L’esito dei colloqui di Roma tra l’amministrazione Trump e la leadership iraniana, con la mediazione dell’Oman, ha avuto un unico e prevedibile esito, il nulla presentato come accordo per ulteriori colloqui la prossima settimana a Muscat “per trattative tecniche a livello di esperti”, utilizzando le parole del ministro degli Esteri iraniano, Seyed Abbas Araghchi.
La reale utilità delle quattro ore e mezzo di colloqui non è ben chiara, a parte il permettere al ministro degli esteri Tajani di presentare Roma come “capitale della pace”. In sunto, l’Iran continua a guadagnare tempo facendo credere all’Amministrazione Trump di volerE trattare, mentre l’unico obiettivo del regime khomeinista è quello di guadagnare più tempo possibile per raggiungere l’atomica e ricostruire le difese aeree devastate dall’attacco israeliano dello scorso anno.
Difficile pensare che a Washington non ne siano al corrente, ma evidentemente all’Amministrazione Trump sta bene così. Del resto, si tratta di un’amministrazione che ha trattato direttamente con Hamas alle spalle di Israele e che ha incolpato l’Ucraina della guerra contro la Russia; tutto è possibile.
In merito alla Russia, è emerso che il Cremlino potrebbe svolgere un ruolo di primo piano non soltanto nella mediazione tra Washington e Teheran, ma assumendosi la responsabilità di custodire l’uranio del regime iraniano una volta raggiunta la soglia vicina a quanto necessario per l’utilizzo militare, come recentemente illustrato dal quotidiano britannico The Telegraph. Israele può dunque dormire sogni tranquilli.
La notizia del coinvolgimento russo non sorprende vista l’apertura di Trump nei confronti di Mosca e in particolare di alcuni suoi consiglieri tra cui proprio Witkoff. E’ bene inoltre ricordare che due giorni fa il ministro degli Esteri iraniano Araghchi era a Mosca per consultazioni con il Presidente russo.
Lo stesso Putin ha recentemente elogiato Hamas durante l’incontro con l’ex ostaggio russo-israeliano Sasha Trufanov, con le seguenti parole:
“Penso che dovremmo esprimere parole di gratitudine all’ala politica di Hamas per avere collaborato con noi e portato a termine questo atto umanitario”.
Tornando ai colloqui USA-Iran, è ovvio che Israele non ha alcuna buona ragione per concedere più tempo al regime iraniano. Gli interessi di Gerusalemme sono diametralmente opposti a quelle degli Stati Uniti e di Trump. Israele deve pensare alla propria sicurezza e alla propria sopravvivenza, entrambe messe a serio repentaglio dalla corsa al nucleare iraniano e anche dalla messa in scena dei colloqui, un teatro che sembra fare comodo a tutti sulla pelle di Israele.
E’ bene tenere presente come l’Amministrazione Trump abbia già voltato le spalle all’Ucraina e non si può escludere che faccia altrettanto anche con Israele. E’ possibile che lo Stato ebraico sia diventato un alleato scomodo per l’attuale amministrazione che siede a Washington e per gli obiettivi personali di Trump?
Israele a questo punto può muoversi soltanto in un modo, ovvero fare come fece Begin nel giugno del 1981 con le centrali nucleari di Saddam Hussein. L’unica cosa da fare è muoversi adesso che il regime iraniano non ha ancora rimesso in piedi le difese aeree e colpire le installazioni nucleari, a prescindere che a Washington stia bene o meno, prima di trovarsi con le mani legate da un accordo che al massimo potrà solo differire la realizzazione degli ordigni nucleari, esattamente come era avvenuto per il JCPOA voluto da Obama nnel 2016.
