Il 5 di luglio, Haartez, pubblica un articolo a firma Hagar Shezaf dal titolo sensazionalistico, “Seppellire la Nakba: Come Israele nasconde sistematicamente l’espulsione degli arabi nel 1948”.
Nell’articolo, l’autrice, racconta di come il Malmab, un dipartimento del Ministero della Difesa, abbia progressivamente reso inaccessibili al pubblico, una serie di documenti che precedentemente erano stati disponibili per la consultazione e già usati dagli studiosi per meglio comprendere quali furono le cause che provocarono l’esodo degli arabi-palestinesi poi diventati rifugiati.
Uno dei maggiori storici israeliani, citato nel contesto dell’articolo, il quale ha dedicato buona parte della sua ricerca a questo specifico tema è, ovviamente, Benny Morris.
L’informale lo ha intervistato per chiarire meglio la questione.
Professor Morris, nel suo articolo, Hagar Shezaf scrive. “Centinaia di documenti sono stati occulatati come parte del tentativo sistematico che nascondere le prove della Nakba”. E’ d’accordo con questa affermazione?
Non lo avrei formulata così. Ci sono due fasi della vicenda e, nel suo articolo, Hagar Sharif non si è dedicata alla prima. Esistono due tipologie di documenti che dovrebbero essere secretati per un certo numero di anni, ma di base, dopo trent’anni, i documenti di natura politica dovrebbero essere resi accessibili. Trent’anni dopo la guerra del 1948 l’archivio di Stato e altri archivi hanno iniziato a rendere accessibile la loro documentazione e quello che fecero è che alcuni documenti, una piccola parte, vennero secretati. Si trattava di quei documenti che mettevano Israele in una luce sfavorevole specialmente in rapporto ai massacri e alle espulsioni di arabi. Hagar Shezaf ha scoperto che negli ultimi vent’anni, più o meno, lo Stato si è dedicato a una seconda fase di censura. In altre parole, documenti che, dopo trent’anni, erano divenuti accessibili sono stati di nuovo secretati, e questi sono i documenti che ha scoperto e che non sono più disponibili come lo erano una volta.
Yehiel Horev, che è stato a capo del Malamb per vent’anni ha spiegato che la secretazione di questi documenti è dovuta a ragioni di sicurezza. Se questa è la ragione, perché questi documenti che erano disponibili 15 anni fa e anche precedentemente, adesso vengono secretati? Nel passato recente la questione della sicurezza non aveva lo stesso rilievo che ha al presente?
Horev non ha posto la cosa in modo così semplice. Quello che ha dichiarato è che la legge dello Stato pone il diritto di secretare quei documenti che, se venissero resi pubblici, potrebbero danneggiare la sicurezza di Israele o le sue relazioni estere. Quello che hanno fatto è che li hanno resi accessibili per trent’anni, negli anni Settanta, Ottanta e Novanta e poi il Malamb ha esaminato i documenti un’altra volta e ha secretato quelli che potrebbero danneggiare la sicurezza di Israele o le sue relazioni internazionali. Ora, il problema della secretazione di documenti in rapporto alle relazioni estere è che si tratta di una definizione molto ampia. Si può dire che qualsiasi cosa metta Israele in una cattiva luce potrebbe danneggiare le sue relazioni, diciamo con l’Egitto o la Giordania, due paesi arabi con cui Israele è in pace, quindi, se questo fosse il caso, i documenti verrebbero sigillati. Quello che gli storici come me pensano, è che sigillare questi documenti sia stupido, perché sono già stati resi accessibili e gli studiosi li hanno già utilizzati, dunque, sigillarli nuovamente, di fatto, non nasconde la verità. La verità è già nota, e secondariamente è che è abbastanza immorale farlo perché le democrazie dovrebbero rendere accessibili i documenti. Tuttavia, il Ministero della Difesa può controbattere con un buon argomento, affermando che Israele, diversamente da altre democrazie, è ancora in guerra con i suoi vicini, con i suoi vicini arabi, con i palestinesi, e siccome questa guerra continua, e siccome la propaganda fa parte del conflitto, sono giustificati nel mettere al sicuro cose che potrebbero fornire ai loro nemici delle munizioni propagandistiche da usare contro lo Stato. E’ un argomento forte ma va anche messo a confronto con ciò che gli storici come me dicono, che ciò va contro i valori liberali e democratici di una società e che inoltre produce molto danno dovuto al fatto che molti di questi documenti sono già stati utilizzati dagli storici.
Dunque è contrario a questo stato di cose?
