Editoriali

I nemici interni di Israele

Da tempo sappiamo che alcuni dei nemici maggiori di Israele non sono all’esterno dello Stato ma dentro di esso, e non sono, come è ovvio, i terroristi arabo-palestinesi ma i loro fiancheggiatori dell’estrema sinistra.

Ora, questo è un canovaccio che conosciamo bene perché anche l’Italia, nei cosiddetti Anni di Piombo, lo ha vissuto. I fiancheggiatori delle Brigate Rosse si trovavano nell’estrema sinistra e si auguravano una palingenesi rivoluzionaria che avrebbe rovesciato lo Stato borghese e al suo posto avrebbe messo una società nuova improntata ai principi del marxismo-leninismo.

Chi lavora contro Israele in Israele ed è ebreo e israeliano non sogna una società rinnovata secondo i testi di Marx, Engels, Lenin o Trotsky. No. Desiderano semplicemente che Israele diventi a maggioranza araba. Il loro testo di riferimento non è nemmeno il Corano. Almeno avessero la dignità di diventare musulmani. No. Restano quello che sono. Nei casi peggiori, anime morte, senza fede alcuna se non l’adesione a una rancida e tossica abiezione mentale che confina con un processo di autodissoluzione e autodenigrazione della propria identità ebraica. Shlomo Sand è uno degli esempi più noti di questo processo, ma ha diversi “illustri” precedenti.

Questi esponenti sono solidali o comprensivi con il terrore armato arabo-palestinese, e si trovano a diversi livelli di adesione. C’è l’umanista irenico alla Amos Oz che in nome dell’ideale astratto di Giustizia (fiat iustitia et pereat mundus) non si perita di tendere la propria mano a quella grondante di sangue dell’assassino, nel suo caso Marwan Barghouti, confidando nell’illusione di poterlo convertire ai propri valori, c’è il salottiero allo champagne che ripropone tutto il vecchio armamentario manicheo della sinistra da Bignami, secondo il quale il mondo si divide in oppressi e oppressori e i palestinesi appartengono alla prima categoria e gli israeliani alla seconda come Gideon Levy, c’è il docente universitario che racconta la storia di Israele come epopea sudista, l’espropriazione della terra da parte del colonizzatore bianco con tanto di “pulizia etnica” come Illan Pappe, c’è l’ebreo che vorrebbe essere arabo ma non c’è la fa a compiere il salto decisivo e allora si arabizza mentalmente al punto da identificarsi completamente con l’altro, ma permanendo ebreo viene sempre percepito come un corpo estraneo e quindi disprezzato, come Amira Haas, e poi c’è il collaborazionista vero e proprio, come il molto meno noto Ezra Nawi,  il quale, due anni fa, fingeva di volere acquistare la terra dagli arabi (che per l’Autorità Palestinese, la moderata Autorità Palestinese di Abu Mazen, è un reato punibile con la morte) e poi quando trovava qualcuno disponibile a farlo lo denunciava ai servizi dell’Autorità Palestinese. Scopo di tutto ciò? Creare un solco ancora più profondo tra gli arabi palestinesi che vorrebbero un rapporto normalizzato con Israele.

Poi ci sono altri ebrei, soprattutto americani, i quali rappresenterebbero il meglio della diaspora illuminata del tikun olam, e che come Peter Beinart, fermato l’altro giorno e interrogato all’aeropoto Ben Gurion, paragonano Israele all’Alabama degli anni ’50. Uno le cui idee su Israele coincidono con quelle dell’OLP e di Hamas, con la differenza che mentre l’OLP e Hamas offrono come soluzione all’”occupazione” di un territorio considerato tutto facente parte dell’Umma islamica, la distruzione dell’”entità sionista”, Beinart offre come soluzione la sua particolare idea di sionismo che consisterebbe nel consegnare Israele progressivamente all’Umma islamica.

Molti con idee simili erano a Tel Aviv in Piazza Rabin insieme a bandiere palestinesi sventolanti a protestare perché il governo in carica ha avuto l’ardire di promuovere una legge che dichiara Israele stato ebraico e, non come, vorrebbero loro, stato binazionale, il che, se mai si avverasse, creerebbe le condizioni di una guerra civile che farebbe impallidire quella avvenuta nella ex Jugoslavia. Fortunatamente, per il bene del paese, rappresentano una minoranza, anche se agguerrita.

La guardia alta Israele non deve mantenerla solo nei confronti di chi vorrebbe la sua capitolazione dall’esterno, ma anche da chi la vorrebbe dal suo interno.

 

 

 

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