La lettera di Amnesty International inviata al direttore di Repubblica Maurizio Molinari, in merito alla richiesta formulata da Giulio Terzi per destituire la Relatrice speciale Onu Francesca Albanese, è un testo imbarazzante dall’inizio fino alla sua fine. Ciò che essa esprime, sia in merito alla relatrice Albanese sia in merito alla situazione mediorientale descritta, è da annoverarsi ai vertici delle fiction propagandistiche.
La tecnica usata in questo libello ricalca l’immarcesibile specifico del maestro della propaganda Joseph Goebbels: l’utilizzo martellante e ossessivo della menzogna fino a trasformarla in verità indiscussa.
La menzogna più ricorrente della lettera è senza dubbio l’espressione «territorio palestinese occupato». Di questa presunta “occupazione” abbiamo anche una data: il 1967. Qui sorge la prima vistosa crepa nell’edificio di falsità costituito dalla testo: nel 1967 il territorio denominato «territorio palestinese occupato» era detenuto illegalmente da Giordania e Egitto, quindi non esisteva uno Stato palestinese che fu poi “occupato” da Israele. Ed è questa l’incontrovertibile verità: non è mai esistito uno Stato di Palestina, quindi come si può chiamare il territorio «territorio palestinese occupato»?
Su questo aspetto il diritto internazionale non può essere interpretato a piacimento. Il termine “occupazione” è un termine legale che si può utilizzare sono nel contesto della legge internazionale, e quest’ultima prevede che un’occupazione sia operata da parte di uno Stato ai danni di un altro Stato. Così è sancito primariamente dalla IV Convenzione dell’Aia del 1907 e (in merito alla sola popolazione civile in caso di belligeranza) dalla IV Convenzione di Ginevra del 1949. Non esistono altri casi in cui l’impiego del termine sia giustificato. Ne consegue che le ossessive affermazioni ormai diventate luogo comune in merito a un «territorio palestinese occupato» hanno meramente una valenza politico-propagandistica e nulla a che fare con il diritto internazionale. In pratica sono solo un meschino tentativo di delegittimare lo Stato del popolo ebraico che non ha mai “occupato” un «territorio palestinese» per il semplice motivo che questo territorio, sotto l’aspetto del diritto internazionale, apparteneva già dal 1922 al popolo ebraico, prima di essere occupato illegalmente da Giordania e Egitto dal 1948 al 1967.
Un’altra affermazione, presente nella lettera, degna del teatro dell’assurdo è quella in cui gli autori si riferiscono a Francesca Albanese come a una persona che «vanta due decenni di impegno e competenza in materia di difesa dei diritti umani e della promozione della pace». Difesa dei diritti umani? Promozione della pace? Come si possono fare affermazioni del genere dopo aver letto e sentito quanto affermato da Francesca Albanese nel corso degli anni? Il suo curriculum, infatti, è costellato da affermazioni antisemite che non sono sfuggite al Centro Simon Wiesenthal come quella secondo cui la «la lobby ebraica controlla gli USA», di equiparazioni che gridano vendetta secondo cui la Shoah e la Nakba sarebbero equiparabili, o dichiarazioni aberranti come quelle riferite alla legittimità degli attentati terroristici palestinesi contro i civili in quanto, a suo dire, Israele non avrebbe il diritto di difendersi nella sua veste di “oppressore”. Cosa dire poi dei molti anni spesi all’UNRWA, un’agenzia che è diventata nel tempo un autentico baluardo dell’antisemitismo a cominciare dalle scuole per l’infanzia che pubblicano testi stracolmi di odio antiebraico, al punto che persino la UE è arrivata a sospendere i suoi lauti finanziamenti dopo una non difficile indagine sul materiale scolastico prodotto? Per gli estensori della lettera di Amnesty International a sua difesa questo sarebbe il modo dell’Albanese di promuovere la pace.
Davvero comica, se non fosse una cosa seria, l’affermazione relativa alla «espulsione delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah». Si tratta di un vero caso di dissonanza cognitiva dove la realtà dei fatti scompare in favore della irrealtà più spinta: quelle di Sheikh Jarrah sono famiglie arabe morose che occupano abusivamente da oltre 50 anni abitazioni di legittimi proprietari ebrei, (neanche i giordani avevano loro concesso la proprietà degli immobili durante i loro 19 anni di occupazione illegale) senza che si riesca a farli andare via o quanto meno a fagli pagare un affitto. Questo è accaduto solo perché i legittimi proprietari ebrei sono stati vittime di pulizia etnica ad opera degli arabi e ora reclamano legittimamente le loro case, ma per gli autori della lettera si tratterebbe di «espulsione delle famiglie palestinesi dalle loro case a Sheikh Jarrah».
Un’altra perla è l’affermazione secondo cui «gli insediamenti coloniali di una potenza occupante in territorio occupato sono crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale penale». Se ciò fosse minimamente vero avrebbero già arrestato per favoreggiamento tutti i rappresentanti della UE che hanno approvato una serie di agevolazioni doganali per i prodotti ittici che la UE importa dal Marocco ma che provengono ad Sahara Occidentale occupato dal paese magrebino. Non solo. Se così fosse si dovrebbero processare i rappresentanti UE che anziché pretendere la liberazione della parte di Cipro occupata dalla Turchia, finanziano «gli insediamenti coloniali di una potenza occupante» con un preciso programma di finanziamento della Commissione europea: “the European aid for Turkish in North Cyprus”. Questo solo per rimanere in Europa.
Cosa dire poi di questa affermazione surreale, «gli insediamenti coloniali di una potenza occupante» rivolta agli ebrei che costruiscono case nella terra loro assegnata dal diritto internazionale fin dal 1922? È lo stesso crimine che commettono gli italiani che costruiscono case o “insediamenti coloniali” in parti d’Italia come l’Alto Adige o nel Lazio. Si tratta di una affermazione del tutto priva di qualsivoglia valenza giuridica, trattandosi di una mera posizione politica.
Su una affermazione però concordiamo: «le analisi della relatrice e di altri esperti indipendenti riguardo alle pratiche di Israele nel territorio palestinese occupato dovrebbero essere discusse dal punto di vista sostanziale e di diritto internazionale». Se ciò accadesse realmente si scoprirebbe facilmente che Israele non ha mai “occupato territori palestinesi” e non commette abusi o crimini in un territorio che gli appartiene da un secolo, ma semplicemente l’amministra come fanno tutti gli Stati di diritto nel mondo nel pieno delle prerogative legali che gli afferiscono.