Israele come il Sudafrica, “un unico Stato in cui i palestinesi dovranno battersi per i propri diritti“. L’accostamento tra Israele e l’apartheid sudafricano è uno dei cavalli di battaglia della propaganda “antisionista”, che tende ad analizzare i conflitti in Medio Oriente con un semplice postulato: “E’ colpa di Israele”.
Se lo stato ebraico non esistesse, quella sarebbe un’oasi di pace. Di più: non esisterebbe il terrorismo islamico perché i musulmani non avrebbero alcun motivo per odiare l’occidente.
I peggiori luoghi comuni della propaganda anti-israeliana, o meglio “antisionista”: questa volta, a snocciolarli tutti, dal primo all’ultimo, non è un attivista filopalestinese, ma un ex presidente del Consiglio italiano, Massimo D’Alema.
La sua intervista di stamattina al Corriere fa il paio con le dichiarazioni di un altro ex premier di area centrosinistra, Romano Prodi, che aveva definito lo Stato di Israele “ingrato con l’Italia”.
Massimo D’Alema fa peggio. Stuzzicato dal giornalista Aldo Cazzullo, sulle colonne del Corriere parte lancia in resta con un’aspra critica al governo Netanyahu
Il governo della destra israeliana sta giocando un ruolo negativo nella regione. Con l’espansione delle colonie, la prospettiva di uno Stato palestinese è di fatto scomparsa. La coltiva ancora la leadership politica, che vive di aiuti internazionali; ma la società civile no. Gli intellettuali credono ormai allo scenario che chiamano sudafricano
Cazzullo chiede a D’Alema cosa intenda per “scenario sudafricano”, la risposta è agghiacciante
Un unico Stato, in cui i palestinesi dovranno battersi per i propri diritti. È nata così la nuova Intifada. Ma Israele, negando uno Stato palestinese, mette in pericolo la propria stessa idea di Stato ebraico. E la comunità internazionale accetta il doppio standard: Israele non rispetta gli impegni sottoscritti, viola le risoluzioni dell’Onu. Questo alimenta nel mondo arabo l’odio verso l’Occidente. Usa e Europa dovrebbero smetterla di avere nella regione alleati privilegiati, ai cui interessi finiscono per essere sacrificati gli interessi della stabilità e della pace. Noi abbiamo bisogno di un equilibrio fra i diversi Stati e di una convivenza basata sul rispetto dei diritti umani e dei principi del diritto internazionale.
Tutto quello che sta succedendo è quindi colpa di Israele e delle colonie. D’Alema ovviamente non cita Hamas, che opera nella striscia di Gaza dove non esistono colonie e da dove l’esercito israeliano si è ritirato dal 2005. Non si sofferma sugli attentati terroristici, sulle aggressioni, sull’Intifada dei coltelli. Sostiene semmai che i palestinesi siano resistenti che combattono per i diritti.
Israele, e soltanto Israele, non rispetta gli impegni e viola le risoluzioni Onu.
Allo scoppio della Prima intifada, citata dell’ex premier, non c’era un governo di destra ma un esecutivo di unità nazionale. Correva l’anno 1987, il Ministro della Difesa era il futuro premio nobel per la pace Yitzhak Rabin, laburista. Il primo ministro è stato Shimon Peres, anch’egli laburista, nei precedenti due anni, dando poi il cambio a Yitzhak Shamir in virtù dell’accordo di coalizione che prevedeva la rotazione dei primi ministri tra laburisti e Likud.
Non si può dare la colpa alla “destra israeliana”, per la Prima Intifada. Sarà quindi, secondo D’Alema, colpa dell’esistenza stessa di Israele, che difatti scarica senza troppi giri di parole: “Usa e Europa dovrebbero smetterla di avere nella regione alleati privilegiati, ai cui interessi finiscono per essere sacrificati gli interessi della stabilità e della pace“.
Se Israele va isolato e lasciato al suo destino, essendo la causa di tutti i mali del Medio Oriente, Massimo D’Alema ha invece parole al miele per i terroristi libanesi di Hezbollah. Ecco come spiega la sua passeggiata a Beirut con un deputato dell’organizzazione politica e paramilitare sciita, nel 2006
Spesso in Italia prevale l’ignoranza di trogloditi che non sanno di cosa si parli. Hezbollah rappresenta una parte significativa della società libanese. All’epoca faceva parte della coalizione di governo: il ministro degli Esteri era un accademico islamico espressione di Hezbollah. Siccome io lavoravo per la pace tra Israele e Libano, era inevitabile che incontrassi anche le forze che governavano il Libano
E poi
Arrivai a Beirut il mattino del 14 agosto, un’ora dopo la fine dei bombardamenti di Israele, che aveva colpito sino a un secondo prima del cessate il fuoco deliberato dall’Onu. Il ministro degli Esteri mi disse che c’erano molte vittime nei quartieri popolari, e avrebbe apprezzato che avessi fatto loro visita. Non era una manifestazione estremista; era lo scenario di un dramma, con civili che cercavano i loro congiunti sotto le macerie. Il mio fu un gesto di solidarietà umana giusto e apprezzato, che contribuì a garantire la sicurezza dei nostri militari poi schierati sul confine. Come i gesti che compii dall’altra parte, visitando i familiari di soldati israeliani rapiti. E incontrando all’aeroporto di Tel Aviv lo scrittore David Grossman, che in quella guerra aveva perso il figlio. Citai una felice espressione di Andreotti: l’equivicinanza. In Italia mi presero in giro
Libano distrutto e bombardato da Israele, vittime civili, miliziani di Hezbollah buoni e gesto di solidarietà doveroso.
Ancora oggi D’Alema ribadisce che i miliziani sciiti non siano nostri alleati ma “combattono contro il nostro stesso nemico“.
Meglio Hezbollah di Israele, dunque.
Grave che a dirlo sia un esponente politico di una democrazia occidentale.
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