La questione relativa alla terra di Giudea e Samaria non è semplice a partire dal nome che si vuole dare a quel piccolo pezzo di terra. Il nome di questa area infatti, come l’intera questione legata ad Israele, è stato fortemente politicizzato nel corso degli anni, quindi già l’utilizzo di un nome al posto di un altro ha assunto connotazioni politiche che travalicano le ragioni storiche e legali. Se qualcuno in Europa o negli USA si riferisce a quei territori con i loro antichi nomi di Giudea e Samaria diventa automaticamente “ultra nazionalista”, “colono” o peggio. Mentre se si utilizzano i nomi più “neutri” di “West Bank” o “Cisgiordania” è sicuramente un uomo di dialogo o un “volenteroso uomo di pace”. Come stanno per davvero le cose?
Per prima cosa è opportuno evidenziare che i termini “Giudea” e “Samaria” sono stati utilizzati per secoli, continuativamente, senza clamori. Anche l’amministrazione britannica li ha utilizzati nel periodo mandatario. Infine, anche la “non capita” Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale fa riferimento a questo territorio con quei nomi. Così come il rapporto dell’UNSCOP con il quale si suggeriva la spartizione del Mandato per evitare la guerra.
Quando nasce il termine West Bank o Cisgiordania in italiano? Molto più recentemente: nel 1950 quando la Giordania decise di annettere queste terre occupate illegalmente nel 1948. Ma come mai un termine molto più recente e frutto di un’aggressione illegale ha soppiantato un nome millenario? Semplice, per la stessa ragione per il quale il termine “Palestina” ha soppiantato il termine “Giudea” nel Secondo secolo dopo Cristo e oggi il termine “Palestina” vuole soppiantare il termine “Israele”: cancellare il legame tra il popolo ebraico e la terra in cui – anche per il diritto internazionale – ha diritto di vivere.
Le fonti del Diritto Internazionale
La più importante fonte di diritto internazionale in merito alla sovranità del popolo ebraico nella terra ad ovest del fiume giordano è il Mandato di Palestina del 1922. L’ufficialità la si ebbe il 16 settembre 1922 con l’approvazione del memorandum britannico con cui si divideva in due unità amministrative il Mandato approvato il 24 luglio dello stesso anno in base all’Articolo 25 del Mandato stesso. Qui si riporta copia del verbale del Consiglio della Società delle Nazioni.
Il memorandum dice, con espliciti riferimenti topografici, dove passava il confine lungo il fiume Giordano. Quindi essendo Giudea e Samaria ad ovest del Giordano non ci sono dubbi a chi sarebbe appartenuta la sovranità di quella: al popolo ebraico.
Ma l’intera questione è più complessa di come appare. Infatti il Mandato per la Palestina è un atto legale che è un combinato disposto di due principi:
- L’autodeterminazione dei popoli in base all’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni.
- La Dichiarazione Balfour che riconosceva il dritto alla creazione di Stato nazionale ebraico in Palestina (diventata legalmente vincolante con la Risoluzione di Sanremo del 1920).
Questi due principi sono inseriti nel Preambolo del Mandato con l’aggiunta fondamentale dello storico legame del popolo ebraico con la terra.
Come si è visto il 16 settembre 1922 sono stati definiti i confini del Mandato in modo certo e definitivo, che si riportano di seguito:
La complessità della questione risiede nel fatto che tutto l’impianto dei mandati internazionali era rivolto ai popoli e non alla sovranità territoriale. In parole povere, la struttura del Mandato per la Palestina è stata creata al fine di realizzare l’autodeterminazione del popolo ebraico su una terra che non era “pienamente di sua sovranità” ma lo sarebbe diventata al termine del Mandato stesso. Questo concetto vale per tutti i mandati creati e per tutti i popoli che, nei territori essegnati, vi vivevano. In pratica i mandati erano delle “strutture amministrative provvisorie” create per dare la possibilità di autodeterminazione ai popoli. Allo stesso modo il Libano fu creato per dare uno Stato ai cristiani maroniti, mentre la Giordania, la Siria e la Mesopotamia (Iraq) furono creati per dare degli Stati agli arabi musulmani. Ma di fatto a chi apparteneva la sovranità territoriale? E questo è l’aspetto più importante.