Lo disapprove fermamente. Lo condanno. E’ stupido, perché è come chiudere una stalla dopo che i cavalli sono scappati, perché gli storici hanno già scritto i loro libri citando documenti che erano declassificati e che adesso sono di nuovo secretati. Secretare questi documenti ora non ha alcun senso.
Nell’articolo di Haartez, Horev fa una dichiarazione sorprendente. Ammette apertamente che l’obbiettivo del Malamb è di “compromettere la credibilità degli studi sulla storia del problema dei rifugiati”. Tutto ciò non porta acqua al mulino di chi attacca Israele affermando che sarebbe nato nella colpa?
Credo che ciò sia di importanza secondaria. Il problema con le parole di Horev è che egli afferma che se nascondiamo i documenti, gli storici che scriveranno di queste questioni saranno suscettibili di essere presi con il beneficio del dubbio, perché non potranno indicare i documenti che citano e dire, “Andate a controllare i documenti”, perché i documenti non sono più disponibili, sono sigillati. In questo modo si può compromettere la credibilità degli storici, questo è quello che afferma e io trovo ciò abbastanza disgustoso. Non è il compito di un governo compromettere la credibilità degli storici.
Ci sono numerosi pro-palestinesi che si stanno alimentando da questo articolo di Haartez. Secondo loro proverebbe che è in atto una sorta di cospirazione da parte dello Stato di Israele per coprire la cosiddetta pulizia etnica degli arabi, che, secondo la loro narrativa, sarebbe avvenuta durante la guerra del 1948-1949. Cosa ha da dire in rapporto a questa questione sulla quale ha scritto abbondantemente?
La prima cosa da dire è che chi fa queste affermazioni è di una ipocrisia assoluta, perché se si dà un’occhiata agli archivi arabi, sono tutti chiusi. Non hanno aperto nulla. Quindi, criticano Israele per avere reso accessibili certi documenti e poi averli sigillati nuovamente mentre gli arabi e i palestinesi hanno sigillato tutto e hanno nascosto tutto ai ricercatori. Non sono nella posizione di criticare nulla. Questa è la prima cosa. La seconda cosa riguarda il quadro di ciò che accadde nel 1948. Credo che oggi sia sufficientemente chiaro sulla base della documentazione che è stata resa accessibile, inclusi quei documenti che poi sono stati sigillati nuovamente. Sappiamo più o meno ciò che accadde. Come ha detto, ho scritto diversi libri sull’argomento e ciò che mostrano è che la definizione “pulizia etnica” non è la definizione corretta di ciò che accadde. Ciò che accadde è che ci fu una guerra che gli stati arabi dichiararono contro la comunità ebraica in Israele che sarebbe diventata uno Stato nel 1948. Attaccarono lo Stato di Israele, e nel respingere quell’attacco da parte degli arabi, gli israeliani, di base cacciarono dal paese una parte della popolazione araba-palestinese. Una parte andò di sua sponte nella West Bank a Gaza e fuori dal paese. Non fu una espulsione sistematica, non fu una politica di Stato. L’espressione “pulizia etnica” è problematica. Per esempio, la pulizia etnica che venne intrapresa dai serbi in Jugoslavia, fu sistematica, fu organizzata, fu estremamente brutale, ci furono decine di migliaia di omicidi, migliaia di stupri. Quello che accadde nel 1948 fu essenzialmente una guerra che venne accompagnata da un piccolo numero di massacri e quasi nessun caso di stupro, furono rari. L’espressione “pulizia etnica” è sbagliata. Quello che può essere detto è che alla fine della guerra, Israele non premise ai palestinesi, ai rifugiati, a coloro che vennero sradicati, di tornare alle loro case. In questo senso, ciò che accadde fu una espulsione, ma non una espulsione come esito di una politica pianificata e basata sull’ideologia e una decisione del governo. Non accadde nulla di simile. Ciò che accadde fu che in alcuni luoghi alcuni ufficiali espulsero della gente, ma in molti casi gli arabi semplicemente fuggirono, e poi, Israele non gli permise di tornare. Questa è una decisione con la quale sono perfettamente d’accordo, perché il permettere loro di ritornare avrebbe fatto sì che gli arabi li avrebbero attaccati e avrebbero sabotato lo Stato di Israele dall’interno. La decisione del governo fu quindi logica, così come è del tutto logico non permettere ai cinque o sei milioni di persone che sono classificati come rifugiati di tornare, perché ciò significherebbe la fine di Israele come Stato ebraico.