Nel conflitto sull’accordo nucleare, la Germania e l’Unione Europea si schierano dalla parte dell’Iran contro Washington.
L’8 maggio 2018, quando ha ufficializzato alla stampa il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, il presidente americano Donald Trump ha dichiarato che “l’America non sarà ostaggio di un ricatto nucleare”[1]. Con questa frase, Trump ha avviato una nuova fase diplomatica con l’Iran. Fino a questo punto, il ricatto nucleare, la minaccia che l’Iran costruisca una bomba, aveva definito e modellato la dinamica dei negoziati. Questa ipotesi peggiore pende come una spada di Damocle sugli attori. Per evitarlo e per garantire l’accordo sul nucleare, Obama aveva rifiutato di offrire il suo appoggio al movimento di protesta iraniano del 2009, proprio come nel 2013 rifiutò di mantenere l’impegno della linea rossa che aveva tracciato nella guerra siriana.
Inoltre, nella formulazione dell’accordo sul nucleare, i negoziatori internazionali furono tenuti in ostaggio e abbandonarono una posizione dopo l’altra. L’accordo non solo consente l’arricchimento nucleare e il suo ulteriore sviluppo, ma impedisce anche agli ispettori dell’AIEA (l’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica, N.d.T.) di esaminare i siti militari, consente al regime di continuare a sviluppare il proprio programma missilistico e scadrà alcuni anni dopo che è stato siglato[2]. Il ministro degli Esteri iraniano Zarif ha fatto leva sulla paura con grande virtuosismo. All’inizio dei negoziati, ha minacciato dicendo: “Avete un solo modo per garantire che il programma nucleare iraniano resti pacifico. Dovete consentire al programma nucleare iraniano di svilupparsi in un contesto internazionale pacifico”[3].
Donald Trump, con fiducia nella forza americana, ha smesso di prestare attenzione a questo tipo di minacce. Ha annunciato di voler dare una risposta concreta, esauriente e permanente allo sviluppo nucleare iraniano, insieme agli alleati dell’America, una risposta che avrebbe al contempo messo fine allo sviluppo missilistico di Teheran e alla sua condotta bellicosa nella regione. Sanzioni efficaci dovrebbero obbligare la leadership iraniana a siglare un nuovo accordo. Ma le sanzioni, per essere efficaci, richiedono la cooperazione del più importante partner commerciale dell’Iran, l’Unione Europea.
Europa contro Stati Uniti
Tuttavia, i diplomatici dell’UE, così come il trio europeo – Gran Bretagna, Francia e Germania – non vogliono discutere nuove sanzioni. Piuttosto, sono dominati dalla paura che Teheran possa uscire dall’accordo sul nucleare. Ali Khamenei, leader del regime rivoluzionario iraniano, ha alimentato questa paura. Si fida poco del triumvirato, così come diffida degli Stati Uniti. Senza forti garanzie da parte dei tre paesi dell’UE, Teheran non avrebbe alcun motivo di rimanere nell’accordo[4]. Il presidente iraniano Hassan Rohani è subentrato a Khamenei, nella speranza di ricompattare l’Unione Europea, la Russia e la Repubblica popolare cinese contro gli Stati Uniti. Rohani ha dichiarato che Teheran non si ritirerà dall’accordo, se gli europei assicureranno l’Iran che ne trarrebbe dei vantaggi.
Se Donald Trump ha minacciato gli europei di abbandonare l’accordo con l’Iran per attuare una politica più rigida nei confronti di Teheran, ora quest’ultima minaccia l’UE per costringerla a trattare bene l’Iran.
E infatti, la vaga dichiarazione di Rohani ha indotto le potenze dell’Unione Europea a tentare di contrastare la nuova posizione americana sulle sanzioni. L’obiettivo del governo della Repubblica federale tedesca è che “l’attuale congelamento europeo della sanzioni dovrebbe ovviamente restare in vigore”[5]. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha confermato personalmente questo messaggio in una telefonata al presidente iraniano[6].
Gli europei sono essenzialmente irritati a causa delle cosiddette sanzioni secondarie, le quali consentono al Dipartimento del Tesoro americano di inserire in una lista nera le aziende europee che fanno affari con interlocutori iraniani, proibendo così alle aziende, alle banche e ai privati cittadini statunitensi di avere rapporti commerciali, economici e finanziari con i soggetti che fanno parte di questa black list.