Fino al 1917 all’Impero ottomano. Successivamente alle Grandi Potenze, cioè a Gran Bretagna e Francia, che avevano sconfitto i turchi. Questo punto fondamentale lo si capisce dal fatto che furono loro a firmare il trattato di pace con i turchi, prima a Sevres nel 1920, e poi quello decisivo a Losanna nel 1923 e non la Società delle Nazioni. Infatti, è solo dopo la stipula del Trattato di Losanna che tutti i mandati di categoria A sono entrati in vigore ufficialmente. E questo perché la sovranità, per il diritto internazionale, era passata dalla Turchia alla Francia e alla Gran Bretagna. Inoltre, a ulteriore riprova di questo assunto, basta leggersi tutti i mandati creati per vedere che erano le Grandi Potenze che concedevano i territori ai mandatari e non la Società delle Nazioni, la quale non aveva potere legale per farlo.
La sovranità, di Francia e Gran Bretagna, non era “esclusiva” ma era “limitata”, a “tempo determinato” al fine di accettare il sistema dei mandati nei territori preposti. Concetto che ribadì in modo molto chiaro Lord Balfour in occasione della diciottesima sessione del Consiglio della Società delle Nazioni nel maggio del 1922 quando dichiarò: “ … il Mandato è una auto imposta limitazione dei vincitori [Francia e Gran Bretagna] alla sovranità che hanno ottenuto sui territori conquistati…”.
In pratica la Gran Bretagna accettando i dettami dell’Articolo 22 del Patto della Società delle Nazioni si “auto imponeva una limitazione della propria sovranità territoriale”. A favore di chi? Del popolo ebraico in base ai dettami del Mandato per la Palestina. Quindi era la Gran Bretagna che si auto imponeva una limitazione di sovranità e non la Società delle Nazioni che la imponeva alla Gran Bretagna. Questo passaggio è decisivo per comprendere appieno il valore legale della Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’ONU.
Se la sovranità, anche se limitata e temporanea, era della Gran Bretagna come poteva l’ONU che era subentrata alla Società delle Nazioni in base all’articolo 80 dello Statuto, disporre di un territorio di cui non possedeva la sovranità? Semplicemente non aveva la minima autorità per poterlo fare. E questo in base al principio di diritto che sancisce: Nemo dat quod non habent. Nessuno può dare ciò che non possiede. E’ sufficiente leggere la Risoluzione 181 per capire che in nessun passaggio è mai menzionata la decisione di spartire la terra. Si dà solo un suggerimento alla Gran Bretagna e al Consiglio di Sicurezza per “prendere misure” al fine di dividere il territorio allo scopo di evitare un conflitto. E l’ONU non poteva fare diversamente visto che non aveva titolo sul territorio. Chi sostiene la validità legale della spartizione sulla base della Risoluzione 181 prende un enorme abbaglio. In definitiva la continuità di sovranità territoriale passa dall’Impero ottomano alla Gran Bretagna in modo auto limitato e temporaneo, infine al popolo ebraico e con i confini stabiliti con il Mandato per la Palestina in base al principio legale dell’Uti possidetis iuris.
La successiva occupazione giordana del 1948-1967 di parti del territorio mandatario è chiaramente illegale. Questa illegalità di possesso giordana si basa su due palesi violazioni internazionali:
- Atto di aggressione militare quando occupò quelle terre nel 1948 contravvenendo alle disposizioni dell’articolo 2 dello Statuto dell’ONU.
- Violazione dei termini del cessate il fuoco del 3 aprile 1949 quando decise l’annessione la loro annessione.
Inoltre per il principio dell’Ex iniura non oritur ius; in nessun modo la Giordania poteva vantare, anni dopo l’occupazione illegale, titolarità sui territori di Giudea e Samaria, essendo fin dall’origine una presenza illegale.
Quando nasce, allora, l’accusa infondata nei confronti di Israele di occupare illegalmente quelle terre?
