegnare all’estremismo islamico una vittoria clamorosa, rafforzare e imbaldanzire Hezbollah e il suo sponsor principale, l’Iran e prepararsi a breve a un’altra guerra.
La vita degli ostaggi, la crisi umanitaria, il post Hamas, possono essere considerati unicamente dentro la prospettiva di una vittoria netta di Israele, e non a monte di essa.
Nessuna guerra inaugura mai scenari facili, ma dà vita, inevitabilmente, a un ginepraio di problemi, e questa guerra, come tutte le altre guerre, non fa eccezione, ma solo la vittoria sul nemico può chiarire l’orizzonte, ed è, per Israele, il passo necessario per la sua sopravvivenza.