Editoriali

Gerusalemme capitale: appuntamento con la storia, lasciamo i timori alle spalle

A Gerusalemme oggi si respira una strana aria invernale, almeno per gli standard israeliani. In mattinata c’è stata la prima pioggia di una certa rilevanza.
Probabilmente non è un caso, anzi la precipitazione ha una valenza simbolica. L’acqua è scesa a spazzare via la coltre di ipocrisia.
Gli Stati Uniti d’America riconosceranno Gerusalemme unita come unica capitale dello stato di Israele. Per gli israeliani sarà come vincere ufficialmente la guerra dei Sei Giorni a 50 anni di distanza.
Gerusalemme è la capitale di Israele, lo sanno gli israeliani e lo sappiamo tutti. Ma il riconoscimento come capitale unica e indivisibile da parte degli Usa avrà una valenza storica. Sarà il primo atto del promesso e tanto atteso spostamento dell’Ambasciata statunitense da Tel Aviv.
Una decisione che gli Usa avevano già preso nel lontano 1995, quando il senatore repubblicano Bob Dole del Kansas era riuscito a far approvare la sua legge. Lo spostamento effettivo dell’Ambasciata era stato però provvisoriamente annullato da una clausola inserita successivamente, che dava la facoltà al presidente americano di bloccare tutto per preservare la sicurezza nazionale israeliana. All’epoca era Bill Clinton, strenuo oppositore della legge voluta da Bob Dole, ma da allora tutti i presidenti si sono avvalsi di quella clausola per bloccare lo spostamento dell’Ambasciata. Fino a Trump.
The Donald ha deciso di assumersi una responsabilità forte, anche se alle parole dovranno seguire i fatti. Non basterà dichiarare semplicemente che Gerusalemme è la capitale di Israele. Ci vorranno azioni concrete.




Non mancano i timori e le preoccupazioni per la reazione araba, anche se i palestinesi appaiono isolati almeno da un decennio. La “questione palestinese” non scalda più i cuori del mondo arabo, che verosimilmente si limiterà a dichiarazioni di prammatica.
E’ da escludere che l’amministrazione americana non abbia già concordato tutto con i paesi arabi, i quali non si sottrarranno dal condannare la decisione statunitense senza però muovere un dito.
Se la galassia liberal (e non solo) è scettica nei confronti di Trump, può stare tranquilla: intorno a lui c’è un entourage che sa come muoversi. Da escludere una spaccatura del fronte anti-sciita ormai consolidato, guidato dall’Arabia Saudita, che guarda certamente più a Teheran che a Ramallah. Questione di priorità.
A giocare a sfavore di una veemente reazione palestinese rispetto al passato è la situazione in Egitto, dove un approfondito lavoro di intelligence ha portato El Morsi in galera, sostituito dallo scintillante despota dell’esercito Al Sisi che avrà bisogno di un lavello da fare invidia a Ponzio Pilato.
La reazione palestinese tanto temuta ci sarà, ma nulla che Israele non possa prevedere e affrontare. Gli scenari sono cambiati, forse è proprio il momento giusto per entrare nella storia.
Avanti, allora. Il discorso di Trump è atteso nella tarda serata italiana, ora di pranzo in Usa. Staremo a vedere, sicuri che l’atteggiamento più coerente sia quello della fiducia. Senza i timori europei di Macron o le ipocrisie della Mogherini e di Papa Bergoglio.

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