Le vicende che si nascondono dietro alle prime forniture di fucili Mauser, da parte della Cecoslovacchia, al nascente Stato di Israele sono più incredibili delle spy story create dalla penna del più bravo scrittore di romanzi d’azione. Prima di entrare nel merito di queste vicende, è opportuno fare una breve descrizione della situazione che stava per vivere Israele all’alba della sua indipendenza.
Lo scenario
Sul finire del 1947, quando la Gran Bretagna, in qualità di potenza mandataria aveva deciso di non proseguire tale incarico comunicandolo all’ONU, nel Mandato di Palestina si scatenò una guerra civile tra arabi ed ebrei che sarebbe sfociata in guerra aperta con la proclamazione di indipendenza dello Stato di Israele il 14 maggio 1948.
Da quel momento, lo Stato di Israele si trovò a fronteggiare l’invasione di cinque eserciti arabi: quelli di Egitto, Libano, Giordania, Siria e Iraq che a nome dell’intero mondo mussulmano avevano deciso di distruggere sul nascere il neo proclamato Stato. La situazione militare per Israele fu subito critica in quanto i paesi occidentali (USA, Gran Bretagna e Francia) avevano deciso di attuare un embargo totale sulle fornitura di armi ai contendenti. Ma mentre gli eserciti arabi potevano godere di un esercito regolare con ampie scorte di armi leggere (soprattutto la Giordania che ottenne pieno accesso ai depositi di armi lasciate dall’esercito inglese che abbandonava la Palestina mandataria), il neo costituito esercito israeliano (l’IDF) si trovò in piena emergenza per lo scarso numero di armi e munizioni a disposizione.
La dirigenza ebraica, ben consapevole, che con la proclamazione di indipendenza si sarebbe scatenata la guerra, nei mesi precedenti si era mossa per procurarsi quelle armi che sarebbero state vitali per la sopravvivenza dello Stato ebraico. Vista l’impossibilità di trovare armi in Occidente, a causa dell’embargo USA sulla fornitura di armi tra i contendenti a partire dal dicembre 1947 seguito da analoghe decisioni di Francia e Gran Bretagna, l’Agenzia Ebraica (organizzazione che in base alle disposizioni mandatarie si doveva occupare dell’edificazione dello Stato ebraico) si mosse verso i paesi dell’Est Europa per trovare quelle armi che in Occidente le erano negate. Ciò fu possibile grazie all’appoggio politico che l’Urss aveva mostrato verso la causa ebraica, principalmente, in funzione anti inglese. Ben presto la Cecoslovacchia fu individuata come il partner più idoneo all’acquisto delle armi di cui la dirigenza ebraica aveva disperato bisogno: essa, infatti, aveva un enorme disponibilità di armi di origine tedesca che non servivano più al nuovo esercito cecoslovacco e inoltre aveva un estremo bisogno di valuta pregiata (dollari USA) per ricostruire il paese distrutto dalla guerra. I primi contatti avvennero alla fine del 1947 dopo lo scoppio delle fasi iniziali della guerra civile nella Palestina mandataria ad opera degli arabi. Per l’Agenzia Ebraica era estremamente difficile procurarsi delle armi, sia a causa del blocco navale e aereo imposto degli inglesi sia per il fatto che non esistendo ancora lo Stato di Israele, per il diritto internazionale non era consentita la vendita di armi da guerra ad organizzazioni o a privati. Bisognava, quindi, trovare una soluzione per entrambi i problemi.
La Cecoslovacchia, fu l’unico paese che si dimostrò disponibile a vendere armi all’Yishuv (la comunità ebraica di Palestina) e di fatto salvò sul nascere lo Stato di Israele, fornendo un considerevole approvvigionamento bellico fino al giugno del 1948 quando si consumò la rottura tra Stalin e Tito che si ripercosse anche su Israele che non accettò di schierarsi politicamente con l’Urss e fu visto di conseguenza con ostilità.
Dopo aver individuato nella Cecoslovacchia una possibile fornitrice di armi, Ben Gurion e l’alto comando dell’Haganà (l’organizzazione militare clandestina per la difesa degli abitanti ebrei palestinesi) decisero di mandare il comandante e ingegnere Michael Felix a trattare con i rappresentanti governativi cecoslovacchi la vendita delle armi necessarie alla sopravvivenza del Focolare Nazionale Ebraico.
