Con l’invasione del Rojava da parte dell’esercito turco e delle milizie sunnite sue alleate, si stà, letteralmente, riscrivendo una pagina di diritto internazionale. Prima di entrare nel merito della questione è opportuno analizzare come Ergodan, da alcuni anni a questa parte, stia affrontando la questione curda al di là dai confini turchi.
L’operazione, iniziata ai primi di ottobre è solo l’ultima – per ora – azione militare che l’esercito turco ha messo in campo ai danni della popolazione curda ed è diversa da tutte quelle che l’hanno preceduta.
I primi sconfinamenti turchi in aree controllate dai curdi si sono verificati, da qualche anno, nel Kurdistan iracheno. Questa regione gode, dalla fine della prima guerra del Golfo, di un regime di autonomia che con il tempo e la disgregazione dell’Iraq, a seguito dell’invasione americana del 2003 e del sorgere dell’ISIS nel 2014, ha permesso di conseguire una semi indipendenza di fatto. Il tentativo di ottenere una piena indipendenza lo si è attuato con il referendum popolare avvenuto il 25 settembre 2017 in tutta l’area del Kurdistan iracheno. Al referendum non è corrisposta l’indipendenza ufficiale a causa del mancato riconoscimento internazionale e delle divisioni tra i curdi stessi, situazione che ha portato alla loro sconfitta militare contro le truppe del governo ufficiale iracheno e alla conseguente perdita del controllo dei pozzi petroliferi dell’area di Kurkuk.Attualmente la situazione è di “tregua” laddove i curdi si auto amministrano all’interno di uno Stato – l’Iraq – che di fatto non esiste come riportato nelle carte geografiche.
L’autonomia del Kurdistan iracheno è sempre stata vista con ostilità dalla Turchia – oltre che dall’Iran e dal governo iracheno – perché potrebbe potenzialmente fungere da embrione di un futuro Stato unitario curdo che abbraccia i curdi di Iraq, Siria, Iran e soprattutto Turchia.
Una prima operazione militare turca, denominata “operazione sole” con forze di terra è stata effettuata nel febbraio del 2008. L’incursione ha interessato diversi distretti lungo il confine internazionale tra Turchia e Iraq, poi le truppe di Ankara sono rientrate oltre il confine. Da allora sono state, numerosissime, le incursioni aeree portate avanti dall’aviazione turca contro basi curde nel Kurdistan iracheno. Inoltre sono frequenti i “pattugliamenti” di soldati turchi oltre confine senza il benestare del governo iracheno.
Tutti gli attacchi militari turchi nelle zone controllate dai curdi sono motivate, da Erdogan, come un tentativo di eliminare le minacce terroristiche dal confine turco.
Di volta in volta le incursioni si sono dirette ufficialmente contro le basi del PKK o dell’ISIS ma in più di un’occasione hanno interessato aree controllate dai curdi siriani alleati dell’Occidente contro l’ISIS.
Sul versante siriano, una prima escalation si è avuta nell’estate del 2016 quando Erdogan intimò ai curdi di lasciare tutta l’area ad ovest dell’Eufrate sotto minaccia di invasione. Solo un forte intervento politico americano scongiurò l’operazione militare, ma di fatto la ritardò di qualche mese. Infatti, l’operazione militare, denominata “Ramoscello d’ulivo”, fu lanciata nel gennaio del 2018. La zona colpita dall’attacco turco fu la zona attorno alla città di Afrin (vedi cartina 1).
Già questa offensiva provocò numerosi morti tra i civili e oltre 200.000 profughi curdi che lasciarono le loro abitazioni in un’operazione di pulizia etnica del saliente di Afrin. Al termine delle operazioni militari i curdi residenti nell’area di Afrin sono stati sostituiti da arabi e turcomanni di altre zone della Siria. Questa offensiva, come le precedenti effettuate in Iraq, non ha provocato la ben che minima reazione dell’ONU e di nessun organismo internazionale. In pratica, per il diritto internazionale, evidentemente, è diventato ammissibile intervenire militarmente in uno Stato sovrano per cambiarne la natura etnica della popolazione. Ora entriamo più nel dettaglio dell’offensiva turca nel Rojava.
Lo scorso ottobre, dopo che la Casa Bianca ha preso la decisione di abbandonare le basi militari nel Kurdistan siriano al confine con la Turchia, è iniziata l’offensiva militare turca. La criticata decisione USA di ripiegare le proprie truppe in altre basi nell’area sud est del Kurdistan siriano e in Iraq è stata interpretata da Erdogan come un “semaforo verde” americano all’offensiva già preannunciata da mesi. Le implicazioni di questa offensiva militare sono enormi sotto molti punti di vista.