Dopo la guerra dei Sei giorni del 1967. In verità a seguito di quella guerra difensiva, Israele non ha fatto altro che riconquistare terre che già gli appartenevano legalmente anche se non ne aveva il possesso. E se per alcuni giuristi il “non averne possesso” ad indipendenza avvenuta ne inficiava la rivendicazione, la conquista illegale giordana non forniva – ai giordani – maggiore titolo di possesso per il principio legale dell’Ex iniura non oritur ius. Essendo invece la successiva riconquista israeliana frutto di una guerra difensiva perfettamente legale, come stabilito anche dal Consiglio di Sicurezza e dall’Assemblea Generale, dal punto di vista del diritto internazionale, in nessun caso si può parlare di “presenza illegale”. Da tutti i punti di vista Israele è il soggetto che vanta più titoli legali su quella terra.
Quindi per concludere si può affermare che il territorio noto come Giudea e Samaria o Cisgiordania, per il diritto internazionale – secondo il principio dell’uti possidetis – apparteneva ad Israele, come legittimo successore del Mandato per la Palestina del 1922. Ma per 19 anni, tra il 1948 e il 1967, fu occupato illegalmente dalla Giordania senza che mai Israele abbia rinunciato alla sua piena sovranità. Inoltre, nel 1967 la Giordania aggredì militarmente Israele, il quale sconfisse i giordani e riconquistò (non conquistò) i suddetti territori. La disputa territoriale è finita nel 1994 con la firma del trattato di pace tra i due paesi, con il quale la Giordania rinunciava ad ogni rivendicazione territoriale sulla Giudea e Samaria (Cisgiordania).
Mentre per quel che concerne i palestinesi, essi non erano un popolo riconosciuto come tale dal diritto internazionale né nel 1948 né nel 1967. Come tali sono stati riconosciuti dalla comunità internazionale solo nel 1970 (Risoluzione 2672C dell’8 dicembre 1970 – Assemblea Generale). Per questa ragione non possono accampare prerogative su quella terra ex post. Fino a quella data erano “semplicemente” un popolo arabo indistinguibile da giordani o siriani (cosa che è così ancor oggi per lingua e cultura). Il diritto alla terra lo avrebbero potuto avere se avessero accettato le disposizioni della Risoluzione 181, che è bene ribadire che non aveva nessun potere legale in sè, ma che se fosse stata accettata non solo dagli ebrei ma anche dagli arabi avrebbe implementato il diritto in base al principio legale del pacta sunt servanda. Di seguito ci sarebbe stato un preciso iter legale: implementazione da parte del Consiglio di Sicurezza con relativa risoluzione vincolante in base al Capitolo VII. Cosa che non avvenne a causa della guerra voluta dagli arabi.
In conclusione gli arabi (oggi i palestinesi) potevano scegliere tra la guerra e la pace con relativa spartizione della terra (già assegnata agli ebrei con il Mandato di Palestina, la parte assegnata agli arabi era stata già riconosciuta indipendente con lo Stato di Giordania nel 1946) hanno scelto la guerra, l’hanno persa e con essa la possibilità di qualsiasi rivendicazione territoriale. Invocare oggi la Risoluzione 181 per accampare diritti è tentare, come ha magistralmente detto il giurista Julius Stone: “…un’impresa ancora più miracolosa di quanto sarebbe la rinascita dei morti. È un tentativo di dare vita a un’entità che gli stessi Stati arabi avevano abortito prima che arrivasse alla maturità e alla nascita”.
La stessa cosa la si può dire delle varie risoluzioni dell’Assemblea Generale dell’ONU o della famigerata Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza, in quanto nessuna di esse ha il potere di annullare il diritto legale sancito dal Mandato per la Palestina, che può avvenire solo tramite negoziati diretti tra le parti, in base al già citato principio legale del pacta sunt servanda. In aggiunta, il principio del diritto di integrità territoriale di uno Stato è superiore al diritto di autodeterminazione come sancito anche dalla Risoluzione 3314 del 14 dicembre 1974 che definisce gli atti di aggressione. In altre parole, per il diritto internazionale, l’integrità territoriale di uno Stato non può essere messa in discussione dalle rivendicazioni di un popolo che per giunta è diventato tale dopo la creazione dello Stato di cui reclama il territorio retroattivamente.