“Passeggeri ebrei impongono a due arabi israeliani di lasciare l’aereo“.
Si tratta del titolo di una notizia pubblicata dal Corriere.it, a firma “Redazione on line”, che colpisce subito per due motivi: il primo è la fonte, il giornale Haaretz, organo della sinistra israeliana mai particolarmente tenero con la politica interna ed estera dello stato ebraico soprattutto quando il premier è espressione del Likud; il secondo è l’uso di “ebrei” anziché “israeliani” nel lancio.
Per quanto riguarda la notizia, già sufficientemente spiegata nel titolo, sappiamo che la fonte esiste ed è citata. Non sappiamo se sia stata verificata adeguatamente. Abbiamo pochi motivi per dubitarne, anche se non la troviamo da nessun’altra parte. Eppure, che due arabi vengano fatti scendere da un aereo non è proprio fatto trascurabile o destinato a restare confinato nella cronaca nazionale. Non abbiamo trovato fonti greche (ed il fatto sarebbe avvenuto ad Atene) né altre fonti israeliane oltre ad Haaretz, giornale da cui Corriere e Repubblica spesso pescano a piene mani.
Ma, visto il clima di tensione dopo l’attentato di Tel Aviv, possiamo ben immaginare come si sia instaurata una sensazione di sfiducia, diffidenza, paura e sospetto tra israeliani e arabi. Qualcuno potrà chiamarlo razzismo, oppure islamofobia.
Certo, in questo caso si tratterebbe di un sentimento irrazionale manifestato in maniera grossolana. Chiedere che due passeggeri siano fatti scendere da un aereo in partenza nonostante tutte le rassicurazioni del caso travalica i confini della semplice paura razionale e giustificabile. Un segnale allarmante, senz’altro da combattere, culturalmente ma anche con azioni concrete che mirino alla sicurezza e al dialogo. Gli sforzi però non possono essere unilaterali.
Lo stesso clima di sfiducia reciproca c’era tra statunitensi e sovietici negli anni della guerra fredda, eppure il pericolo era solo sulla carta. Gli israeliani, invece, lo vivono concretamente tutti i giorni. In quei territori la guerra non è fredda, è reale.
Oggi un ebreo non può più fidarsi neppure di un arabo con cittadinanza israeliana. Non è l’irrazionalità a dirlo, ma la realtà dei fatti. Gli spari a Tel Aviv.
L’articolo del Corriere senz’altro ha l’intento di denunciare uno spiacevole episodio di “islamofobia”, pur non contestualizzandolo a dovere. Però, leggendolo, arriva la terza cosa che ci colpisce. Una frase particolare:
“Il comandante è intervenuto dicendo che se avevano timori per la sicurezza potevano anche scendere, ma avrebbero perso il diritto al rimborso. A questo punto si sono calmati, seduti ai loro posti e l’aereo è potuto partire”.
Un dettaglio curioso, a nostro avviso giornalisticamente insignificante e pure difficile da dimostrare. Eppure, unendo questa frase agli “ebrei” del titolo, ecco servito il pregiudizio degli ebrei tirchi e “attaccati ai soldi”, che si calmano solo quando vengono punti sul vivo, ossia quando si fa riferimento al loro “diritto al rimborso”.
Un pregiudizio noto, probabilmente conosciuto anche dall’estensore dell’articolo, che però non ha usato cautele a riguardo.
Secondo Il Corriere, non ci sono israeliani che hanno fatto scendere dall’aereo due arabi pochi giorni dopo il fattaccio di Tel Aviv, ma “ebrei” che si sono calmati solo dopo essere stati minacciati di non aver indietro i soldi.
Ed infatti, qualche commentatore sui social network non si è lasciato sfuggire il dettaglio. “Sempre i soliti questi ebrei” si è letto in qualche commento. Già, oltre a cacciare gli arabi dagli aerei, non vogliono perdere il rimborso. Sempre i soliti.
Non crediamo di esagerare se ammettiamo di temere molto di più l’antisemitismo subdolo e nascosto rispetto all’islamofobia grossolana descritta nell’episodio.