Felix giunse a Praga il 29 ottobre 1947 e si stabilì al Palace Hotel (che diverrà fino al giugno del 1948 il quartier generale dell’Haganà). Nei giorni successivi si incontrò con il responsabile dei servizi segreti Bedrich Reicin e con l’ardente comunista Otto Fischl (all’epoca il governo cecoslovacco era di unità nazionale. Il colpo di Stato comunista avverrà nel febbraio del 1948) responsabile del ministero delle Finanze. Iniziarono subito le prime trattative per l’acquisto delle armi leggere. Si discusse sulla quantità, il prezzo e soprattutto sui necessari documenti di trasporto visto che né l’Yishuv né l’Agenzia Ebraica avevano titolo per procedere all’acquisto, fino a quando lo Stato di Israele non fosse stato riconosciuto dalla comunità internazionale. Ma la dirigenza ebraica sapeva benissimo che se non si fosse agito per tempo, lo Stato di Israele non avrebbe mai visto la luce. Così, dopo alcune settimane di trattative (nel dicembre ’47) furono concordate le quantità e il costo. Rimaneva da superare l’aspetto più difficile: con quali documenti validi fare uscire le armi dalla Cecoslovacchia fino ad un porto, e come trasportarle fino in Palestina aggirando il blocco inglese.
Il primo aspetto fu superato grazie al governo cecoslovacco che aiutò a fabbricare un documento su carta intestata del governo etiope con il quale si autorizzava il sig. Uiberall come mediatore dello Stato africano a procedere all’acquisto delle armi per conto dell’Imperatore Haile Selassie in persona. In realtà Uiberall era un agente dell’organizzazione ebraica Aliah-Bet incaricata, in quegli anni, di organizzare il rimpatrio degli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. Il secondo e più difficile aspetto fu quello dell’organizzazione del trasporto delle armi dalla Cecoslovacchia alla Palestina mandataria. Qui l’audacia, la perseveranza e la determinazione degli uomini e delle donne (un ruolo decisivo lo svolse Ada Sereni) dell’Haganà e dell’Aliah-Bet scrissero una pagina memorabile della storia del moderno Israele.
La prima spedizione per la fornitura delle armi comprate (in totale furono 30.000 fucili Mauser, circa 5.000 mitragliatrici MG34 e 50 milioni di proiettili, di fatto le armi che salvarono Israele) era pronta il 24 gennaio 1948 ed era costituita da 4.500 fucili Mauser, 200 mitragliatrici MG34 e 5 milioni di proiettili. Dopo difficili trattative con le autorità ungheresi e jugoslave il carico di armi giunse al porto di Sibenik (Sebenico) in Dalmazia. Qui il carico giunse ai primi di marzo e rimase fermo per oltre due settimane in attesa del trasporto via mare. Non si riusciva a trovare una nave che non destasse i sospetti delle autorità inglesi che attuavano un rigido blocco marittimo attorno alle coste della Palestina mandataria. Ad un certo punto le autorità jugoslave minacciarono i rappresentanti dell’Haganà di rispedire in dietro le armi immagazzinate nel porto per paura che gli inglesi le scoprissero (erano presenti a Trieste e in altre località nell’Adriatico). A questo punto scese in campo la sezione italiana dell’Aliah-Bet diretta da Ada Sereni.
L’affare Nora
Dopo aver concluso brillantemente l’acquisto dei fucili e delle munizioni la situazione stava diventando critica per l’Haganà, che in Palestina, stava affrontando un numero crescente di attacchi arabi soprattutto nella zona di Gerusalemme. Inoltre, mentre le truppe inglesi si stavano ritirando da molte zone del paese, le autorità inglesi agevolavano in tutti i modi le bande arabe soprattutto con forniture militari sotto banco. In quei giorni, le autorità jugoslave stavano per dare l’ordine di rispedire indietro le armi acquistate. Anche Ben-Gurion continuava, con crescente timore, a chiedere informazioni sul prezioso carico, ma tutto rimaneva fermo nel porto di Sibenik.
