Riceviamo e pubblichiamo
Cagliari. Ore 8,00. Una mattina come tutte le altre, tra un lunedì e un venerdì. Ritmo frenetico, tutti di corsa, tutti (o quasi) verso la direzione lavoro.
Come ogni mattina, mi accingo ad entrare dove svolgo le mie attività giornaliere da qualche mese. Per farlo devo superare sempre un sistema di sicurezza a base di metal detector e di controlli nelle borse. Come ogni mattina, o quasi, si ripete sempre la stessa scena: uno per volta, stare dietro la linea rossa fin quando arriva il proprio turno, depositare bagagli ed oggetti metallici lungo il carrello, superare il controllo all’interno della cupola cilindrica e poi, una volta dentro, recuperare bagagli e oggetti dal carrello e dirigersi verso dove si deve andare.
Un lavoro quasi quotidiano, meccanico ormai, spesso rallegrato dalle esclamazioni di qualcuno dei ragazzi e delle ragazze addetti alla sicurezza all’ingresso o dalle loro osservazioni davanti a qualcosa di veramente curioso.
Io, ad esempio, grazie al mio volto non facilmente dimenticabile, sono diventato “l’uomo delle monete”, in quanto il pesante portamonete presente nella mia borsa è visibilissimo dagli schermi del carrello col suo contenuto di decine e decine di monete e monetine. Nonostante, comunque, questi attimi in cui si tenta col sorriso di fare passare il momento dell’utilizzo di un tale strumento, è chiaro a tutti noi che si tratta di una apparecchiatura necessaria per la sicurezza di chiunque, non solo di chi lavora nel luogo in questione.
Ai giorni nostri, strumenti come i metal detector o i carrelli di controllo degli oggetti personali o la videosorveglianza sono pienamente entrati nella quotidianità allo scopo di prevenire atti terroristici o delinquenza comune ai danni di strutture ed istituzioni. Sono ovunque, dalle università ai musei, dalle biblioteche ai tribunali, dai luoghi religiosi più importanti alle piazze più famose e a tutti gli accessi ai luoghi più sensibili. Nessuno si lamenta, e i pochi che lo fanno comprendono a lungo andare la loro importanza.
Nel mondo intero è oramai così. Ovunque, tranne che a Gerusalemme in questi giorni, dove decine di “fedeli” musulmani hanno ingaggiato violentissimi scontri con la polizia nei pressi della Moschea di Al Aqsa per protesta contro i metal detector montati all’ingresso per impedire l’entrata (… e l’uscita) di armi dal perimetro del luogo sacro, misura resasi necessaria dopo l’omicidio di due poliziotti israeliani ad opera di un commando di tre terroristi islamisti.
Come se non bastasse, le autorità religiose islamiche della capitale di Israele hanno dichiarato e decretato di far chiudere il venerdì tutte le moschee della città con l’eccezione di Al Aqsa, al fine di spingere quanti più fedeli possibili a recarsi nella città vecchia e a bloccare le strade come forma di protesta per i metal detector installati all’esterno del luogo sacro.
E’ chiaro che quanto è accaduto in questi giorni a Gerusalemme è solo la dimostrazione del fatto che sia oramai pronta a scoppiare qualche nuova intifada palestinese a base di attentati e che chi protesta contro dei sistemi, che per primi dovrebbero garantire proprio la sicurezza di chi frequenta quei luoghi per pregare, vorrebbe solo essere libero di uccidere quanti più ebrei possibile.
Una situazione, questa degli scontri provocati da chi protesta per i metal detektor, che trova ampio accoglimento nel nostro paese da quei rappresentanti palestinesi o sedicenti tali che, quasi me li immagino con la bava alla bocca mentre lo fanno, scrivono frasi come “finché esiste l’occupazione, tutto è legittimo per i palestinesi”.
Tutto legittimo? Quindi anche e soprattutto ammazzare gli ebrei? Assurdo. Siamo oramai all’apologia della violenza. Per me, comunque, è solo la rabbia del coniglio che si crede il re della tastiera e fa apologia del terrorismo Islamico.
E incita alle violenze come quella del terrorista che ieri sera ha ucciso tre israeliani mentre erano a cena e che è attualmente curato con tutte le premure e attenzioni in un ospedale israeliano.
A tutto questo, si aggiunge un “democratico e moderato” turco di nome Erdogan, che davanti alle reazioni di Israele condanna fermamente lo stato ebraico per un uso sproporzionato della forza. Salvo poi scoprire che è lo stesso presidente turco che lo scorso anno ha represso nel sangue le proteste e che ora reintrodurrà nel suo paese la pena di morte, per essere libero di ammazzare chiunque non la pensi come lui. Una vergogna
Alessandro Matta, Associazione Memoriale Sardo della Shoah