Nel 2017, le esportazioni tedesche in Iran comprendevano solo lo 0,2 per cento del totale delle esportazioni tedesche. L’anno scorso, l’Iran si è collocato al 33° posto nella classifica dei destinatari delle esportazioni europee, dietro a paesi come il Kazakistan e la Serbia[7].
Ciò significa in primo luogo che tutto il clamore sollevato dai media di lingua tedesca sul presunto danno arrecato all’economia tedesca a causa delle rinnovate sanzioni è enormemente esagerato. In secondo luogo, ciò implica che prima o poi gli esportatori europei interromperanno le vendite sul mercato iraniano piuttosto che rinunciare ad esportare negli Stati Uniti. Ralf Thomas, direttore finanziario della Siemens Corporation, ha dichiarato che “occorre riconoscere che una delle nazioni industriali più importanti al mondo [gli Stati Uniti] ha preso una decisione politica”[8].
Questo tipo di giudizio pacato non viene ascoltato dai politici. Il portavoce della Commissione europea ha affermato che “stiamo lavorando a piani finalizzati a tutelare gli interessi delle aziende europee”, ossia solo quelle che fanno affari con l’Iran. Qui si parla di stabilire delle norme eccezionali, che contemplino finanziamenti governativi per compensare le sanzioni o che considerino perfino l’introduzione di contro-sanzioni contro le aziende americane.
Nessuno però in Germania si chiede perché sia legittimo fare affari con un regime che terrorizza la regione e che vuole sterminare Israele. Nessuno si chiede come la cancelliera tedesca possa conciliare il suo speciale impegno nel fare affari con l’Iran con “la speciale responsabilità storica della Germania per la sicurezza di Israele”, come la stessa Merkel disse in uno storico discorso alla Knesset, a Gerusalemme, il 18 marzo 2008. Lo scandalo non consiste nel fatto che il nuovo ambasciatore americano esorta vivamente gli imprenditori tedeschi a interrompere le relazioni commerciali con Teheran. Lo scandalo risiede piuttosto nel fatto che questa richiesta non proviene dallo stesso governo tedesco.
Nel contesto tedesco, questa attuale faziosità per il regime iraniano e contro gli Stati Uniti ha una lunga tradizione. Già nel 1995, quando il presidente americano Bill Clinton proibì alle aziende americane di avere relazioni commerciali con l’Iran, fu la Germania a neutralizzare sistematicamente gli sforzi statunitensi profusi a imporre sanzioni. Hossain Mousavian, all’epoca ambasciatore iraniano in Germania, riferì che il governo di Teheran era molto contento di quell’impegno tedesco. Egli scrisse che i responsabili decisionali iraniani “erano consapevoli del ruolo significativo assunto dalla Germania negli anni Novanta per spezzare le catene economiche che gli Stati Uniti avevano messo all’Iran”[9].
Nel settembre 2004, in un discorso diffuso dal governo tedesco, il ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer spiegò con sorprendente franchezza l’essenza del suo approccio con l’Iran, dicendo: “Noi europei abbiamo costantemente consigliato ai nostri partner iraniani nel loro legittimo interesse di vederci come uno scudo protettivo”. L’Europa come scudo tra l’Iran e l’America, non per proteggere gli Stati Uniti dagli islamisti, ma gli islamisti dagli Stati Uniti[10].
Il commento di Fischer sta a indicare che le differenze nel trattare con l’Iran vanno individuate nell’ambito delle relazioni transatlantiche. La presidenza di Barack Obama è stata una eccezione. Oggi, tuttavia, il conflitto transatlantico differisce da quelli legati al passato sotto due punti essenziali. Innanzitutto, ha luogo in un periodo in cui l’UE sta cercando di affermarsi come un nuovo centro di potere, assumendo una distanza calcolata dagli Stati Uniti. Ecco perché, nel contesto di un nuovo euro-nazionalismo, gli europei si aggrappano fortemente all’accordo sul nucleare. In Germania e in Francia, l’intesa è interpretata come una sorta di prototipo del superamento dei conflitti europei, nel corso del quale gli europei dovrebbero ora “insegnare una lezione agli Stati Uniti” e “scontrarsi con gli americani”, come afferma un documento di sintesi del Consiglio tedesco per le relazioni estere[11]. Bruno Le Maire, ministro francese dell’Economia e delle Finanze, adotta un tono più aggressivo quando chiede: “Vogliamo essere i vassalli degli Stati Uniti che obbediscono senza fiatare?”[12] La rabbia per la decisione di Trump esplode in espressioni anti-americane. “Lo spirito di questi giorni sembra essere quello di urlare e strepitare”, secondo l’ Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Federica Mogherini. Il direttore del Frankfurter Allgemeine considera il presidente americano un “sovversivo in una missione di sterminio”[13].
