L’attuale situazione in Israele, con il susseguirsi di manifestazioni contro la riforma della giustizia promossa dal governo Netanyahu, è solo l’inevitabile acme della inarrestabile delegittimazione del premier in carica e del suo diritto di governare il paese.
E’ un diritto che non può essergli riconosciuto nonostante il mandato elettorale che lo ha portato per l’ennesima volta alla guida di Israele. Un mandato chiaro e inequivocabile, che è stato dato dagli elettori anche al programma di governo da lui esposto, di cui, la riforma della giustizia è uno dei pilastri.
C’è una parte del paese che non accetta il responso delle urne e che è sostenuta dalla parte più consistente dell’apparato culturale, politico e mediatico israeliano, nonchè da una parte di quello militare, il quale, da anni, in tutti i modi ha cercato di presentare Netanyahu come una figura criminale indegna di guidare il paese, nonostante nessuna delle accuse a lui mosse, dalla corruzione all’abuso di ufficio, che hanno portato a una serie di processi ancora in corso, si sia conclusa con un verdetto di colpevolezza.
In questo momento, la colpa imperdonabile di Netanyahu agli occhi di una opposizione che lo ha demonizzato senza sosta è di volere riformare quello che a tutti gli effetti è un potere che, nel corso degli anni ha acquisito il ruolo di potestà dello Stato, la Corte Suprema.
Questa riforma già annunciata nel 2018, e da lungo tempo necessaria, ora che ha preso finalmente corpo deve essere stoppata. Ne va della potestà consolidata, costruita progressivamente sotto l’egida del suo principale artefice, quello che Richard Posner, tra i maggiori giuristi americani, definì nel 2007, “despota illuminato”, Aharon Barak.
Presidente della Suprema Corte di Israele dal 1995 al 2006 e precedentemente Procuratore Generale di Israele dal 1975 al 1978, nonché decano della facoltà di Legge dell’Università di Gerusalemme dal 1974 al 1975, colui che Ben Dror Yamini, non certo un partigiano della destra, ha definito il “rabbino imperiale della legge”, Barak ha fatto in modo di generare un sistema che non ha pari per potere e influenza con quello di nessun altro Stato democratico occidentale. Nelle parole di Posner:
“I giudici non possono essere rimossi dalla legislatura, ma solo da altri giudici; ogni cittadino può chiedere a un tribunale di bloccare l’azione illegale da parte di un funzionario governativo, anche se il cittadino non ne è personalmente colpito; qualsiasi azione governativa che sia “irragionevole” è illegale (“in parole povere, l’esecutivo deve agire ragionevolmente, perché un atto irragionevole è un atto illecito”); un tribunale può proibire al governo di nominare un funzionario che ha commesso un reato (anche se è stato graziato) o che è messo sotto esame etico in un altro modo, e può ordinare il licenziamento di un ministro se deve affrontare un procedimento penale. In nome della “dignità umana” un tribunale può costringere il governo ad alleviare i senzatetto e la povertà e un tribunale può revocare gli ordini militari e decidere “se impedire il rilascio di un terrorista nel quadro di un ‘accordo politico’, e indirizzare il governo nello spostare il muro di sicurezza che impedisce ai kamikaze di entrare in Israele dalla Cisgiordania”.
Sempre per Posner, Barak, da “per scontato che i giudici abbiano l’autorità intrinseca di scavalcare gli statuti. Un tale approccio può essere descritto con precisione come usurpativo”.
A questo vulnus la riforma prevista dal nuovo esecutivo intende porre rimedio, e ciò non può essere permesso, da qui l’isterica e demagogica accusa che con questa riforma si intenda mettere in pericolo la democrazia, mentre si tratta semmai del suo raddrizzamento, da qui il ricatto dell’opposizione nei confronti del governo e il sobillamento delle piazze.
La riforma della giustizia del governo Netanyahu è sicuramente perfettibile come ogni riforma, e alcuni suoi angoli acuti potrebbero essere smussati ma non con questa opposizione facinorosa e fanaticamente avversa a Netanyahu e al principio fondamentale della democrazia che essa per prima disconosce, quello dell’alternanza di governo e della prerogativa che ha la maggioranza di varare le leggi per le quali è stata votata dall’elettorato.