Tra aprile e maggio di quest’anno abbiamo dedicato a Francesca Albanese, diversi articoli. La Albanese, un megafono tra i più accaniti della propaganda pro-palestinese, non era nota al grande pubblico. Ultimamente è apparsa in varie trasmissioni tv per dire le cose che dice sempre: che Israele è uno Stato criminale che viola il diritto internazionale, senza mai sostanziare in modo circostanziato le sue accuse. Nel 2011, il marito dell’Albanese, Massimiliano Calì è stato incaricato dall’Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) di prestare la sua consulenza per un periodo di cinque mesi presso il Ministero dell’economia dell’Autorità Palestinese. Si tratta di un’ ulteriore conferma della totale inidoneità dell’Albanese a ricoprire il ruolo che ricopre, se non fosse che essendo l’ONU ad averglielo assegnato, non può non essere stato considerato che un titolo di merito.
[n,d.r]
Di Francesca Albanese, Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, abbiamo già scritto http://www.linformale.eu/le-nuove-reclute-della-demonizzazione-di-israele/.
L’Albanese vanta un curriculum antisionista che per la sua esasperazione rasenta la caricatura.
Nel 2022 il Simon Wiesenthal Center, ha inserito l’Albanese e i suoi colleghi al secondo posto della sua «2022 Top Ten Worst Global Anti-Semitic Incidents», dove si legge: «Albanese è un’enciclopedia ambulante anti-israeliana e ha fatto sproloqui antisemiti, tra cui l’affermazione che la “lobby ebraica” gestisce gli Stati Uniti. Albanese ha espresso aperta simpatia per i gruppi terroristici palestinesi, ha accusato “l’oppressore” Israele di potenziali crimini di guerra, ha paragonato Israele alla Germania nazista».
Nello stesso anno, Deborah Liepstad, storica eminente dell’antisemitismo ed attualmente Inviata Speciale presso le Nazioni Unite da parte dell’Amministrazione Biden con la funzione di monitorare e combattere l’antisemitismo, dichiarò a proposito delle affermazioni dell’Albanese:
“Una retorica antisemita così palese – soprattutto quando si tratta di un modello consolidato – è semplicemente inaccettabile. Ciò mina gravemente la credibilità del relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nell’affrontare la questione dei diritti umani nel contesto di Israele e dei territori palestinesi”.
A ciò possiamo aggiungere in finale la dichiarazione di Gilad Erdan Ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite:
“Si può percepire il suo odio verso lo Stato ebraico in ogni discorso e rapporto che fa, che ora sappiamo essere basato sulla sua ideologia antisemita”.
E’ il motivo per cui è stata scelta dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, la commissione con sede a Ginevra di cui fanno parte l’Arabia Saudita, Cuba, Venezuela, Cina, Burundi, Somalia, Qatar, Pakistan, Libia, Eritrea, Iran, e della quale, uno dei tratti più eminenti è l’Articolo 7, dedicato esclusivamente a Israele, il cui scopo consiste nel condannarlo ciclicamente. Si tratta dello stesso Consiglio che nel 2019 lodò l’Iran per la tutela dei diritti umani e che oggi, conseguentemente, lo elegge alla presidenza.
A seguito dei lanci di razzi avvenuti l’aprile scorso da parte di Hamas contro la Stato ebraico, l’Albanese ha voluto reiterare un suo ragionamento: sì, Israele ha diritto di difendersi ma non può esercitarlo quando riguarda le persone che “opprime” e di cui “colonizza” le terre.
Per l’Albanese dunque Israele può difendersi solo se viene attaccato da paesi arabi limitrofi (forse) oppure da altre entità non specificate, ma certamente non può farlo se si tratta di Hamas e del Jihad islamico, o di altri gruppi terroristici musulmani. In questo caso, essendo colpevole di “colonizzazione” e di “oppressione”, quando giungono da Gaza o dal Libano i razzi dovrebbe disabilitare Iron Dome, così come dovrebbe istruire l’esercito e le forze di sicurezza in generale a non rispondere ad atti di terrorismo, come lo spaventoso eccidio del 7 ottobre scorso, perpetrato da degli “oppressi”.
Sarebbe troppo facile liquidare il personaggio e la commissione in cui siede facendo uso del sarcasmo. I sostenitori e giustificazionisti occidentali del terrorismo palestinese presentato come “reazione” e “resistenza”, soprattutto quando occupano ruoli all’interno di agenzie istituzionali, o siedono nei parlamenti europei, sono necessari al suo manifestarsi provvedendo ad offrire ad esso, fuori dall’alveo islamico, le pezze d’appoggio giustificative. Nulla di nuovo, naturalmente, accadeva anche qui in Italia durante gli anni di piombo, quando le Brigate Rosse trovavano il sostegno di chi le considerava una reazione all’ingiustizia del sistema capitalistico borghese.
L’Albanese è solo l’ultima manovale della lunga serie nella catena di montaggio degli odiatori di Israele di cui ripete le parole d’ordine che furono coniate a Mosca nella metà degli anni Sessanta e che da allora non hanno mai smesso di essere usate senza tregua.