L’Occidente si sta davvero sgretolando, come hanno affermato molti politologi? C’è il pericolo che si possa dividere in un’ala pro-Iran e in un’ala pro-Israele?
Non sono d’accordo. Trump ha assistito alle illusioni degli europei e ha tratto l’ovvia conclusione che l’accordo sul nucleare non ha portato a una maggiore pace, quanto piuttosto a una maggiore guerra nella regione. Anche in questo senso, l’argomento transatlantico differisce dai dibattiti del passato. Dal 2004, la campagna di terrore condotta dal regime iraniano contro la propria popolazione e la sua ampia condotta bellica nella regione e contro Israele si sono notevolmente intensificate. È stato così soprattutto dopo la firma dell’accordo sul nucleare, riversando milioni nel forziere bellico iraniano.
Esiste oramai un’ampia intesa in Germania sulla considerazione fatta da Nikolaus Busse in un editoriale apparso sul Frankfurter Allgemeine che “l’Iran ha utilizzato il proprio margine di manovra creato dalla revoca delle sanzioni non per moderare la propria rivendicazione rivoluzionaria, ma per rafforzare la posizione di potere nella regione”[14] Il regime ha immerso la regione in avventure di guerra, ha provocato fughe di massa dalla Siria e dell’Iraq senza dover abbandonare lo sviluppo del proprio uranio e gli esperimenti missilistici. Di conseguenza, il trio europeo nella “dichiarazione comune” dell’8 maggio si è impegnato nel seguente esercizio di equilibrismo. Da una parte ha chiesto che “l’attuale congelamento della sanzioni nei confronti dell’Iran” continui, dall’altra ha affermato che “la questione dei programmi di sviluppo dei missili balistici e anche le destabilizzanti attività regionali, soprattutto in Siria, in Iraq e in Yemen devono essere risolte”[15].
La posizione del ministro tedesco degli Esteri Heiko Mass non è meno bifronte. Egli ha detto che vuole “continuare a integrare l’Iran”, ma al contempo ha dichiarato che “le pressioni sull’Iran devono essere aumentate”[16]. Solo una di queste due opzioni è possibile. Oggi, è assurdo pensare che il congelamento delle sanzioni nei confronti dell’Iran porterà a un cambiamento nel comportamento di Teheran.
Chiunque voglia impedire al regime iraniano di continuare il suo corso distruttivo deve intensificare le pressioni su Teheran finché non si troverà davanti all’alternativa di “cambiare politica” o “crollare”. Questo sarà possibile solo con massicce sanzioni. Ma anziché affrontare e riconoscere questa semplice verità, le maggiori potenze europee si sono lasciate guidare ancora una volta dalla paura che Teheran possa uscire dall’accordo. Il collasso dell’accordo nucleare e la possibilità di un armamento nucleare iraniano senza impedimenti, e con esso il pericolo della guerra, non sono motivo di paura?
La paura della guerra
Naturalmente, il pensiero di una bomba atomica iraniana è orribile. È a causa di questa paura delle armi nucleari nelle mani di fanatici religiosi che la tattica del ricatto con il motto “accordo nucleare o guerra” ha funzionato così bene per così tanto tempo. Tuttavia, almeno per il momento, Teheran non è interessata a una escalation della situazione. A seguito delle costose guerre in Siria, in Iraq, in Yemen e in Libano, il paese è assai debole e l’umore domestico è teso. Il malcontento della popolazione cresce di giorno in giorno a causa della crisi economica. Il 6 maggio, il Wall Street Journal ha riportato che nel paese ci sono centinaia di casi di recenti vertenze lavorative. In innumerevoli messaggi via Internet, si dice che la gente in Iran ha celebrato l’uscita di Trump dall’accordo sul nucleare.[17] I leader iraniani sanno che una reazione massiccia alla decisione di Trump, che si tratti dell’arricchimento dell’uranio o dell’uscita dal Trattato di non-proliferazione nucleare, porrebbe fine al relativo isolamento degli Stati Uniti e unirebbe la comunità mondiale contro l’Iran.
