Lo sciopero della fame organizzato in questi giorni dal terrorista palestinese Marwan Barghouti, leader della Seconda Intifada, riporta alla memoria una notizia di qualche anno fa: la cittadinanza onoraria concessa a Barghouti dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.
Era il 15 aprile 2014, data oltretutto simbolica perché anniversario dell’incarcerazione del terrorista tradotto in una prigione di massima sicurezza israeliana il 15 aprile 2002.
Barghouti, condannato a cinque ergastoli perché considerato responsabile di numerosi omicidi nonché esecutore materiale di un tentato omicidio, aveva scatenato sin dal suo arresto moti di solidarietà all’interno del variopinto mondo dell’associazionismo italiano. La campagna che ne chiedeva addirittura la liberazione, promossa da Assopace Palestina e dalla Fondazione Lelio, aveva raccolto l’entusiastica adesione non solo del sindaco di Palermo ma anche di personalità come l’immancabile Moni Ovadia e il fondatore di “Emergency” Gino Strada, oltre al prete antimafia Don Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele.
Era un periodo in cui l’attenzione mediatica nei confronti dei terroristi palestinesi incarcerati in Israele, definiti “prigionieri politici”, era particolarmente alta, tanto da culminare in iniziative come “la settimana di mobilitazione per la libertà di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi” svoltasi proprio nell’aprile 2014.
Per questo motivo Leoluca Orlando, che aveva aderito all’iniziativa promossa da Assopace Palestina e dalla Fondazione Lelio fin dal dicembre 2013, aveva deciso di organizzare una celebrazione solenne all’interno del Palazzo delle Aquile, sede del municipio, per conferire la cittadinanza onoraria al leader palestinese.
Ritirata dalla moglie del detenuto, Fadwa Barghouti, si è trattata della prima onorificenza rilasciata a Barghouti da un Comune italiano. A quella cerimonia erano presenti anche l’ambasciatrice palestinese in Italia Mai Al Kaila, gli assessori Giusto Catania, Agata Bazzi e Barbara Evola ed il presidente della Consulta delle culture di Palermo, il medico palestinese Adham Dawarsha.
Leoluca Orlando, quel giorno, si era espresso con parole al miele nei confronti del leader della Seconda Intifada: “E’ con grande onore che accogliamo Marwan Barghouti tra i cittadini palermitani. Prigioniero politico da dodici anni, Barghouti rappresenta la volontà di pace in Medio Oriente, e anche chi non condivide questo nostro atto in futuro ricorderà come anche gesti piccoli come quello di oggi saranno serviti per ridare pace a quella terra”. Un prigioniero politico che rappresenta la volontà di pace. Un terrorista condannato a cinque ergastoli.
Ancor più romantica la moglie di Marwan Barghouti, Fadwa: “Oggi da Palermo si accende una luce che illumina la cella dove mio marito è rinchiuso da dodici anni. (…) Il popolo palestinese è un popolo che vuole vivere in pace con tutti i suoi vicini”.
Speriamo non in pace come Barghouti e gli altri terroristi incarcerati.
L’iniziativa di Leoluca Orlando aveva scatenato anche le proteste dell’allora ambasciatore israeliano in Italia, Naor Gilon, che in una lettera aperta aveva scritto: “Esprimiamo profonda delusione per la scelta del sindaco Leoluca Orlando di conferire la cittadinanza onoraria a Marwan Barghouti: si tratta di una decisione vergognosa che, in alcun modo, favorisce il difficile negoziato di pace tra Israeliani e Palestinesi“.
L’ambasciatore aveva anche sottolineato come la definizione di «prigioniero politico» non fosse attinente: «Parole lontane dalla realtà. È solamente un terrorista».
«Riteniamo che la scelta dell’amministrazione comunale presieduta dal Sindaco Orlando, non renda onore ad una bella ed importante città come Palermo» aveva precisato l’ambasciata d’Israele. «Nella cerimonia il sindaco Orlando ha descritto Barghouti come un prigioniero politico, simbolo della volontà di pace in Medio Oriente. Purtroppo, queste parole sono estremamente lontane dalla realtà. Marwan Barghouti, infatti, non è affatto un prigioniero politico. Al contrario, egli è solamente un terrorista, condannato dalla giustizia per aver organizzato decine di attentati contro persone innocenti». Barghouti infatti «ha volontariamente scelto la strada della violenza e usato il gruppo dei Tanzim, da lui comandato, per uccidere nove civili israeliani. Cosi facendo, al contrario di quello che afferma il Sindaco Orlando, Barghouti è stato uno dei principali artefici del fallimento del negoziato di pace». E ancora: «L’attuale campagna mediatica per la liberazione di Marwan Barghouti non ha nulla a che vedere con il dialogo, si tratta unicamente di un’azione politica contraria alla pace e volta a fornire al pubblico una rappresentazione completamente distorta della realtà storica. Concedere spazio a simili eventi significa implicitamente giustificare la scelta della violenza e del terrorismo».
Non c’è da stupirsi dell’eco mediatica di cui godono iniziative come lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi in Israele. In Italia tante persone sono pronte a commuoversi. Come Leoluca Orlando, Gino Strada e don Ciotti, simboli dell’antimafia o attivisti considerati filantropi.