In un recente articolo apparso sul sito di Gariwo, I Trentasei Giusti erano dell’Umanità, Anna Foa, da tempo garante intellettuale della Weltanschauung provvista dalla Onlus fondata da Gabriele Nissim, torna su uno dei suoi pilastri ideologici: i Giusti non possono essere solo coloro che da non ebrei salvarono altri ebrei, la Shoah non può essere considerata un unicum genocidiario se non al prezzo d istituire una inacettabile gerarchia con altri genocidi, e addirittura con altre catastrofi che hanno colpito e colpiscono l’umanità.
Vanno fatte subito due considerazioni brevi. Se secondo Il Tamud babilonese, “Chiunque salva una vita salva il mondo intero”, si può certamente affermare che chiunque si impegni a salvare la vita di qualcun altro, a volte mettendo a rischio la propria, o addirittura sacrificandola, onora l’umanità, ma la qualifica di “Giusto” senza togliere nulla a tanti straordinari esempi, (solo per citarne due tra i massimi in ambito novecentesco cristiano, Massimiliano Kolbe e Pavel Florenskij), venne istituita da Yad Vashem allo scopo di onorare chi, non ebreo, aveva salvato degli ebrei dalla furia nazifascista che si abbattè in Europa durante la Seconda guerra mondiale.
Non c’era, evidentemente, in questa scelta, alcuna intenzione di non considerare altri esempi di sacrificio, rischio e abnegazione come degni di considerazione, ma solo quello di attribuire il titolo di Giusto all’interno di uno specifico contesto e in rapporto a una specifica azione commessa. Criteri limitati e circoscritti.
Quando la Chiesa cattolica proclama beati e santi, lo fa, in rapporto a criteri che essa ritiene fondamentali e probanti, ma non afferma che al di fuori dei suoi canoni, non possano esserci altri esempi di santità, di uomini e donne, che pur non essendo cristiani, potrebbero, se lo fossero, e se appartenessero alla fede cattolica, essere considerati tali. La questione non è pertinente.
Anna Foa si chiede:
“Si è detto che chi parla di Giusti, come Gariwo a proposito dei Giusti dell’umanità, fa confusione. Si è affermato che solo Yad Vashem può usare questo termine. Il che equivale a dire che solo chi salva un ebreo è un giusto. Allora come dovremmo chiamare chi salva un non ebreo? un salvatore? Un buono? Un santo? Ma siamo proprio sicuri che l’idea del Giusto la abbia inventata Yad Vashem? E che Gariwo si sia limitata a copiargliela?”.
La risposta alla prima domanda è, sì solo chi ha salvato un ebreo dalla persecuzione nazista e fascista occorsa durante la Seconda guerra mondiale è un Giusto, sulla base del criterio fatto proprio da Yad Vashem, così come santo, per la Chiesa di Roma, è unicamente chi corrisponde ai criteri da essa istituiti. La risposta alla seconda domanda è che chi ha salvato o salva un non ebreo potrebbe essere anche un Giusto o un santo, essere un esempio sublime per tutta l’umanità, ma non è ciò che Yad Vashem ha voluto significare con la sua qualifica. Punto.
No, l’attribuzione di Giusto in merito a chi ha salvato vite umane, non l’ha inventata Yad Vashem, ma l’ha istituita. Citare, come fa Anna Foa, il romanzo di André Schwartz Bart, L’ultimo dei Giusti, in cui l’autore fa riferimento alla tradizione talumidista e cabalistica, secondo la quale la sopravvivenza del mondo sarebbe garantita dal succedersi di generazione in generazione di 36 Giusti, che, in virtù delle loro buone azioni frenerebbero l’ira di Dio per i peccati commessi dagli altri, come prova che i Giusti esisterebbero a prescindere da Yad Vashem, non inficia assolutamente la qualifica istituita dal Memoriale della Shoah israeliano, evidenzia solo una ovvietà.
Non avvedendosi del non sequitur, Anna Foa prosegue nel suo ragionamento.
“Il libro di Schwarz-Bart fu un libro molto amato da Elie Wiesel e da Jules Isaac, e considerato da Gershom Scholem come il libro che aveva diretto l’attenzione generale sulla leggenda ebraica dei Trentasei Giusti. Ma, badate bene, nella leggenda si parla di trentasei ebrei giusti che per ogni generazione salvano il mondo, mentre nel caso di Yad Vashem si tratta di Giusti non ebrei che salvano non il mondo ma gli ebrei. Nei testi ebraici, la salvezza data dai Giusti non era riservata solo agli ebrei, ma all’intera umanità. I trentasei Giusti dei testi ebraici erano Giusti dell’umanità”.
Benissimo. I Trentasei Giusti non salverebbero solo gli ebrei, ma l’intera umanità, in ossequio alla massima del Talmud citata prima, mentre a Yad Vashem si onorano solo quei gentili che salvarono degli ebrei. Ci siamo, finalmente. L’assunto implicito è che Gariwo sarebbe in linea di continuità con la tradizione ebraica talmudica e cabalistica dei Trentasei Giusti, mentre Yad Vashem molto meno, riducendo esso la qualifica a una scelta limitata. Troppo parrocchiale, troppo poco universale, troppo identitaria, che è poi la bestia nera di Gariwo e della sua storica di riferimento. Tuttavia, il problema con il paragone è che i Trentasei Giusti della tradizione ebraica sono tutti ebrei, anche se salvano il mondo intero e dunque anche, necessariamente i non ebrei. L’identitarismo, il temibile tribalismo, che si vorrebbe cacciare dalla porta, rientra subito dalla finestra.
Giusti sono per Yad Vashem i non ebrei che hanno salvato durante la Seconda guerra mondiale degli ebrei, e solo loro. Giusti, sarebbero secondo la tradizione dei Trentasei Giusti, solo degli ebrei che salverebbero anche i non ebrei, e che restano nascosti all’interno della comunità ebraica.
Occorrerebbe a questo punto chiedersi se tra i Giusti proclamati nei vari giardini a cui Gariwo ha dato il suo benestare, come quello di Pistoia, dove figurano l’attivista antisionista Vittorio Arrigoni, e Giuseppe Dossetti, che di Israele ne pensava peste e corna, vi sia qualche legame con i Trentasei Giusti della tradizione talmudica e cabalistica. E’ una domanda che, come tutte quelle fondamentali, resterà forse per sempre in attesa di risposta.