Dopo la distruzione di Gerusalemme del 135 d. C., mentre nella provincia di Giudea (ormai rinominata Palestina) veniva istituita la figura del Patriarca (un plenipotenziario rappresentante ufficiale della nazione giudaica, nominato a vita dall’Imperatore e la cui carica era ereditaria), a Roma continuava una politica ondivaga nei confronti della comunità ebraica, tra concessioni e privazioni di diritti, e norme emanate ad hoc a seconda degli Imperatori che si succedevano al potere. Fu ad esempio nel 212 d. C. che Caracalla, con la “Constitutio Antoniniana de Civitate” concesse la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’impero, ebrei compresi.
La situazione però cambiò radicalmente con l’avvento di Costantino il Grande (306-337), la cui politica delineò i presupposti per rendere il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero. Il suo regno segnò un mutamento di rotta radicale rispetto al passato. L’editto di Milano del 313, redatto dopo la vittoria di Costantino su Massenzio, accordò in un primo tempo ai cristiani una semplice tolleranza che rendeva loro giustizia dopo le discriminazioni alle quali erano stati precedentemente sottoposti, ma ben presto questo fece sì che il cristianesimo, ormai legittimato, guadagnasse un peso sempre crescente e una sua autonomia normativa che comportò un capovolgimento delle parti: per tutte le altre religioni ne scaturì una condizione di progressiva inferiorità nei confronti di quella che si avviava velocemente a diventare la religione dominante. Gli ebrei, da appartenenti ad una religione e ad una Nazione Giudaica comunque rispettata da cinque secoli (nonostante gli alti e bassi politici e gli episodi di scherno da parte del popolo come della classe intellettuale del tempo), iniziano a scivolare ad un livello sempre più basso ed inferiore sia ai cittadini cristiani che a quelli pagani.
Molte furono le norme emanate da Costantino che colpivano direttamente o indirettamente la comunità ebraica.
Riguardo alle conversioni dall’ebraismo al cristianesimo, punite in modo severo dai tribunali rabbinici, venne emanato l’esplicito divieto di punire i convertiti secondo la consuetudine ebraica, senza risparmiare una pesante dimostrazione di disprezzo verso quella comunità, definita “gruppo bestiale” (feralis secta) e “setta empia”.
Costantino inoltre interviene ripetutamente a tutela di schiavi sia cristiani sia di altre religioni e nazionalità, per vietare che essi rimangano di proprietà di ebrei e che subiscano la circoncisione. Le conseguenze di ciò saranno pesanti, sia sul versante religioso, venendo a costituire un deterrente al proselitismo ebraico, sia su quello economico, introducendo limitazioni nell’attività stessa di commercio degli schiavi. Agli ebrei veniva in questo modo totalmente interdetta la facoltà di circoncidere e di possedere schiavi di altre religioni o etnie, in particolare se cristiani, in base all’osservazione che “non è giusto che chi è stato riscattato dal Salvatore sia tenuto in schiavitù da chi si è macchiato dell’assassinio dei profeti e del Signore”.
Riguardo alla proibizione dei matrimoni misti tra ebrei e donne cristiane, Costantino si rifece alle conclusioni del Concilio di Elvira (Granada) del 306 dove questa proibizione era stata stabilita, mostrando di fatto di assoggettare la legge civile alla legge ecclesiastica.
In occasione della controversia (discussa durante e dopo il concilio di Nicea del 325) sulla data della Pasqua, festa che in Oriente i gruppi cristiani celebravano concordemente alla Pasqua Ebraica il 14 del mese di Nisan e non di domenica (come stabilito per le diocesi di Occidente dal concilio di Arles del 314), Costantino, in due lettere postconciliari inviate a tutte le comunità cristiane dell’Impero, si espresse con termini durissimi nei confronti delle comunità ebraiche, stabilendo che non si dovesse più seguire la tradizione ebraica e che “si conviene che i cristiani si astengano ab illa turpissima societate et conscientia” (“da quella turpissima comunità e mentalità”): “Quale retto pensiero potrebbero infatti avere costoro che, dopo l’assassinio del Signore, con la mente imprigionata dopo quel parricidio, non dalla ragione ma da una sfrenata passione sono guidati dovunque li spinge l’innata pazzia?”.
E quindi “Nihil ergo nobis commune sit cum inimicissima Iudaeorum turba” (“Nulla si abbia in comune con l’odiosissima turba giudaica”).
E’ evidente quindi che Costantino sposa la tesi antigiudaica più diffusa, quella dell’accusa di deicidio, che più tardi costituirà il pretesto ideologico cardine dell’antigiudaismo europeo, fondando su di essa e al contempo giustificando le proprie posizioni di disprezzo. L’accusa di deicidio a carico degli ebrei, dal canto suo, era stato strumento di penetrazione del cristianesimo nella società romana: gli autori cristiani dei primi secoli – ad esempio Tertulliano – avevano cercato di ingraziarsi l’opinione pubblica sforzandosi di deresponsabilizzare i Romani da quella accusa infamante e facendo di essa carico esclusivamente agli ebrei.
Avendo abbracciato la tesi degli ebrei deicidi, Costantino introduce nel suo corpo giuridico espressioni oltraggiose nei loro confronti come nefaria secta (gruppo criminale), impuri homines (uomini sozzi), inimicissima turba (folla ostilissima), Domini interfectores et parricidae (assassini del Signore e parricidi).
La condanna morale dell’ebraismo viene quindi sancita al massimo livello governativo e procede di pari passo con l’affermazione del cristianesimo: l’ebraismo non ha più un valore assoluto in se stesso ma solo quantitativo, relativamente a quante conversioni la chiesa possa ottenere nell’ambito delle comunità giudaiche. La conversione al cristianesimo diviene la via per la salvezza e l’emancipazione morale e sociale di coloro che si sono macchiati della peggior colpa. Questa pressione finisce per legittimare le critiche contro gli ebrei e le reiterate e stereotipate prese di posizione denigratorie nei loro confronti, al fine di spingerli alla conversione e ridicolizzarli ed emarginarli in caso di resistenza.
E’ così che, nei primi decenni del IV secolo, vengono poste le basi del passaggio da una società religiosamente eterogenea e discordante, in cui tuttavia la convivenza era tollerata e possibile, ad una nuova realtà, contraddistinta da uno spiccato antigiudaismo, questa volta di matrice cristiana.
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