Israele e Medio Oriente

Dentro la mischia: A 24 anni da Oslo – Il mancato superamento del test della “sfera di cristallo”

Se Rabin avesse avuto una sfera di cristallo attraverso cui prevedere il terribile trauma e la tragedia che gli accordi di Oslo avrebbero causato, non c’è dubbio che non avrebbe mai accettato di firmare.

Siamo venuti per cercare di mettere fine alle ostilità, in modo che i nostri figli e i figli dei nostri figli non conoscano più il doloroso prezzo della guerra, della violenza e del terrore. Siamo venuti per tutelare le loro vite e per alleviare la sofferenza e le dolorose memorie del passato. Per sperare e per pregare per la pace.
(Yitzhak Rabin  alla cerimonia ufficiale della firma degli accordi di Oslo, Washington, D.C., 13 settembre 1993)

Questo settembre è ricorso il 24° anniversario della firma degli accordi di Oslo. Sebbene sia rimasto ben poco dell’euforico – che in modo meno indulgente si potrebbe definire “irresponsabile” – ottimismo che accompagnò la cerimonia ufficiale della firma sul prato della Casa Bianca in quel fatidico giorno del settembre 1993, il format forgiato dei “due Stati per due popoli” domina ancora – inspiegabilmente – il dibattito come unico principio su cui si possa basare una risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

Incomprensibile e inquietante

I futuri storici riterranno di certo che ciò sia incomprensibile e inquietante – perché anche se la formula dei due Stati è stata regolarmente confutata per delle imperscrutabili motivazioni, non è mai stata screditata – e ovviamente mai abbandonata.

Per molti versi, la costante “stabilità” della “formula” di Oslo è stupefacente.

In effetti, è difficile immaginare che cosa dovrebbe accadere, quale altro disastro dovrebbe colpire tanto gli ebrei quanto gli arabi, per rinunciare a questa formula, quale miserabile fallimento che ha dimostrato di essere in maniera incontrovertibile.

Dopo tutto, quando il processo di Oslo è stato avviato c’erano tanto i sostenitori quanto gli oppositori, con i primi che promettevano ampi vantaggi (come pace, prosperità e un Medio Oriente fiorente e armonioso che si estendesse da Casablanca al Kuwait), mentre i secondi mettevano in guardia da gravi pericoli (come l’intensificarsi del terrorismo e diffusi tumulti).

Oggi, quasi un quarto di secolo dopo, è lecito pensare che “il verdetto non è più incerto”. Innanzitutto, è incontestabile. Nessuno dei vantaggi promessi dai sostenitori si sono materializzati, mentre di fatto tutti i pericoli preannunciati dagli oppositori hanno afflitto la regione martoriata dai conflitti e i suoi sfortunati abitanti.

Eppure, in maniera ostinata – anzi, ossessiva – le due facce della medaglia si aggrappano ai principi del loro dogma politico, non importa quali siano il costo umano e indipendentemente dalle prove che il loro tragico errore continua inesorabilmente ad accumulare… .

Non è affatto una rivelazione rivoluzionaria

Purtroppo, questa non è affatto una rivelazione rivoluzionaria. Chiunque abbia un briciolo di onestà intellettuale ne è consapevole.

Di fatto, 17 anni fa, a poche settimane da quando gli arabi palestinesi scatenarono una cruenta ondata di violenza (nota come seconda Intifada), su YNet, il più visitato sito web israeliano in lingua ebraica, apparve un mio articolo dal titolo “The Crystal Ball” (“La sfera di cristallo”) e il cui sottotitolo recitava “Il processo di Oslo e le sue ipotesi di base non hanno superato il test di realtà”.

Nel pezzo ho scritto: “Fino a qualche settimana fa, avrebbe potuto esserci spazio per un dibattito sul fatto se il processo di Oslo sia stato un successo o un fallimento. Fino a qualche settimana fa, sarebbe stato possibile – anche se con grande difficoltà – comprendere coloro la cui fede nel ‘processo’ non si è affievolita. Ma ora [cioè nel novembre 2000] finisce lo spazio per il dibattito! Ora è abbastanza chiaro che il processo politico ha completamente fallito”.