Erdogan ha proclamato che lo scopo principale è quello di creare una zona cuscinetto profonda 30 km lungo il confine internazionale tra la Turchia e la Siria (vedi cartina 2)
Per il presidente turco lo scopo di questa zona cuscinetto è “mettere in sicurezza” il confine turco dalla presenza dei terroristi. Per Erdogan i terroristi sono, indiscriminatamente, tutte le milizie curde. Inoltre, cosa altrettanto importante, il presidente turco vuole cambiare etnicamente tutta la regione del Rojava, facente parte di uno Stato sovrano, con la sistemazione di quasi 3 milioni di profughi siriani arabo-sunniti.
L’azione militare turca, prima nel cantone di Afrin e ora in tutto il confine nord est della Siria, è stata motivata dalla “percezione” turca di dover “liberare” quelle aree da minacce terroristiche. Parliamo di “percezione” perché nessun attacco è stato effettuato in territorio turco nè da Afrin nè dal Rojava. Per Erdogan, il solo affermare la presenza di terroristi in aree di uno Stato sovrano da il diritto di invaderlo e di creare “zone di sicurezza” – che ha deciso siano di 30 km di profondità – senza presentare a nessuno delle prove concrete di minacce alla sicurezza turca. Tutto ciò in totale contravvenzione degli art. 2 e 51 dello Statuto dell’ONU.
In modo particolare l’art. 51, relativo al diritto di autodifesa degli Stati, nell’accezione di Ergodan darebbe il diritto di attaccare uno Stato confinate, creare una zona cuscinetto di grandezza voluta e di cambiarne la composizione etnica sostituendo la popolazione curda con della popolazione arabo-sunnita. Bisogna anche ricordare che anche i turchi sono sunniti. Ma cosa dice esattamente il diritto internazionale, a questo proposito? Per il diritto internazionale c’è la possibilità per uno Stato, che viene aggredito, di difendersi dall’aggressore ed eventualmente occupare il territorio che ne minaccia la sicurezza e la pace. Ma già questo punto è molto discusso e sempre poco accettato dal diritto internazionale, per il fatto che una accezione troppo “larga” dell’art. 51 possa essere usato come pretesto da uno Stato per invaderne uno confinante. Ragione per la quale l’azione militare turca non ha nessun appiglio nel diritto internazionale: la Turchia non ha subito nessuna aggressione militare o terroristica, ha creato una zona cuscinetto a suo insindacabile giudizio, sta cambiano in modo drammatico (tre milioni di profughi allogeni a fronte di 4.600.000 di curdi indigeni) la composizione etnica del territorio conquistato. Cosa questa assolutamente vietata dalla IV convenzione di Ginevra. Che reazioni ci sono state?
Nessuna. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non si è neanche riunito per capire cosa stesse succedendo, l’Assemblea Generale non ha condannato l’accaduto, così come tutte le altre agenzie ONU. Per di più, la NATO (di cui la Turchia è membro) non ha eccepito nulla a questa condotta, anzi ha accettato le “ragioni” turche di sicurezza.
Quindi se nessun organismo internazionale ha nulla da ridire su questa condotta politico-militare, si evince che per il diritto internazionale la cosa è accettabile nonostante in nessuna fonte del diritto si parli di una simile regola. Di fatto, questo diventa una nuova dottrina del diritto internazionale e come tale utilizzabile da altri Stati che si trovano nella condizione di avere al proprio confine la “preoccupazione” della propria sicurezza.
La strada aperta dalla dottrina turca di creare una “safe zone” in uno Stato confinante potrebbe essere utilizzata da tutti quegli Stati che hanno contenziosi con i vicini e siano forti militarmente per poterlo fare. Si pensi alla situazione del Donbass in territorio ucraino al confine con la Russia, all’area del Kashmir tra India e Pakistan – già causa di tre guerre tra i due paesi – al caso delle repubbliche caucasiche sempre in conflitto tra di loro, ma anche al Kurdistan iracheno: se la Turchia volesse ripetere la stessa dottrina non ci sarebbe nulla da eccepire. Innumerevoli casi si possono trovare anche in Africa e nel sud est asiatico.
Senza ombra di dubbio questo è un caso pericoloso e ripetibile di interpretazione del diritto internazionale, perché è utile ricordare che una delle fonti stesse del diritto è la consuetudine internazionale come pratica generale accettata.