Mentre in Israele Benjamin Netanyahu è oggetto della pressione numerica dei casi giudiziari che lo riguardano, e Avi Gabby, il leader di una annaspante opposizione che si aggrappa disperatamente alle procure per disarcionarlo, afferma, “L’era di Netanyahu è finita”, a Washington al meeting annuale dell’AIPAC, è un’altra storia. E’ la storia del più tonico, longevo e carismatico dei leader israeliani sulla piazza, l’unico che sappia presentare con l’autorevolezza di una lunga e rodata consuetudine politica, il presente di Israele e forse, ancora il suo futuro.
Il mestiere della scena e della efficacia oratoria sono consumati e ascoltarlo parlare dopo l’intervento, sempre davanti alla platea dell’AIPAC, di Gabbay, genera un confronto devastante. Se la fine è nel principio, il futuro di Gabbay, al cospetto di quello della vecchia volpe della politica israeliana, sembra già segnato. No, non c’è storia. Al netto di apologie e agiografie. Semplicemente constatando oggettivamente i fatti.
Netanyahu tiene in pugno la platea, gigioneggia come suo solito, ringiovanisce, i guai a casa sono scomparsi, dimenticati, sembrano una scia di fumo alle spalle dei successi di Israele in campo economico, militare, tecnologico, che il premier israeliano snocciola uno dopo l’altro con esibita e giustificata soddisfazione. Israele appare per quello che è oggi, una piccola grande potenza, un gigante tecnologico in espansione, una turbina incessante di innovazioni, ricerca, scommesse vinte, mentre tutt’intorno a lui, satrapie, teocrazie e dittature, evidenziano plasticamente il fallimento socio-culturale di realtà politiche che allo sviluppo e al progresso hanno anteposto rigorismo religioso, fanatismo, terrorismo, una spaventosa corruzione.
Netanyahu si muove sul palco, sotto i riflettori, e mostra come Israele corra e continui a correre. Annuncia gongolante, “La popolazione di Israele è tra gli otto e nove milioni, un decimo dell’uno per cento della popolazione mondiale. Sapete quale è l’ammontare globale degli investimenti privati per la cyber security di cui godiamo? Il 20% mondiale. Duecento volte sopra il nostro peso“. Ma poi, dopo avere decantato i successi indubbi conseguiti è il turno delle cattive notizie, dell’oscurità “che sta scendendo sulla nostra regione”, così dice con un linguaggio dal voluto sapore biblico per indicare la maggiore minaccia regionale rappresentata dall’Iran e dalla sua estensione. “L’Iran sta costruendo un impero aggressivo” e poi elenca le tappe di questa estensione, “l’Iraq, la Siria, lo Yemen, il Libano, Gaza”. Procede quindi a illustrare l’obbiettivo iraniano in Siria, quello di costruire una base militare permanente nel paese e un ponte di terra che colleghi Teheran a Tartus per potere così giungere al Mediterraneo.
“Israele non permetterà che accada, io non permetterò che accada”. E quell’”io”, suona come la garanzia migliore per Israele, ora e ancora in seguito, di una guida che sappia garantire al meglio la sicurezza del paese. Il riferimento al Libro di Esther e all’antico tentativo persiano di annientare il popolo ebraico serve subito dopo per assicurare che Israele non permetterà mai all’Iran di dotarsi di armi nucleari, e qui si esplicita la sintonia piena con l’Amministrazione Trump, la quale, dal proprio insediamento, ha indicato nell’Iran la maggiore minaccia in Medioriente. Segue il riferimento alla concordanza che, su questo punto esiste anche con stati arabi come l’Egitto e la Giordania e altri non nominati, ma è implicito il riferimento tacito all’appoggio non dichiarato dell’Arabia Saudita. “Sanno che Israele non è un loro nemico, ma un alleato indispensabile”.
E di fronte alle conquiste di Israele, al suo sviluppo economico, al suo avanzamento nel futuro, appare per contrasto impietoso e drammaticamente indicativo il confronto con i 350 milioni di dollari all’anno che l’Autorità Palestinese paga alle famiglie dei terroristi, il 10% circa dei fondi a disposizione, soldi sottratti alle infrastrutture, all’educazione, alla sanità, e un incentivo ad uccidere gli israeliani in modo da essere premiati.
Il discorso di Netanyahu all’AIPAC non è solo la conferma dell’autorevolezza di una leadership che in questo momento non ha rivali, ma soprattutto quello di una luminosa evidenza: solo Israele in Medioriente è a tutela della nostra libertà, dei nostri valori, di quel progresso faticosamente costruito che l’Occidente si è da secoli intestato.