Mi sono chiesto se “dovremmo dedurre che l’opzione scelta sia sbagliata?” e come risposta ho ipotizzato che “in linea di massima, bisognerebbe ammettere che la linea politica scelta è fallita se non la si fosse scelta, se le conseguenze di quella scelta fossero state note in anticipo”.

Il mancato superamento del test di realtà

Poi, ho proposto: “…Supponiamo che in quel fatidico giorno del settembre 1993, in cui furono firmati gli accordi di Oslo, i cittadini israeliani e i loro leader avessero avuto a disposizione una sfera di cristallo che consentisse loro di prevedere le future conseguenze di quegli accordi. Immaginiamo che gli architetti di quegli accordi, che (…) promettevano alla nazione l’inizio di una nuova era (…) ‘giorni senza preoccupazioni e notti senza paura’, avessero potuto predire il destino del Paese quasi otto anni dopo la cerimonia ufficiale della firma degli accordi”.

E ho proseguito dicendo: “Supponiamo che essi avessero saputo che quasi un decennio dopo le ampie concessioni che Israele fu esortato a compiere (…) il Paese sarebbe stato funestato dal fuoco, dilaniato dall’odio e afflitto da morte, e che le armi, consegnate ai palestinesi, nonostante i ripetuti avvertimenti a non farlo, sarebbero state rivolte contro i nostri soldati, le nostre donne e i nostri figli. Supponiamo che avessero saputo che nonostante la nostra profonda volontà di accontentare i nostri avversarsi, la nostra situazione politica nel mondo avrebbe raggiunto il punto più basso…”.

Per questo motivo, ho osato ipotizzare: “Non ho dubbi che se gli architetti di questi accordi avessero saputo in precedenza come sarebbero andate le cose non li avrebbero firmati. Non ho dubbi che se l’opinione pubblica avesse previsto quanto è accaduto non avrebbe offerto il suo appoggio al processo o ai suoi promotori. Di conseguenza, possiamo categoricamente dichiarare che il processo di Oslo e la visione del mondo su cui si basava non hanno affatto superato il ‘test della sfera di cristallo’ vale a dire il test di realtà”.

Nonostante le aspettative…

Alla luce di tutto ciò, ho espresso quella che sembrava essere una legittima aspettativa: “…che, considerate le terribili conseguenze causate dai processi politici, ci sarebbe stata una massiccia defezione da parte dei suoi [finora] sostenitori.

“Ma”, ho deplorato, “non è stato così. Nonostante non si possa trovare la benché minima traccia di un qualche successo, un significativo numero di persone (…) si rifiuta ancora di riconoscere il fallimento o l’errore. ‘Non esiste ancora alcuna alternativa’, declamano con ostinazione dogmatica”.

Ovviamente, come ho rilevato, “in realtà, non c’è niente di più assurdo che affermare che ‘non esiste alcuna alternativa’”. Anzi, come ho sottolineato, “spetta ai sostenitori del processo di Oslo e non ai suoi oppositori dimostrare di avere una valida alternativa…”.

Peraltro, se l’immaginaria sfera di cristallo del 1993 fosse stata in grado di guardare più in là nel futuro, ciò che avrebbe rivelato ai potenziali firmatari degli sfortunati accordi non sarebbe stato molto più incoraggiante. Semmai il contrario!

Così, per i cinque anni successivi alla pubblicazione del mio articolo “The Crystal Ball”, la carneficina terroristica della “seconda Intifada” imperversò in tutto il paese, con migliaia di civili israeliani uccisi e mutilati, nei centri commerciali, sugli autobus, nei caffè e nei ristoranti affollati.

Che cosa avrebbe rivelato la sfera di cristallo….

