Prendiamo spunto da un nostro recente articolo dedicato al movimento di destra extraparlamentare “Im Tirtzu (“Se lo vorrete). Il gruppo è molto attivo fin dalla sua fondazione nell’accusare istituzioni accademiche, associazioni non governative come Breaking the Silence e B’tselem e personaggi pubblici, di essere conniventi esplicitamente o surrettiziamente con chi diffama Israele e in amoroso afflato con chi ne vorrebbe la distruzione.
Recentemente Im Tirtzu è assurto nuovamente agli onori della cronaca per una campagna stampa in cui denuncia personaggi pubblici israeliani, scrittori, cantanti, attori di essere delle “talpe”. Secondo Im Tirtzu, appoggiando associazioni che hanno come priorità la diffamazione dello stato ebraico, costoro si renderebbero collaboratori dei governi stranieri avversi a Israele che le finanziano.
E’ dell’altro ieri la notizia che 168 accademici italiani si sono associati alla Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (Pacbi). Il bersaglio è l’Istituto Technion di Haifa. Di cosa sarebbe colpevole questo istituto? Di dare “un indiscutibile sostegno alla occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina”. Leggete con attenzione quello che riporta Il Fatto Quotidiano.
“Gli accademici si dicono ‘profondamente turbati’ dalla collaborazione di alcuni atenei italiani – il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’Università di Cagliari (medicina), l’Università di Firenze (medicina), l’Università di Perugia, l’Università di Roma “Tor Vergata” e “Roma3” -, con il Technion. È grazie anche a tali collaborazioni accademico-istituzionali — questa l’idea chiave dell’iniziativa – che il vasto complesso militare-industriale israeliano funziona, proseguendo impunito nelle violazioni del diritto internazionale. Di conseguenza, ‘collaborare con il Technion significa rendersi attivamente partecipi del regime di occupazione, colonialismo e apartheid d’Israele e in questo modo essere complici del sistema di oppressione che nega ai palestinesi i loro diritti umani più fondamentali’
Le parole d’ordine sono sempre quelle del dispositivo linguistico ereditato dalla propaganda sovietica degli anni 60-70, “colonialismo” e “apartheid”. Non meraviglia dunque che tra i firmatari dell’appello ci siano personaggi come l’apologeta dello stalinismo Domenico Losurdo, ex intellettuale di riferimento di Rifondazione Comunista, è Angelo D’Orsi, il cui esaltato antisionismo lo renderebbe sicuramente un ottimo candidato alla successione di Abu Mazen, se solo fosse arabo (pardon, “palestinese”).
L’indiscutibile colpevolezza del Technion, secondo il nuovo tribunale giacobino dei 168 firmatari che difende, seguendo le sante orme di Saint Just, la Giustizia, è quello di avere, “Un rapporto ‘attivo e durevole, con l’esercito e l’industria militare israeliana. È lì che è stato prodotto il Caterpillar “D9”, un bulldozer controllato ‘in remoto” e usato per demolire le case dei palestinesi. L’istituto collabora con le maggiori aziende produttrici di armi in Israele, come Elbit Systems, la stessa che ha fabbricato i droni “utilizzati dall’esercito per colpire deliberatamente i civili in Libano nel 2006, a Gaza nel 2008-2009 e nel 2014 e fornisce le apparecchiature di sorveglianza per il Muro dell’apartheid’. L’università israeliana, inoltre, ‘forma i suoi studenti di ingegneria affinché lavorino con aziende che si occupano direttamente dello sviluppo di armi complesse. Per fare un esempio, la stessa Elbit Systems ha stanziato circa mezzo milione di dollari in borse-premio per gli studenti del Technion che si specializzino in questo tipo di ricerche – senza contare gli incentivi accademici – altro esempio – di cui hanno goduto gli studenti che hanno partecipato all’operazione Piombo Fuso, nel 2008-2009”.
Avete capito? Siccome il Technion collabora con l’industria militare, siccome in Israele c’è un esercito che difende la sua popolazione e che come ogni esercito fa uso di armi, siccome Israele osa fare ricerca nell’ambito della tecnologia militare per dotarsi di sistemi difensivi e offensivi sempre più sofisticati in modo da contrastare efficacemente chi vorrebbe distruggerlo, siccome Israele si difende quando viene attaccato non con le baionette o con le fionde, siccome demolisce le case “non dei palestinesi”, ma dei terroristi palestinesi, allora il Technion va boicottato. Non fa una piega.