Gli agenti dell’Haganà, Rivkin e Giron, appena giunti in Italia furono messi in contatto, tramite la sezione italiana dell’Aliah-Bet, con l’imprenditore Efraim Ilin che viveva a Milano. Il 10 marzo conclusero un contratto con l’armatore Francesco Parisi per l’acquisto della nave Nora. La Nora aveva una stazza sufficiente per trasportare le 400 tonnellate di armi e 200 tonnellate di patate e cipolle che servivano come copertura del prezioso carico in caso di un eventuale controllo inglese. L’equipaggio italiano fu tenuto all’oscuro della vera natura dell’operazione fin dopo la partenza in direzione del porto di Sibenik per caricare le armi. Va ricordato che l’Italia nel marzo del 1948 si trovava alla vigilia delle elezioni generali e c’era la paura di un possibile colpo di mano da parte dei comunisti, di conseguenza ogni contatto con un paese comunista era visto con sospetto e la Jugoslavia non faceva eccezione. Così, tra mille difficoltà, la nave salpò e raggiunse Sibenik. Il carico di armi era pronto su una banchina isolata del porto in attesa di essere caricato sulla Nora. Ma, a questo punto, l’equipaggio si rese conto della vera natura della missione e si ammutinò. L’operazione stava per fallire definitivamente.
Quando la notizia giunse agli alti comandi dell’Haganà si diffuse il panico. Tanto più che la situazione in Palestina stava peggiorando drammaticamente soprattutto per la popolazione di Gerusalemme. In fretta e furia fu organizzato un piccolo trasporto aereo consistente in circa 200 fucili Mauser e 40 mitragliatrici MG 34 con relative munizioni. Con un volo dalla Cecoslovacchia alla Palestina, un aereo Skymaster americano noleggiato in Europa, atterrò (era il 31 marzo) in un aeroporto inglese dismesso in piena notte e al buio vicino a Be’er Tuvia. Queste furono le prime armi cecoslovacche ad arrivare in Eretz Israel e subito furono distribuite tra i combattenti dell’Haganà che poterono iniziare a contrattaccare gli arabi. Nel frattempo gli agenti dell’Haganà sulla Nora cercavano di risolvere lo stallo per poter caricare le armi e ripartire alla volta della Palestina.
Efraim Ilin salì sulla Nora e fece un accalorato discorso sui principi di libertà e giustizia e sull’autodeterminazione dei popoli che accomunava il popolo ebraico a quello italiano. L’equipaggio fu convinto della missione che stava per compiere e la Nora salpò, il 21 marzo, ma le difficoltà non erano finite. Dopo qualche giorno di tranquilla navigazione nel Mediterraneo, il tempo volse al brutto e ci furono diversi temporali e tempeste che causarono un notevole rallentamento del viaggio. A causa delle tempeste la Nora, appesantita per il carico, consumò molto più carburante del previsto. Era necessaria una tappa di rifornimento a Cipro (all’epoca sotto controllo inglese) così le cose si complicarono. Il 29 marzo la nave attraccò nel porto di Larnaca.
La Nora, giocando d’azzardo, gettò l’ancora tra due cacciatorpediniere inglesi per non dare sospetto sul carico. Gli ufficiali inglesi saliti a bordo per controllare i documenti e il carico fecero – come sperato – un controllo superficiale non sospettando nulla e dopo due giorni la Nora ripartì alla volta di Tel Aviv. Ma, giunta a poche miglia dalla città, la nave fu intercettata dagli inglesi. Fortuna volle che il cacciatorpediniere fosse lo stesso che a Larnaca aveva controllato la nave e la riconobbe. Senza ulteriori controlli, alla Nora fu dato l’ok per raggiungere la costa palestinese.
Il 2 aprile tutto il carico di armi e munizioni fu scaricato con estrema velocità e distribuito altrettanto rapidamente ai combattenti dell’Haganà che poterono iniziare l’operazione di contrattacco Nachshon (dal 5 al 21 aprile) che risultò decisiva per rafforzare le difese ebraiche in previsione dell’invasione araba del maggio successivo.