Fu il cruento massacro di Passover avvenuto al Park Hotel di Netanya nel marzo 2002 a portare all’operazione “Scudo Difensivo”, la prima di una serie di campagne militari punitive lanciate dall’Idf quando il terrorismo arabo-palestinese raggiunse in modo inaccettabile livelli omicidi che l’esercito israeliano fu costretto a reprimere.

La decade successiva fu piena di ricorrenti spargimenti di sangue. Così, quando la selvaggia violenza della seconda Intifada esplose nel 2005, l’anno successivo – nel 2006 – scoppiò la seconda guerra del Libano.

Certo, questo conflitto non era direttamente connesso a quello con gli arabi palestinesi. Tuttavia, le sue radici si rintracciano nella mentalità sottesa al processo di Oslo di concedere terra in cambio di pace, quando nel giugno 2000 Ehud Barak si arrese alle pressioni esercitate dagli attivisti di sinistra e consegnò il sud del Libano a Hezbollah ordinando una ignominiosa evacuazione unilaterale dell’Idf.

In effetti, questo ritiro disdicevole fu ampiamente identificato come una delle principali cause della seconda Intifada scoppiata tre mesi dopo (si veda ad esempio  qui e qui). Così anche nelle parole di un esperto “il messaggio di debolezza trasmesso dal ritiro dal Libano ha incoraggiato i palestinesi a ricorrere di nuovo all’uso di metodi violenti”.

L’abbandono di Barak del sud del Libano portò a un massiccio potenziamento militare di Hezbollah nel territorio evacuato, per poi culminare nella onerosa seconda guerra del Libano, la cui cattiva gestione da parte del governo Olmert permise al sud del Libano di diventare un temibile arsenale, con centomila razzi e missili, puntati contro i principali centri abitati israeliani e gli impianti infrastrutturali essenziali, nonché di costituire un’ulteriore minaccia a causa dei tunnel transfrontalieri per compiere attacchi.

Dall’operazione “Piombo Fuso” all’operazione “Scudo Difensivo”

Ovviamente, resta da vedere se la seconda guerra del Libano del 2006 sia stata dovuta, almeno in parte, a un altro ritiro unilaterale – il cosiddetto “disimpegno” da Gaza del 2005. Tuttavia, non vi è alcun dubbio che il disimpegno portò alla presa di potere del movimento islamista nella Striscia di Gaza nel 2007, quando a seguito del vuoto di potere creato dal ritiro dell’Idf, il movimento fondamentalista Hamas assunse il controllo dell’enclave costiera, espellendo in modo violento la fazione di Fatah al potere.

Subito dopo la vittoria di Hamas, ci fu un massiccio aumento di attacchi contro Israele, con migliaia di razzi, missili e colpi di mortaio sparati contro obiettivi civili. Di conseguenza, Israele fu costretto a intraprendere azioni per ripristinare la stabilità e la sicurezza per i propri cittadini – il che portò alla prima delle tre (e più) campagne post-Oslo lanciate dall’Idf contro Gaza, l’operazione Piombo Fuso del dicembre 2008. A causa della sua risposta militare agli attacchi terroristici in corso, Israele fu diffamato nell’arena internazionale, in particolar modo dal famoso Rapporto Goldstone, realizzato da una missione “esplorativa” delle Nazioni Unite, che accusò Israele di colpire deliberatamente i civili arabi palestinesi, usati da Hamas come scudi umani.

La continua escalation di attacchi terroristici portò Israele ad altre due campagne militari. Meno di quattro anni dopo la fine dell’operazione “Piombo Fuso”, Israele fu costretto a condurre l’operazione “Pilastro di Difesa” nel novembre 2012, a seguito dell’intensificarsi degli attacchi missilistici contro i centri abitati israeliani. Poi, appena diciotto mesi dopo, con il brutale rapimento e l’uccisione di tre giovani israeliani e l’indiscriminato lancio di razzi da Gaza contro obiettivi civili israeliani, Israele fu nuovamente obbligato a utilizzare l’esercito per ristabilire la calma – questa volta nell’operazione “Scudo Difensivo” durante la quale venne scoperta la preoccupante estensione del reticolo di tunnel terroristici sotterranei scavati da Hamas per compiere attentati… .