L’articolo del Fatto Quotidiano prosegue informandoci che
“L’iniziativa va ad allinearsi a un trend internazionale in costante crescita. In testa, gli Stati Uniti. Nel 2012, l’American studies association – che conta oltre 5mila iscritti – votò per il sì al boicottaggio. Di lì in poi, alla campagna di endorsement alla lotta per i diritti dei palestinesi, proprio nel paese da sempre amico di Israele, gli Usa, hanno aderito: l’American Anthropological Association, la National Women’s Studies Association, l’African Literature Association, l’Association for Asian American Studies, l’Association for Humanist Sociology, la Critical Ethnic Studies Association, la National Association for Chicana and Chicano Studies, la Native American and Indigenous Studies Association e la Peace and Justice Studies Association. E negli ultimi mesi l’adesione al Pacbi si è fatta strada anche in Europa, dove hanno firmato appelli simili oltre 500 accademici nel Regno Unito, 450 in Belgio e 120 in Irlanda. E 200 in Sud Africa”.
Su una cosa, per una volta, siamo d’accordo con Il Fatto Quotidiano, “il trend è in costante crescita”. L’autore dell’articolo conclude esemplarmente, “Ecco che il dibattito sul BDS, la risposta al silenzio della comunità internazionale di fronte alla violenza di stato israeliana, fa il suo ingresso anche nell’accademia italiana”.
Il “silenzio della comunità internazionale di fronte”…Non è quasi credibile, ma è quello che c’è scritto.
Riepiloghiamo per chi si fosse distratto nella lettura. C’è una violenza di stato. E’ quella di Israele. C’è un popolo colonizzato e segregato, è quello palestinese. C’è un’industria militare organica alla violenza di stato, è quella israeliana. Ci sono istituti tecnici conniventi. Vanno boicottati. Sono istituti di regime. Perbacco.
Questo è il palinsesto. E’ quello che è stato perfezionato nel 1967 dopo la vittoria di Israele nella Guerra dei Sei Giorni. Non è cambiato di una virgola da allora. E perché non è cambiata una virgola? Perché i dispositivi ideologici funzionano attraverso, memi, codici fissi. Sono dogmatici e autoreferenti. La realtà è sempre e solo un pretesto. A nessun altro stato viene applicato questo palinsesto. A nessun altro “popolo” viene offerta una tale solidarietà, non agli yazidi, non ai tibetani, non ai curdi, non ai rohingya, non ai siriani, e si potrebbe continuare in questo sterile esercizio retorico.
Non troverete mai appelli di accademici in loro favore. La violenza di stato, “fascista”, “imperialista”, “razzista” “segregazionista” è una è una sola. Quella di Israele.
Ora torniamo all’inizio. Torniamo a Im Tirtzu e allo scandalo che le sue campagne, e la sua ultima campagna in particolare ha suscitato in tante anime belle e meno belle le quali si preoccupano per la tenuta della democrazia, soprattutto di quella israeliana, così “vacillante” in questo periodo…
A loro diciamo, guardate la realtà. La realtà è che Israele è assediato è sotto assedio mediatico e culturale da 49 anni. Ininterrottamente e in crescendo. Israele è l’unico, UNICO stato al mondo che gode di questo trattamento. E perché? Perché in Israele si pratica come in nessun altro paese al mondo, “la violenza di stato”, perché Israele è il male.
A loro diciamo, sì, scandalizzatevi per Im Tirtzu, allarmatevi per l’inizio della dittatura che sta per prendere piede in Israele (questione di mesi, forse di settimane), mentre Hamas sta preparando il suo prossimo attacco, Hezbollah nonostante le forti perdite in Siria è ben agguerrito e l’Iran, l’Iran, potrà avere presto, grazie a Obama, le sue testate nucleari.
E’ Im Tirtzu, il problema. Sono questi guasconi impenitenti i quali con metodi poco eleganti indicano chi parteggia scopertamente o copertamente con i nemici di Israele, della democrazia e dei valori che hanno fatto grande l’Occidente. Gli stessi nemici con cui solidarizzano i 168 accademici italiani che hanno firmato l’appello e che quaranta anni fa sarebbero andati direttamente a Mosca a ricevere l’ordine del giorno.
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