La mattina successiva alla domenica di Pasqua del 1903, Yehiel Pesker si recò al suo negozio al mercato di Kishinev per verificare eventuali danni. Il giorno precedente, le prime notizie di un pogrom avevano sconvolto la città.
Sulla via del ritorno a casa, vide circa 200 ebrei armati di mazze e persino qualche pistola: quel giorno sarebbe arrivata la seconda ondata di uno dei pogrom più famosi della storia e gli ebrei volevano essere pronti. Quando arrivarono i pogromisti ci fu una situazione di stallo, finché la polizia non intervenne contro gli ebrei e la violenza mortale continuò.
Sebbene questi ebrei manifestassero semplicemente il desiderio di difendersi nel caso fossero stati attaccati, e sebbene questo fosse un breve momento del secondo giorno di una rivolta sanguinosa durata tre giorni che avrebbe scioccato il mondo, “gli antisemiti locali e i loro simpatizzanti”, secondo lo storico Steven J. Zipperstein, cercarono di sostenere che si trattasse di una escalation da parte degli ebrei e che quindi, responsabili del pogrom fossero le vittime. Altrove in città, un uomo ebreo di quasi 60 anni respinse quattro aggressori, che in seguito sparsero la voce secondo cui un ebreo aveva ucciso dei cristiani. Per alcuni, quindi, un vero e proprio libello del sangue nel mezzo di un esteso massacro, si trasformò nella storia dell’origine dell’intera rivolta.
“Nelle argomentazioni avanzate dagli avvocati difensori nei processi per crimini legati ai pogrom, la rivolta di domenica venne liquidata come un putiferio che sarebbe finito rapidamente… se gli ebrei non avessero reagito in modo eccessivo”, scrive Zipperstein. “Secondo questa versione, fu l’aggressione quasi immotivata da parte degli ebrei e le successive voci di attacchi a una chiesa e l’uccisione di un prete a mettere in moto la sfortunata ma, date le circostanze, comprensibile violenza.”
Tutto ciò può sembrare ridicolo, perché pochi pogrom sono conosciuti meglio di quello di Kishinev e perché ha avuto un effetto così profondo sulla storia: modellò la prospettiva di importanti figure sioniste e allarmò il mondo, diventando persino un elemento della lotta per i diritti civili negli Stati Uniti come esempio del perché le minoranze razziali ed etniche necessitavano di una protezione sancita dalla legge da parte dello Stato.
Ma tralasciamo i nomi di persone e luoghi, ci troveremo a descrivere la risposta al massacro di Hamas del 7 ottobre. Gli ebrei se lo dovevano aspettare; gli attacchi sono stati essenzialmente un atto di legittima difesa; sarebbe stato un evento di portata minore se gli ebrei avessero non avessero reagito in modo sproporzionato difendendosi.
Il capo della polizia russa cercò perlomeno di sostenere l’equivalenza morale, basandosi su queste bugie, tra gli ebrei di Kishinev e i loro assassini. Si può sentire un’eco diretta di tutto ciò nelle parole di Karim Khan, pubblico ministero presso la Corte penale internazionale, che ha presentato richieste di mandati di arresto sia per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che per il leader terrorista di Hamas Yahya Sinwar: “Se non dimostriamo la nostra volontà di applicare la legge allo stesso modo, se verrà considerata applicata in modo selettivo, creeremo le condizioni per il suo collasso”.
Quell’eco è probabilmente ancora più forte sul New York Times, che descrive le reazioni all’acrobazia di Khan in questo modo: “La decisione di Khan di perseguire simultaneamente i leader israeliani e palestinesi è stata criticata sia dai ministri del governo israeliano che da Hamas. Entrambe le parti si sono chieste perché siano stati presi di mira i loro alleati e non solo i nemici”.
Ah sì, entrambe le parti. Un mese dopo gli attentati di Hamas, l’autore Sam Harris ha denunciato questo modo di pensare nel suo podcast in un monologo destinato a resistere alla prova del tempo. La parte fondamentale:
“Naturalmente, il confine tra antisemitismo e generica stupidità morale è un po’ difficile da discernere, e non sono sicuro che sia sempre importante trovarlo. Non sono sicuro che abbia importanza il motivo per cui una persona non riesca a distinguere tra i danni collaterali in una guerra necessaria e gli atti consapevoli di sadismo genocida che vengono celebrati come sacramento religioso da un culto della morte. Le nostre strade si sono riempite di persone che inciampano letteralmente su se stesse nel desiderio di dimostrare di non sapere distinguere tra coloro che uccidono intenzionalmente i bambini e coloro che li uccidono inavvertitamente, avendo fatto di tutto per evitare di ucciderli, mentre si difendevano dalle stesse persone che hanno intenzionalmente torturato e ucciso uomini, donne e sì… bambini innocenti…Se sei finito, con orgoglio e ipocrisia, dalla parte sbagliata di questa asimmetria – questo vasto abisso tra ferocia e civiltà – mentre marciavi attraverso il cortile di un’istituzione della Ivy League indossando pantaloni da yoga, non sono sicuro che abbia importanza che la tua confusione morale sia dovuto al fatto che ti capita di odiare gli ebrei. Che tu sia un antisemita o semplicemente un apologeta delle atrocità, probabilmente non ha importanza. Il punto cruciale è che sei pericolosamente confuso riguardo alle norme morali e alle simpatie politiche che rendono la vita in questo mondo degna di essere vissuta”.
E nel caso di Khan, se non riesci o non vuoi distinguere tra la guerra di Hamas e quella di Israele, possiedi un deficit morale che ti squalifica da qualsiasi posizione di autorità o responsabilità sugli altri.
Ancora più importante, tuttavia, è l’idea centrale alla base di questa tendenza. Per gran parte della storia si potevano semplicemente punire gli ebrei per essersi difesi, per essere rimasti in vita. Un patetico pubblico ministero tronfio poteva osservare in silenzio l’assassinio degli ebrei e poi sporgere denuncia contro “entrambe le parti” non appena un ebreo prendeva in mano una mazza per legittima difesa. Perché la legge, vedete, deve essere applicata in modo uniforme. Il mondo non avrebbe fatto nulla contro Hamas, anche dopo gli atti demoniaci del 7 ottobre. Un pubblico ministero giusto deve aspettare finché non ci sarà anche un ebreo da mettere sul banco degli imputati. Questo è l’equilibrio. Questa è la giustizia.
Karim Khan può essere un debole pagliaccio, ma conferisce a Israele una motivazione ferrea per la sua esistenza.
Traduzione di Niram Ferretti