Allo stesso tempo, il cambio di politica da parte di Trump non è privo di rischi. Data la natura del regime iraniano, non si possono escludere risposte irrazionali e scenari di guerra. Se si dovesse arrivare a questo, Guido Steinberg, un consulente del governo tedesco scrive in uno straordinario saggio che “la Germania e l’Europa dovranno prendere una posizione. Dovrebbero arguire che è più importante impedire all’Iran di acquisire armi nucleari anziché evitare una guerra”[18]. Il rischio di guerra non è fuori discussione, ma è calcolabile, più della graduale acquisizione da parte di Teheran di armi nucleari sotto la copertura dell’accordo nucleare che non proibisce la ricerca atomica, impedisce i controlli e le ispezioni dei siti militari, e rende possibile l’ulteriore sviluppo di missili in grado di trasportare testate nucleari.
Poiché il regime iraniano è capace di arricchire l’uranio, può minacciare l’utilizzo della bomba atomica. Prima i paesi europei si libereranno dalla pressione di questo ricatto tanto meglio sarà. L’appeasement si basa su una combinazione di pio desiderio e paura. La politica dell’appeasement dell’Unione Europea è collassata. Prima i leader politici della Germania e dell’Europa lo capiranno, tanto meglio sarà per la pace nel mondo.
Il dibattito sull’Iran non verte sulla sensibilità. Riguarda la cosa giusta da fare. Qualunque critica sia mossa a Trump, la sua decisione di uscire dall’accordo sul nucleare è stato un primo e importante passo per porre fine al ricatto e alle minacce, e per cambiare la dinamica del rapporto con Teheran.
Traduzione in italiano di Angelita La Spada
Qui l’articolo originale in lingua inglese
[1] Il testo del discorso di Trump è disponibile qui.
[2] Per quanto riguarda i punti deboli fondamentali dell’accordo, cfr. Matthias Küntzel, “Donald Trump und der Atomdeal mit Iran.”
[3] FM Javad Zarif intervista alla Press TV: “All Options are Not on the Table; Iran cannot be deprived of its Nuclear Rights,” Iran Daily Brief, September 12, 2013.
[4] Cfr. Rainer Hermann, “Wer kann noch wem vertrauen?,” Frankfurter Allgemeine Zeitung, May 11, 2018.
[5] Conferenza stampa del governo, 9 maggio 2018.
[6] Cfr. Reuters, “Germany wants to keep Iran nuclear deal, Merkel urges de-escalation,” May 10, 2018.
[7] Cfr. Jack Ewing and Stanley Reed, “European Companies Rushed to Invest in Iran. What Now?,” New York Times, May 9, 2018; “Amerika setzt Frist für Iran-Geschäfte,” Frankfurter Allgemeine Zeitung, May 11, 2018.
[8] Cfr. “Amerika setzt Frist für Iran-Geschäfte,” Frankfurter Allgemeine Zeitung, May 11, 2018.
[9] Cfr. Seyyed Hossein Mousavian, Iran-Europe Relations (Milton Park, 2008), p. 133.
[10] Cfr. Presse- und Informationsamt der Bundesregierung. Rede des Bundesministers des Auswärtigen, Joschka Fischer, zur Eröffnung der Botschafterkonferenz am 6. September 2004 in Berlin.
[11] Cfr. Henning Riecke, “Iran-Abkommen ohne die USA. Europa betreibt Schadensbegrenzung,” DGAP Think Tank, May 9, 2018.
[12] Cfr. “Iran-Sanktionen machen die Deutschen ratlos,” Frankfurter Allgemeine Zeitung, May 12, 2018.
[13] Cfr. Klaus-Dieter Frankenberger, “Zeitenwende,” Frankfurter Allgemeine Zeitung, May 12, 2018.
[14] Cfr. Nikolaus Busse, “Irans Ambitionen,” Frankfurter Allgemeine Zeitung, May 11, 2018.
[15] Presse- und Informationsamt der Bundesregierung, Gemeinsame Erklärung Deutschlands, Frankreichs und Großbritanniens zum Rückzug der Vereinigten Staaten aus dem Nuklearabkommen mit Iran, May 8, 2018.
[16] Heiko Maas in un’intervista al magazine “Tagesthemen,” dell’emittente pubblica tedesca ARD, l’8 maggio 2018.
[17] Cfr. Menashe Amir, “Iran is Full of Trump Supporters,” Israel Hayom-Newsletter, May 10, 2018.
[18] Cfr. Guido Steinberg, “Umgang mit dem Iran,” in: Internationale Politik, 73. Jahrgang, Nr. 3, Mai /Juni 2018, p. 65.