La verità è l’inferno visto troppo tardi
Thomas Hobbes, Il Leviatano
L’eccidio del 7 ottobre scorso, l’episodio più traumatico che Israele ha vissuto dalla sua fondazione a oggi, è la conseguenza drammatica dell’incapacità di guardare la realtà in faccia.
Per gli ultimi sedici anni, da quando Hamas prese possesso della Striscia di Gaza dopo un regolamento di conti inter-tribale con Fatah, Israele ha impostato tutta la sua azione politica relativa al gruppo terroristico sul suo contenimento. Si trattava sostanzialmente di tenerlo a bada. Le due operazioni militari maggiori nei confronti di Hamas, Piombo Fuso nel 2009 e Margine di Protezione nel 2014, avevano obiettivi limitati, depotenziare la capacità offensiva di Hamas, mostrandogli che Israele poteva colpirlo con risolutezza, e guadagnare tempo fino allo scontro successivo.
Di fatto, Hamas, da questa strategia ha potuto trarre enormi vantaggi sotto tutti i profili: restare a governare la Striscia malgrado gli interventi di Israele, godere dei fondi internazionali necessari alla sua sopravvivenza e all’arricchimento personale dei suoi quadri dirigenti, incrementare la propria capacità offensiva, elaborando al contempo tattiche migliori di aggressione, e infine, lucrare enormemente sui civili morti a causa delle operazioni militari israeliane così da suscitare nell’opinione pubblica mondiale la maggiore esecrazione possibile nei confronti di Israele.
Nel 2014, l’ultimo conflitto su larga scala tra Israele e Hamas prima dell’attuale guerra, fu l’occasione persa per non andare fino in fondo e distruggere il gruppo terrorista.
Dopo la perdita di 69 soldati, e avendo contro l’Amministrazione Obama, la più avversa a Israele dopo quella Carter, Netanyahu decise di non continuare nell’operazione affermando che la distruzione di diversi tunnel costruiti da Hamas poteva considerarsi un successo ed era lo scopo prefissato dell’operazione.
Netanyahu non ha mai pensato per un solo istante a distruggere Hamas, e solidale con lui è stato tutto, o quasi tutto, l’apparato militare e di intelligence israeliano.
Il presupposto base di questa concezione era che il prezzo da pagare in termini di costi umani e politici per una invasione di Gaza su larga scala fosse troppo alto rispetto ai ripetuti problemi che Hamas creava a Israele.
Il fatto che Hamas avesse nel proprio Statuto il programma di distruggere Israele non è mai stato preso realmente sul serio data la sua impossibilità materiale di poterlo fare, ma il punto non era questo, era quello di una volontà omicida ed eliminazionista implacabile che ha potuto esprimersi su larga scala il 7 ottobre scorso.
Si è sottovalutata in altre parole l’intenzionalità di Hamas e la sua effettiva pericolosità. È stata soprattutto questa la principale e fondamentale falla cognitiva di Israele, quella che ha poi condotto inevitabilmente alla sconcertante incapacità di sapere prevenire l’operazione terroristica pianificata accuratamente.
Solo dopo l’eccidio, a seguito dell’emergere delle barbarie perpetrate dai miliziani di Hamas, Netanyahu ha iniziato a paragonare l’organizzazione all’Isis e si sono sentiti i paragoni con la furia nazista. Eppure Hamas è sempre stato Hamas, non è diventato come o peggio dell’Isis solo negli ultimi mesi.
I milleduecento morti (la cifra è stata appena corretta al ribasso) che è costato a Israele scoprirlo, sono il prezzo spaventoso che Israele si è trovato costretto a pagare per non avere voluto affrontare la realtà.
È chiaro che Hamas deve essere eliminato definitivamente dalla Striscia, come è chiaro che Israele, una volta che avrà conseguito l’obbiettivo, dovrà nuovamente occuparla per il periodo necessario. E dopo?
Qui, di nuovo, si tratta di guardare in faccia la realtà per evitare di trovarsi un’altra volta a proiettare le proprie illusioni. Gli Stati Uniti continuano a perseverare nell’idea fallimentare dei due Stati, idea defunta dalla Seconda intifada in poi e già costata in quel quinquennio più o meno lo stesso numero di morti del 7 ottobre scorso.
Si è sempre ipocritamente addossato a Israele il fallimento di questa soluzione, quando è sotto gli occhi di tutti che da Camp David in poi è stata la dirigenza palestinese ad alzare sempre l’asta delle richieste per fare in modo che uno Stato arabo palestinese non venisse in essere.
Il rifiuto arabo è stato una fortuna per Israele. Se nel 2000, Arafat fosse stato disponibile all’offerta fattagli da Ehud Barak, oggi, oltre a un mini Stato islamico e terrorista a sud, ce ne sarebbe un altro sulle colline della Cisgiordania.
L’Autorità Palestinese, la cleptocrazia che governa l’Area A e B della Cisgiordania, ha sempre giocato di sponda con Hamas nel rigettare il venire in essere di uno Stato palestinese di porzione limitata. Quando la volontà esplicita è di averlo su tutto il territorio per quale motivo esigere di meno?
Un dopo Hamas a Gaza gestito dall’Autorità Palestinese è solo un ulteriore inganno, un altro autoaccecamento. L’estremismo islamico assumerà soltanto una parvenza meno feroce, avrà solo un aspetto più borghese, come, di fatto lo ha incarnato in tutti questi anni.
Bisogna accettare il fatto che esistano problemi irrisolvibili che discendono da cause immedicabili, come la persistente ripugnanza islamica nei confronti di uno Stato ebraico sorto su una terra considerata di diritto di propria appartenenza.