L’articolo che abbiamo pubblicato stamattina firmato da Seth Mandel di Commentary,https://www.linformale.eu/il-punto-e-la-fuga-di-notizie/la più autorevole pubblicazione ebraica americana di area conservatrice, ci dice cose assai sgradevoli.
Facendo riferimento a un articolo pubblicato sul New York Times, il 16 aprile https://www.nytimes.com/2025/04/16/us/politics/trump-israel-iran-nuclear.html, Mandel evidenzia ulteriormente le ragioni che hanno spinto Trump ad accantonare l’attacco israeliano ai siti nucleari iraniani.
L’accantonamento dell’attacco sarebbe il frutto di una ben precisa posizione non interventista che ha al suo apice il vicepresidente Vance e la direttrice della National Intelligence, Tulsi Gabbard. L’articolo del New York Times espone in modo assai dettagliato la modalità dell’attacco progettato. Si tratta dunque di una fuga di notizie che mettono in guardia l’Iran e creano un danno palese a Israele.
Come riporta il Times of Israel, dando voce a un funzionario anonimo dei Servizi israeliani, il leak pubblicato dal quotidiano americano è particarmente grave in quanto espone dettagli rilevanti del programmato attacco israeliano svelandone completamente l’impianto.
“La metodologia della sua esecuzione, i tempi, i meccanismi di coordinamento e l’elemento sorpresa. Ciò costituisce un danno reale agli interessi israeliani nell’affrontare l’Iran”.
Secondo Mandel dietro il leak ci sarebbe la mano della Gabbard. Al di là della posizione non interventista di quest’ultima, quello che c’è da chiedersi è chi sono gli attori in gioco nel cercare di ostacolare Israele nella sua intenzione di colpire l’Iran mettendo fuori gioco il suo programma nucleare.
Il primo attore è la Russia, dove, ieri si è recato per incontrare Putin, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi per recapitargli una lettera della Guida Suprema Ali Khamenei nella quale viene aggiornato sui negoziati con gli americani. Il secondo attore è la Cina che è stata consultata in merito, e il terzo attore potrebbe essere a sorpresa, l’Arabia Saudita.
Ieri, mentre Araghchi era da Putin, il ministro della Difesa saudita Kahlid bin Salman è stato ricevuto a Teheran da Khamenei portando a sua volta un messaggio personale del re Salman alla Guida Suprema dell’Iran.
Nel 2023, con la mediazione della Cina, tra l’Iran e l’Arabia Saudita c’è stato un riavvicinamento dopo anni di ostilità. Gli Accordi di Abramo, il maggiore risultato della politica estera della prima presidenza Trump avevano come obiettivo l’allargamento dei medesimi con l’Arabia Saudita. Il 24 settembre 2023, nel corso del suo discorso all’ONU, Netanyhau prospettò un futuro di benessere e stabilità in Medio Oriente attraverso appunto l’allargamento degli Accordi con Riad. Il 7 ottobre era dietro l’angolo.
Apparentemente sarebbe negli interessi anche dell’Arabia Saudita un Iran privato del suo programma nucleare, tuttavia va valutato se una eventuale intesa con Israele sia prioritaria rispetto a quella di un rafforzamento di un asse sunnita-sciita regionale, nonostante le mire egemoniche di Teheran.
Sempre nel suo articolo Mandel scrive,“È fondamentale avere un quadro chiaro delle due fazioni all’interno della cerchia ristretta di Trump in materia di sicurezza nazionale. Ci sono i sostenitori della non proliferazione, che danno priorità al blocco della diffusione del potenziale nucleare e poi i rivali interni dei sostenitori della non proliferazione i quali credono in sfere di influenza di stampo novecentesco, con l’obiettivo di esonerare l’America dai propri obblighi”.
Per la fazione ostile all’attacco israeliano all’Iran, gli interessi diretti di Israele sono secondari rispetto alla visione di un Medio Oriente il più possibile autoregolato, in cui l’interventismo americano anche se solo di supporto non deve avere alcun ruolo. Sono gli stessi pronti a concedere alla Russia ciò che chiede a svantaggio dell’Ucraina, convinti che gli Stati Uniti possono ottenere maggiori benefici se ripiegati su se stessi.
Per ora, Trump pende dalla loro parte.
