Con buona pace del mio amato David Hume -da cui ho tratto il titolo di questo pezzo, per vicende ove egli certamente non avrebbe amato confondersi-, scrivere di Gariwo, “giusti” e “santi laici”-con relativo ufficio per le cause dei santi-, fissa l’attenzione (e dunque le polemiche) su Gabriele Nissim, con cui ora sono -circa la Carta della Memoria– in vibrante disaccordo, ma che, a mio avviso, non è il principale bersaglio polemico.
In vero, il principale bersaglio polemico dovrebbero essere le Istituzioni ebraiche italiane, con l’unica eccezione del Rabbinato che, indipendentemente dalle posizioni diverse che lo attraversano e informano, ha dato un importante ed essenziale segnale agli iscritti di dignità, puntualità e capacità critica su un tema estremamente serio e vitale, ossia quello della Memoria e delle “politiche” (termine purtroppo degradato) della Memoria. Perché è agli iscritti che le Comunità ebraiche, le loro Istituzioni e i loro legali esponenti anzitutto e fondamentalmente devono rendere conto!
La Carta della Memoria è stata sottoscritta da alcuni amici (e lo scrivo nel pieno rispetto di questa meravigliosa parola) che vi figurano con il titolo ufficiale dell’istituzione ebraica che legittimamente rappresentano, cosa già di per sé estremamente problematica, che dà adito a gravi equivoci e sovrapposizioni, travalicando l’espressione personale. Qualsiasi cambio istituzionale di orientamento e sensibilità nei riguardi della Shoah, infatti, deve essere frutto di posizioni e valutazioni ampiamente discusse, studiate e condivise, di delibere ufficiali degli organi preposti, previo il coinvolgimento degli iscritti.
A fronte dello scorso recentissimo Consiglio allargato dell’UCEI su questa questione, nonché a fronte di posizioni a stragrande maggioranza trasversalmente fortemente critiche delle prospettive e posizioni assunte per l’appunto da Gariwo almeno nell’ultimo anno, mi domando perché questi stessi amici non siano intervenuti con critiche specifiche, puntuali e probanti alle ferme obiezioni sinora mosse da più parti e ai fatti che le suffragano. Dato che è ben possibile che le nostre voci critiche siano in errore, sarebbe stato allora doveroso metterlo in luce con argomentazioni inequivocabili, pertinenti e stringenti, cosa non avvenuta.
Circa le collaborazioni, a vario livello, con Gariwo, le Istituzioni ebraiche hanno un’immensa responsabilità in vigilando. Perché non è stata fatta recepire a Gariwo, a fronte della collaborazione UCEI/CEM/CER/CDEC e di firmatari che firmano facendo valere la propria carica in Istituzioni ebraiche, la Dichiarazione IRHA?
E, per converso, come è possibile che si sieda -in veste ufficiale- con chi è su posizioni opposte, quando già non compromesso addirittura con il BDS?
Quanto disorientamento e confusione, a nostro stesso danno, alimentiamo con una simile prassi schizofrenica, a fronte della simultanea richiesta di adozione della Dichiarazione IRHA, con un iter che sappiamo contrastato in vario modo, da parte delle Istituzioni della Repubblica?
Come ha potuto l’UCEI nei suoi rappresentanti e nei suoi organi non controllare tutto questo? Lo stesso dicasi, per esempio, per il duplice caso Arrigoni o per l’appena segnalato (dall’amico Marco Ascoli Marchetti di Ancona) albero (un cactus?) a Dag Hammarskjoeld, svedese, ex segretario dell’ONU, al Giardino dei Giusti di Milano!
E, ancora, come è stato possibile che tutto il materiale critico (circa idee, personalità coinvolte e, persino, “giusti” canonizzati) sia stato portato alla luce solo da una pubblicazione esterna alle nostre, che ha, per così dire, sfondato il muro del suono, dopo mesi e mesi, dati su dati, cortocircuiti su cortocircuiti, nell’imbarazzo e nel fastidio del nostro establishment, salvo poi arrivare al Consiglio allargato dell’altra sera, in cui si è appurato che “il re è nudo”?
Che genere di informazione è stata offerta ai nostri iscritti e, sul tema così caro e vitale della Memoria, che è anzitutto la loro e la nostra Memoria, come sono stati tutelati dalle nostre Istituzioni? Non possiamo che tristemente constatare che l’indispensabile opera di controllo e di coordinazione da parte nostra nei fatti si è dimostrata drammaticamente carente e inadeguata, con tutti i paradossi e le brutture che sono state appurate. Qualsiasi posizione si prenderà, credo che sia di solare evidenza (altrimenti entreremmo nel paradossale) che le persone che verranno nominate non debbano essere quelle sinora agenti.
Ciò premesso, il vero problema, quello centrale, è un altro: abbiamo toccato con mano la problematicità e il pericolo di quando le Istituzioni ebraiche (Unione, singole Comunità, CDEC etc etc), per quello che compete loro, appaltano (in parte o in toto) la gestione della Memoria (e delle politiche della Memoria) a partner esterni, senza controllo e non rigorosi, che appaiono -o de facto persino divengono (o vengono percepiti all’esterno, anche dalle Istituzioni nazionali)- suppletivi e addirittura sostitutivi delle Istituzioni ebraiche stesse; oppure le fagocitano, offuscano o “neutralizzano” se in qualche modo risultano “scomode”; o, ancora, le rendono paradossalmente concorrenti a sé tanto nella Memoria che nelle “etiche/politiche della Memoria”, sì che gli ebrei che acconsentono a ciò o vi si sottomettono sono applauditi come “universalisti e buoni”, mentre gli altri, come abbiamo letto tutti, vengono squalificati in quanto “identitari, oltranzisti e cattivi” (e, come si è appena visto, non di rado con accenti antisemiti). Il che, peraltro, neutralizza o addirittura mina la forza e la rappresentatività legittima degli ebrei italiani in maniera surrettizia!
Per finire, torniamo a Nissim (che in ebraico significa “miracoli”), che, seppur a proprio nome sollecita al Parlamento, al Comune di Milano e chissà a chi altri, nuovi organi da istituire, osservatori da creare, riconoscimenti vari, via libera istituzionali, collaborazioni con ONU e quant’altro.
Ho appreso con sconcerto in queste ore che la Carta della Memoria ha subito delle variazioni tra la stesura originaria, che le valse le varie sottoscrizioni, e l’attuale formulazione. Ho altresì appreso, con sorpresa, che i firmatari non sono stati nemmeno consultati circa le modifiche apportate unilateralmente. Il che si commenta da sé! Lascia esterrefatti che tutto questo avvenga proprio in un contesto che pretende, sbandierandolo, di essere dialogico, plurale, polifonico e inclusivo… Può essere autentico dialogo quello che così inficia, rende impossibile e dunque squalifica ogni critica?
L’esito di questa entropica e confusa vicenda porta nei fatti allo svuotamento progressivo delle funzioni istituzionali delle Comunità e dell’UCEI che derivano dallo Statuto e dalle Intese con lo Stato italiano, ed è quello che deve importare a noi. Lavorare stanca -scriveva Cesare Pavese-, ma l’inerzia produce esiti ancor più sfibranti.