Da parte palestinese…

Da parte palestinese, la nostra sfera di cristallo avrebbe vanificato rapidamente le rosee previsioni di un Medio Oriente pacifico e prospero come l’Unione Europea che si estendesse dal deserto del Sahara al Golfo Persico, a cui gli accordi di Oslo avrebbero dovuto condurre.

Indipendentemente dalle deturpazioni, dai bombardamenti, dalle stragi e dalla desolazione che imperversavano nel Medio Oriente post-Oslo, quando i venti gelidi della Primavera araba spirarono da un paese all’altro, gli accordi di Oslo portarono miseri vantaggi agli arabi palestinesi.

Anzi, per il palestinese comune, il processo di Oslo causò indigenza e non prosperità; dispotismo e non democrazia. Dopo quasi un quarto di secolo dalla cerimonia ufficiale della firma con tanto di fanfara sul prato della Casa Bianca, tutto ciò che gli arabi palestinesi hanno da mostrare è un’entità insostenibile e lacerata dalle lotte, con un sistema disfunzionale e un’economia in declino – con un minuscolo settore privato e uno pubblico allargato, sconvolti dalla corruzione e paralizzati dal clientelismo, palesemente insostenibili senza massicce infusioni di fondi esteri e la generosità del suo presunto “oppressore”, Israele.

A Gaza, dove l’esperimento dell’autogoverno palestinese fu inizialmente avviato, la situazione è particolarmente grave, con lo spettro della “catastrofe umanitaria” che aleggia sulla popolazione generale. A fronte dei flussi di acque reflue non trattate, con oltre il 90 per cento dell’approvvigionamento di acqua non potabile, di una fornitura di energia elettrica disponibile solo per poche ore al giorno e di un tasso di disoccupazione che si attesta intorno al 40-60 per cento, anche gli abitanti di Gaza hanno buone ragioni per maledire il giorno in cui furono firmati gli accordi di Oslo.

Se Rabin avesse avuto una sfera di cristallo…

Quindi, se nel settembre 1993 Yitzhak Rabin avesse avuto una sfera di cristallo, la sconfortante catena di eventi che sarebbe apparsa ai suoi occhi mentre scrutava nella superficie lattea della sfera di vetro sarebbe stata questa:

Un quarto di secolo insanguinato da una spirale di terrore nelle strade delle città, sugli autobus, nei caffè; migliaia di suoi connazionali mutilati o uccisi; quattro (forse, cinque) campagne militari con centinaia di vittime; il marcato miglioramento della qualità e della quantità delle armi delle organizzazioni terroristiche usate contro Israele; l’enorme costo della barriera, alta e profonda, costruita per proteggere i civili israeliani dalle infiltrazioni terroristiche e dai tunnel… .

Pertanto, se Rabin fosse stato in grado di prevedere che questa sarebbe stata la sorte di Israele in cambio delle concessioni stucchevoli e pericolose che gli accordi lo esortavano a fare, chi poteva dubitare che non avrebbe mai apposto la sua firma su di essi… .

Di certo, poi, questo – il Test della sfera di cristallo – è l’atto d’accusa finale degli accordi di Oslo. Sicuramente è tempo, dopo un quarto di secolo, che tali accordi – e tutto ciò che essi rappresentano – siano considerati per quello che indiscutibilmente si sono dimostrati di essere: un colossale e tragico errore di proporzioni storiche – e siano trattati come tali.

Martin Sherman è il fondatore e direttore esecutivo dell’Israel Institute for Strategic Studies.

Questo articolo, ripubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è apparso anteriormente sul Jerusalem Herald, in data 29 settembre 2017 come Sherman, Martin. “INTO THE FRAY: Oslo at 24 – Failing the “Crystal Ball” Test.” The Jerusalem Herald | Israeli news analysis | Jerusalem, The Jerusalem Herald, 29 Sept. 2017.

Traduzione in italiano di Angelita La Spada.

Qui l’articolo originale in lingua inglese

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