L’affare Lino
A questa movimentata e audace storia si può riportare, brevemente, un’appendice altrettanto coraggiosa: il caso della nave Lino. Anche in questo caso il teatro delle operazioni fu l’Italia. Il 28 marzo del ’48, Ada Sereni venne informata da un agente dell’Aliah-Bet di Ginevra che una nave italiana, la Lino, con equipaggio italiano stava partendo da Fiume con destinazione Beirut. La nave era carica di 8.000 fucili Mauser cecoslovacchi provenienti dalla stessa fabbrica che li aveva venduti all’Agenzia Ebraica. I fucili erano stati acquistati dal governo siriano e servivano per armare la fanteria che sarebbe intervenuta nell’invasione araba della Palestina programmata per maggio. Ad Ada Sereni venne dato ordine di fare tutto il possibile per bloccare la consegna. Lei si attivò subito.
Per prima cosa contattò le autorità italiane con l’obbiettivo di segnalare il carico di armi trasportate con una nave italiana in modo da farla ispezionare e guadagnare così del tempo prezioso per poter escogitare una qualche soluzione. La nave fu intercettata nelle vicinanze di Bari e fu fatta attraccare in porto per il controllo del carico e dei documenti. Una squadra delle Palmach si mise all’opera per sabotare il Lino prima che potesse ripartire per Beirut. Ma una volta che fu accertato, da parte delle autorità italiane, la regolarità dell’acquisto delle armi effettuata dai siriani la nave potè ripartire senza ulteriore ritardo.
La situazione, per gli uomini delle Palmach, era molto complicata a causa della presenza di una nave militare inglese, ancorata vicino al Lino nel porto di Bari. Di fatto questa corvetta faceva da scorta alla nave italiana su ordine del governo inglese il quale temeva un colpo di mano ebraico per impossessarsi dei fucili. Con grande rischio il 10 aprile – vista la presenza della nave da guerra inglese – i sommozzatori delle Palmach tentarono di piazzare una mina sotto lo scafo della nave ma non vi riuscirono a causa della serrata sorveglianza inglese. Nonostante il fallimento della missione nessuno si diede per vinto. Bisognava riprovare. Ada Sereni si mosse attraverso tutte le sue conoscenze per fare allontanare la corvetta inglese che in piena violazione della sovranità italiana era ormeggiata nel porto di Bari. Il giorno dopo, dalla capitaneria di porto di Bari, sotto pressione del governo italiano, partì una richiesta ufficiale alla nave inglese con la quale le veniva chiestodi allontanarsi dalle acque territoriali italiane. La corvetta inglese dovette lasciare il porto e posizionarsi in acque internazionali. Si era ricreata una piccola possibilità di agire prima che la Lino salpasse il giorno seguente. La notte dell’11 aprile fu minata la nave. Fu usata una mina a basso potenziale (per non causare vittime tra l’equipaggio e gli operatori del porto) e fu fatta brillare con successo. La nave affondò parzialmente nel porto. Si erano così guadagnati giorni preziosi per Israele. Infatti, il carico di armi, rimase parecchie settimane nel relitto, prima di essere recuperato per conto del governo siriano e stoccato in un magazzino nel porto per potere poi essere nuovamente trasportato verso Beirut. Ada Sereni non rimase ferma. Attivò subito i suoi contatti in modo da noleggiare una nave che facesse il tragitto da Bari a Beirut tramite un armatore locale che difatti si accordò con il maggiore dell’esercito siriano, il quale, nel frattempo, era giunto in Italia, per gestire il trasporto dell’importante carico. Allo scopo fu trovata la nave Argiro che salpò da Bari verso la metà di agosto in direzione di Beirut. Alcuni componenti dell’equipaggio si erano resi indisponibili proprio alla vigilia della partenza e furono sostituiti all’ultimo minuto con un paio di uomini di Ada Sereni. Furono loro che simularono un guasto in pieno mediterraneo. La nave venne soccorsa da un finto peschereccio, che in realtà era manovrato da agenti di Ada Sereni, i quali trasmisero le coordinate alla marina militare israeliana. L’Argiro venne così bloccata e il suo carico di armi trasbordato sulle due navi israeliane.
Il 21 agosto, mentre i siriani erano nel porto di Beirut ad aspettare la nave italiana con il suo carico di fucili Mauser, gli stessi 8.000 fucili venivano scaricati nel porto di Haifa e distribuiti ai fanti di Tzahal.
Furono persone e azioni come queste che permisero allo Stato di Israele di nascere, crescere e diventare quello che è oggi.